Stato federale, esteso per la massima parte nell’America Settentrionale, salvo una piccola porzione nell’America Centrale, oltre l’Istmo di Tehuantepec. I confini con gli USA, a N, e con il Guatemala e il Belize, a SE, poggiano solo in parte su elementi naturali (Río Bravo del Norte o Río Grande; Río Usumacinta e Río Hondo); per il resto seguono linee geometriche. A E e a O il M. è bagnato rispettivamente dal Golfo del M. e dall’Oceano Pacifico, che a NO s’ingolfa profondamente tra la penisola della Bassa California e gli Stati di Sonora e Sinaloa.
Paese di montagne e di elevati altipiani (i 4/5 del territorio si trovano a più di 1000 m s.l.m.), il M. è costituito dalla prosecuzione della cordigliera occidentale dell’America Settentrionale. I tratti salienti del rilievo sono innanzi tutto nell’Altopiano Centrale, orlato dalla Sierra Madre Occidentale e dalla Sierra Madre Orientale; in una catena vulcanica che delimita a S l’altopiano; in una possente regione montuosa meridionale. L’altopiano propriamente detto (mesa) raggiunge i 2400 m a SE di Puebla, con quote decrescenti verso N e verso E. Costituito da un basamento cristallino e metamorfico su cui poggia una spessa successione di sedimenti marini del Mesozoico, si sollevò dalla fine del Cretaceo; da corrugamenti e fratture fuoriuscì il magma che spesso ricopre i depositi mesozoici. Tra la frontiera statunitense e il 22° di latitudine N l’altopiano è arido o semiarido; dossi e rilievi calcarei sono separati da spessi depositi eluviali che colmano bacini chiusi privi di deflusso al mare, i tipici bolsones, fra i quali il vastissimo Bolsón de Mapimí. A S, l’altopiano è più elevato e più umido, ricoperto da depositi vulcanici, e presenta numerosi edifici vulcanici. La Sierra Madre Orientale è una grande catena a pieghe le cui creste superano anche i 3000 m (Peña Nevada, 3644 m); la Sierra Madre Occidentale ha l’aspetto di un rilievo tozzo e massiccio, costituito da spesse colate basaltiche le cui parti sommitali spesso superano i 3000 m (Mohinora, 3992 m). I versanti che scendono verso l’interno, dove si aprono vaste conche intermontane, sono dolci.
A S di questi due bastioni submeridiani e della mesa, si estende per circa 1000 km, dal Pacifico (Capo Corrientes) al Golfo del M. (gruppo dei Tuxtla), l’asse neovulcanico, uno dei più imponenti insiemi vulcanici del mondo. Gli edifici, attivi o quiescenti o spenti, presentano le forme più svariate del repertorio vulcanico, e in più casi superano i 4000 e i 5000 m di altezza (Nevado de Colima, Nevado de Toluca, Ixtacíhuatl, Popocatepetl, Pico de Orizaba). Al piede meridionale di questo allineamento si apre una lunga e ampia depressione (graben) percorsa dal Río Santo Domingo, che sfocia nel Golfo di Campeche, a E, e dal Río Balsas, che tributa al Pacifico a O. Tra la Sierra Madre Orientale e il Golfo del M. continua la pianura del Texas: larga 300 km nel Tamaulipas, si restringe fra Tuxpan e Veracruz, quindi si allarga di nuovo fino allo Yucatán; alluvionale lungo il margine costiero, con aree paludose e lagune, è costituita da sedimenti terziari e contiene ricchi giacimenti di petrolio. Sul Pacifico, dai piani del Deserto di Sonora (prosecuzione dei deserti del Colorado e di Gila) e dello Stato di Sinaloa, la pianura si restringe verso S, dove il mare raggiunge i contrafforti dei monti e si hanno coste alte e rocciose con splendide insenature: Puerto Angel, Acapulco, Manzanillo, Puerto Vallarta.
A sud del Río Balsas il rilievo è composto dai sistemi del Guerrero e dell’Oaxaca, a O, e dalle montagne del Chiapas, a E. Queste alteterre nel primo tratto prendono il nome di Sierra Madre del Sud e arrivano fino a 3700 m. A S dell’istmo, i rilievi riprendono vigore con la Sierra Madre di Chiapas. Anche in questo tratto, sul litorale pacifico le pianure sono molto ristrette, mentre sul Golfo del M. si sviluppano estese pianure alluvionali, con coste basse e paludose. La penisola dello Yucatán ha un litorale basso, che scompare sotto un velo di acque marine poco profonde, costituendo l’estesissima piattaforma del Banco di Campeche. La penisola è un tavolato calcareo poco elevato con diffusi fenomeni carsici. A NO, infine, la lunga e sottile penisola della Bassa California è un altopiano (oltre 3000 m s.l.m.) di rocce granitiche a tratti coperte da lave che, nella sezione mediana, si estende per circa 800 km in ambiente decisamente desertico.
