Caccini, Giulio, detto Giulio Romano. - Compositore e cantante (Roma verso il 1550 - Firenze 1618). Musico di corte presso i Medici, fece parte del cenacolo umanistico della Camerata de' Bardi e si fece propugnatore del "recitar cantando", ossia dello stile monodico, più aderente al contenuto dei testi lirici o drammatici, contro quello polifonico. Nel 1600 collaborò con I. Peri alle musiche per l'Euridice, il primo esempio di melodramma; tuttavia la sua versione musicale uscì separatamente nel 1601, dopo quella di Peri. Pubblicò diverse raccolte di madrigali e arie, tra cui le Nuove musiche (1601).
Fratello di Giovanni Battista e allievo di Scipione Della Palla, fu (già dal 1564) musico di corte presso i Medici. A Firenze visse nell'ambiente umanistico della Camerata fiorentina, e con V. Galilei, E. Del Cavaliere, I. Peri, si studiò di dare alla composizione su testi lirici o drammatici le necessarie risorse di fedele e puntuale espressione che allo stile polifonico facevano difetto. Già nel 1594 sembra ch'egli abbia in tal senso collaborato con il Peri per la Dafne. Alla fine del 1601 pubblicò una sua Euridice, di pochissimo posteriore a quella del Peri. Nel 1601 pubblicò anche Nuove musiche (madrigali e arie a una voce), composte dal 1592 in poi. Nel 1613 vi aggiunse altra pubblicazione analoga, il Fuggilotio musicale. L'arte del C. rappresenta la rinascita - contro la polifonia, egemonica ormai da 4 secoli - dello stile monodico. L'artista, come il Peri, a tanto riuscì trasfigurando lo stile semi-popolaresco e insieme virtuosistico dei cosiddetti "cantori al liuto" secondo il gusto e il pensiero del tardo Umanesimo, sotto l'impulso dei nuovi sensi "drammatici" e esplicitamente "rappresentativi". Elementi fondamentali della struttura operistica del C. sono il recitativo e l'arioso, che si dispiegano, senza limiti apparenti, in un discorso interrotto soltanto da brevi cori. A questo tipo si richiameranno in seguito i grandi rinnovatori del melodramma. E recitativo e arioso si trovano anche nelle musiche vocali da camera. In tutta l'opera del C. si mostra del resto in piena luce l'unità dell'ispirazione, nascente dalla commossa intonazione della poesia (nei recitativi) ed elevata in dolci volute di puro canto, strofico, o ampiamente arioso.