Trovatore italiano in lingua provenzale (n. Goito 1200 circa - m. dopo il 1269). Ebbe vita avventurosa. Cominciò come giullare; fu presso Azzo VII d'Este, poi, a Verona, alla corte di Rizzardo Sambonifacio, di cui rapì la moglie, Cunizza da Romano (1226), per ricondurla alla casa paterna. Perseguitato dai Sambonifacio, riparò a Treviso, che ben presto divenne anch'essa per lui insicura: intorno al 1229 fu così costretto a fuggire in Provenza, donde passò in Spagna e forse in Portogallo; di nuovo in Francia, nel Poitou, si stabilì poi (1233) in Provenza, alla corte di Berengario IV, dove si guadagnò fama e rispetto. Tornato in Italia (1265) al seguito di Carlo d'Angiò (incerti i motivi di una sua prigionia a Novara nel 1266), ottenne dal re (1269) alcuni feudi in Abruzzo. Restano di lui 43 tra poesie amorose (nelle quali con accenti idealistici cantò, tra altre donne, Guia di Rodez, sorella di Ugo IV di Provenza, celata sotto i senhal "N' Agradiva" e "Restaur"), rime polemiche e morali, tra cui va ricordato il poemetto didascalico denominato Documentum honoris o Ensenhamen d'onor. Famoso il compianto in morte del barone provenzale Blacatz (Planher vuelh en Blacatz, composto probab. nel 1237), nel quale invita i signori d'Europa a cibarsi del cuore di questo prode, se vogliono guarire della loro viltà. Forse per questo compianto Dante, nei canti VI-VIII del Purgatorio, incarnò in lui l'amor di patria, e ne scolpì un'immagine di alta dignità. È stata proposta da G. Bertoni (1901) l'attribuzione a S. di un sirventese in lombardo, che autorizzerebbe a vedere in un passo dantesco (De vulgari eloquentia, I XV 2) un accenno a una sua produzione in volgare italiano.