Il M. (fra le terre più instabili del globo) è interessato da terremoti e da attività vulcanica, in particolare nel fondo del Golfo di California e sul litorale pacifico meridionale, dallo Stato di Nayarit al Chiapas.
Esteso all’incirca da 15° a 33° di lat. N, il M. è tagliato a metà dal Tropico del Cancro e si colloca nel dominio dei climi tropicali e subtropicali. Gli effetti della latitudine sono però largamente modificati dall’altimetria e dalla disposizione dei rilievi. L’escursione termica annua aumenta da S a N: è di soli 3,5 °C a Salina Cruz, sul Golfo di Tehuantepec (16°12′ lat.), di 6,4 °C a Città di Messico (19°30′ lat.), di 10 °C a Tampico (22°13′ lat.), di 13,5 °C a Matamoros (25°52′ lat.) e di 20,2 °C a Ciudad Juárez (31°40′ lat.). Le differenze termiche si fanno più accentuate soprattutto con il variare dell’altimetria. Già H. Cortés distinse tre zone termiche, divenute classiche: tierras calientes («terre calde»), fino ai 600-700 m di altitudine, con temperatura media annua di oltre 22 °C: vi prosperano cacao, banana, canna da zucchero e cotone; tierras templadas («terre temperate»), fra i 600-700 m e i 1600-1700 m, con temperatura media annua di 15-22 °C: vi si coltiva canna da zucchero, ma soprattutto caffè, accanto a mais e fagioli; tierras frias («terre fredde»), al di sopra dei 1700 m, ove la temperatura media annua è inferiore ai 15 °C e frequenti sono le gelate: vi dominano il mais e il grano, mentre l’orzo e la patata si incontrano fino ai 3200 m. Al di sopra di una zona di foreste e di pascoli che può raggiungere i 4000 m, si trovano poi le tierras heladas («terre gelate»): il limite delle nevi permanenti è sui 4700-4800 m.
Il M. tropicale è investito d’estate da aria umida proveniente dal Golfo del M. (aliseo di NE), con copiose piogge da fine maggio-giugno fino a settembre-ottobre. Spesso all’inizio e verso la metà di questo periodo si formano cicloni disastrosi. I massimi pluviometrici si registrano nella pianura costiera sul Golfo del M. e sulle pendici orientali delle sierre, dove la quantità annua supera i 1500 mm (fino oltre 4000 mm a S). La costa pacifica è raggiunta, sempre d’estate, da venti periodici di tipo monsonico, che innescano abbondanti precipitazioni, salvo che a N del Tropico del Cancro. Nelle pianure e nei bacini riparati (Sonora, Sinaloa, Bassa California), la quantità di precipitazioni è assai modesta e irregolarmente distribuita. I cicloni (chubascos) che colpiscono le coste meridionali e occidentali del M. sono di solito meno violenti dei cicloni atlantici.
In inverno, il versante del Golfo del M. può essere raggiunto da venti settentrionali, freddi e secchi (nortes), che provocano gelate sulle alteterre e in pianura, e inoltre periodi più o meno lunghi di siccità. La facciata pacifica, protetta dagli alisei umidi e dai nortes, è in genere arida; solo la regione di Tijuana, nella Bassa California settentrionale, ha piogge invernali di tipo mediterraneo. Tutto l’interno, precluso ai venti, riceve quantità di pioggia scarse (500 mm annui ca., a S), che diminuiscono verso N fino a 300-400 mm; si registrano meno di 200 mm nella regione costiera del Mar Vermiglio e meno di 100 mm nella Bassa California centrale.
Le sierre e la catena vulcanica che le taglia a S racchiudono l’altopiano e impediscono il deflusso delle sue acque al mare, mentre fiumi relativamente brevi e precipiti scorrono sui versanti esterni. Il regime idrico vede le portate massime – a volte causa di devastanti inondazioni – durante la stagione calda, in coincidenza con il periodo piovoso. Massimo fiume del M. è il Río Bravo del Norte, che sbocca nel Golfo del M.; ha cospicue portate e in estate va soggetto a piene. Sulla sua sponda sono sorti numerosi centri, cui in molti casi corrispondono su quella opposta centri gemelli: così alla messicana Ciudad Juárez sta di fronte la statunitense El Paso, a Nuevo Laredo la statunitense Laredo, a Matamoros la statunitense Brownsville ecc.
Tra i fiumi che dalla Sierra Madre Occidentale scendono al Pacifico i maggiori sono il Río Sonora, il Río Yaqui, il Río del Fuerte, il Río Grande de Santiago, uno dei più lunghi del paese, e il Río Balsas, caratterizzati da alvei in gole profonde, cateratte, rapide e cascate, e da frequenti arretramenti delle testate vallive che hanno provocato fenomeni di cattura. Analogamente si comportano i corsi d’acqua del versante esterno della Sierra Madre Orientale: fra di essi il Río Pánuco, il Río Tecolutla, celebrato per la sua imponente cascata, il Papaloapan, con sbocco nella Laguna di Alvarado, il Río Grijalva e l’Usumacinta, che formano un delta comune. L’idrografia dell’altopiano è per lo più priva di sbocchi al mare e le acque si riversano in depressioni dove giacciono laghi o lagune spesso salmastri.
