Lingua comprendente in senso lato i dialetti della Provenza, della Linguadoca, della Guascogna, del Périgord, del Limosino e dell’Alvernia, oggi sopraffatti dalla diffusione del francese.
Come lingua letteraria il p., o lingua d’oc, è documentato dall’inizio del 12° sec. e non rivela un particolare fondo dialettale, ma un carattere eclettico aperto anche a influssi francesi. Ebbe due secoli di grande splendore, soprattutto grazie alla poesia trovadorica. Con il 14° sec. cominciò a essere sostituito, come lingua letteraria, culturale e poi anche amministrativa, dal francese, e l’editto di Villers-Cotterets del 1539, che imponeva come lingua amministrativa il francese, ne segnò la definitiva decadenza. Diversi tentativi di ridare vita al p. come lingua letteraria e culturale, tra cui il più importante è il felibrismo (➔ félibres) di F. Mistral, non sono riusciti a risollevarne le sorti.
All’interno delle lingue neolatine, e particolarmente rispetto al francese, il p. si individua per vari caratteri: conservazione di a accentata in sillaba aperta (prov. tal dal latino talem, di contro al fr. tel); conservazione di a atona finale (porta dal latino porta, di contro al fr. porte); conservazione del dittongo au (aur «oro») e dei gruppi ca- e ga- (canson, di contro al fr. chanson); lenizione delle sorde intervocaliche p, c, t in b, g, d (pagar, seda, riba, di contro al fr. payer, soie, rive); esiti č e it del nesso ct (fach e fait dal latino factus: cfr. lomb. fač, fr. fait).
La parte più interessante della letteratura p. medievale, che è più esatto chiamare occitanica, è quella costituita dalla poesia dei trovatori (➔ trovatore), con la quale inizia la lirica moderna e della quale rimangono documenti non soltanto letterari ma anche musicali (oltre 260 melodie). Non mancano tuttavia leggende (Girardo di Rossiglione) e poemi epici (canzoni di gesta di Daurel e Beton, di Aigar e Maurin, di Tersin o Roman d’Arles) e poemi d’avventura, come Le roman de Jaufre, Blandin de Cornoalha, Guilhem de la Barra. Non manca altresì la poesia didattica e religiosa. Ma è la lirica a prevalere e a improntare di sé tutta la cultura letteraria europea del Medioevo.
Quasi del tutto abbandonata la tesi delle origini popolari della lirica occitanica (tesi confutata sia dalla raffinata complessità retorica e ritmica già dei primi componimenti, sia dalla concezione tipicamente aristocratica dell’amore che in essi si esprime) e negata poi una diretta dipendenza della lirica occitanica dalla poesia erotica latina dell’età classica, e particolarmente da Ovidio, più consistenti analogie sono state segnalate con un tipo di componimento della lirica araba, lo zagial, in arabo-andaluso volgare, che presenta un numero variabile di stanze uguali e regolari precedute da una stanza introduttiva più breve, detta markaz, con chiara funzione di ritornello; lo schema metrico fondamentale dello zagial (aaaz az, bbbz bz ecc.), insieme con altre forme più complesse, si trova nel canzoniere del poeta arabo-andaluso Ibn Quzmān ma è possibile rintracciarne sporadici esempi anche in poeti arabi più antichi (fin nel 9° sec.), tanto che si potrebbe supporne la precoce penetrazione nella poesia pretrovadorica o in quella latina tardomedievale. Resta tuttavia il fatto che la struttura dello zagial precede cronologicamente, e anche di molto, i primi esempi di schemi analoghi presenti nella poesia romanico-latina.
Nelle rime di Guglielmo IX duca d’Aquitania e conte d’Alvernia e di Poitiers appare già formata la concezione dell’amor cortese, che fu propria della poesia occitanica. E se il primo poeta è un principe, lo seguono da vicino altri due che esercitarono il mestiere del giullare: Cercamon e Marcabruno. I trovatori appartennero a tutti i gradi sociali (in maggioranza provenivano dalla nobiltà povera); tutti frequentarono le corti dei signori, nelle regioni meridionali della Francia e nelle terre confinanti dell’Italia e della Spagna. La lirica trovadorica fiorì nel 12° e 13° secolo. La forma più caratteristica elaborata fu quella della canzone, sottoposta a una ragione musicale e a uno schema di rime inflessibile, ed essa fu rivolta essenzialmente a esprimere il sentimento d’amore. Più libero, e prediletto per la trattazione di argomenti politici, morali e satirici, fu il sirventese (➔).
Di fronte all’ispirazione propriamente cortese, che si osserva, per es., nei versi di Jaufré Rudel, si afferma con Marcabruno e i suoi imitatori una vena scolastica non priva di sapore; ma l’innata tendenza verso un tipo d’arte preziosa favorì lo sviluppo del trobar clus e del trobar ric, cioè di un doppio artificio stilistico, che nel primo caso mira a un raffinato ermetismo e nel secondo a una mescolanza dei significati, che varia dalla passione all’umorismo. Peire d’Alvernha si pone già su questa via, in cui procedono Raimbaut d’Aurenga e Arnaldo Daniello, che per le sue rare doti conquistò una fama consacrata da Dante e Petrarca, i quali lo considerarono come il più eccellente fra i trovatori. Giraldo di Borneil tentò di conciliare le due maniere, e, con un disegno più agevole, con una più sensibile naturalezza, si distinsero Pietro Rogier e altri, tra i quali spicca Bernardo di Ventadorn in cui la segreta ispirazione della lirica amorosa trova la sua espressione più felice e più schietta.
La schiera dei trovatori prosegue con Arnaldo di Mareuil, Ricaut di Barbezill, Folchetto di Marsiglia, rimatore grave e dottrinale, Peire Vidal, bizzarro e fantastico ecc. Guillem Montanhagol e Guiraut Riquier dimostrano nuove preoccupazioni morali e religiose, che corrispondono alle mutate condizioni della cultura e della vita provenzale, nel periodo in cui l’Inquisizione, affidata ai domenicani (1233), esercitava la sua influenza con maggiore asprezza, mentre fin dall’inizio del 13° sec. la crociata contro gli albigesi aveva scosso l’atmosfera delle corti ospitali ai poeti.
Notevole fu la diffusione della poesia provenzale in Europa. In Italia, le corti del Monferrato, di Savoia, di Lunigiana, di Ferrara, Verona, Padova, e altre ancora, accolsero i trovatori e li protessero; essi, in cambio, celebrarono i signori italiani nelle loro rime. Tutta una serie di trovatori italiani coltivò nel 13° sec. la poesia p.: il più famoso, anche per merito dell’episodio dantesco (Purg. VI), è Sordello, accanto al quale si collocano Lanfranco Cigala, Percivalle Doria, Rambertino Buvalelli ecc. La lirica p. decadde tuttavia rapidamente.
Per quanto riguarda il teatro, restano documenti del dramma sacro p. a cominciare dalla fine del 13° secolo. La prosa annovera versioni della Bibbia, vite di santi, sermoni religiosi, oltre a numerosi scritti di carattere scientifico e storico, come la cronaca di Philomena, del 13° sec.; ma anche in questo campo prevalgono le biografie dei trovatori, composte lungo il 13° sec. (uno dei principali autori è Uc de Saint-Circ, giullare e trovatore egli stesso), ricche di elementi immaginosi e leggendari.