La flora del M., ricca e varia, è caratterizzata da un buon numero di endemismi. Nelle zone costiere, a una fascia di dune con vegetazione caratteristica succede la foresta tropicale umida. Allontanandosi dal mare s’incontrano savane con Graminacee giganti (bambù e altri generi), Ciperacee, Felci arborescenti, Cicadacee, Mimosa pudica ecc. Anche la zona temperata ha una flora ricca e varia, con felci, palme e molte specie dai fiori vivacemente colorati: nella fascia inferiore crescono querce sempreverdi, nella superiore querce caducifoglie su cui abbondano vari Loranthus ed epifite e copiose rampicanti. Una regione particolare è quella delle agavi, con parecchie specie, insieme con Cactacee e Gigliacee arborescenti. Le pendici dei monti del M. centrale e meridionale, fino a 4000 m, sono coperte da foreste di querce e di Conifere, alcune gigantesche, come Taxodium mucronatum. Più in alto cespugli di ginepri e, fino a 4800 m, pascoli erbosi. Dal M. provengono molte specie coltivate nei giardini d’Europa.
La fauna si compone di elementi della regione sonorana e di elementi della sottoregione messicana (della regione neotropicale). Fra i Mammiferi della regione sonorana, sono il cervo messicano, l’antilope americana, lo scoiattolo della Carolina, alcuni hamster, alcuni topi saltatori, il Romerolagus, il puma, alcune specie di Canis e di Vulpes, vari toporagni, Chirotteri e, tra i Marsupiali, l’opossum. Fra i Mammiferi neotropicali si notano alcune scimmie del genere Ateles, alcuni Pipistrelli Fillostomatidi, giaguaro, ocelot, gatto tigrino, vari procioni e martore tra i Carnivori; tra gli Ungulati il pecari; tra i Roditori varie specie affini al nostro istrice; alcune specie di Sdentati tra i quali l’armadillo e il formichiere. La fauna ornitologica include scarsissime specie proprie della regione. I Rettili sono rappresentati da Heloderma horridum, da vari Ofidi e da alligatori e caimani nei fiumi. Gli Anfibi Anuri comprendono fra l’altro una rana di grandi dimensioni (Rana mugiens) e il Nototrema; gli Urodeli il caratteristico Amblystoma mexicanum. Fra gli Invertebrati abbondano i Molluschi terrestri e gli Insetti, rappresentati da tipi oloartici e da specie neotropicali.
Nell’ambito del Nuovo Mondo il M. è un paese di antichissimo popolamento, già all’ultima fase del Pleistocene. L’attuale popolazione messicana deriva da varie stratificazioni; la più importante si verificò a seguito della colonizzazione spagnola: risultato fu la formazione dei mestizos o meticci, che rappresentano circa il 64% della popolazione. I Creoli, Bianchi nati nel paese, formano insieme ai Bianchi ‘puri’ il 15%. Gli Amerindi o Indios, di origine soprattutto azteca, assommano al 18%: presenti in tutto il M., conservano i generi di vita tradizionali, ma in posizione di inferiorità rispetto agli altri gruppi, malgrado la Ley indígena (2001) che li tutela. Scarso è l’elemento nero, spesso mescolato con Indios e Bianchi (zambos). Non mancano comunità europee e asiatiche di differenti nazionalità.
Accanto allo spagnolo, lingua ufficiale, tra le popolazioni amerindie sono diffusi idiomi indigeni del gruppo maya e del gruppo nahua. La religione della grande maggioranza (88%) è quella cattolica, con la quale peraltro si mescolano, nelle aree interne, persistenti elementi di culti precristiani.
Alla data del primo censimento (1895), i Messicani erano 12.632.000; al censimento del 2005 ne risultavano oltre 103 milioni, giunti a più di 111.200.700 a una stima del 2009. Nel corso del 20° sec., dunque, la popolazione è aumentata di circa otto volte. Inoltre, tra 1910 e 1920 si ebbe una crisi demografica (guerra civile, emigrazione verso gli USA, epidemia di ‘spagnola’ del 1918-19), tale che nel 1921 furono censiti 14,3 milioni di individui, meno che nel 1910. Nel 1930 la popolazione risaliva a 16,5 milioni di unità, poi a 19,6 nel 1940. L’incremento si fece poi rapidissimo, oltre il 3% annuo, per il miglioramento della dieta alimentare, delle condizioni economiche e delle pratiche igienico-sanitarie: il tasso di mortalità (4,8‰ nel 2009, rispetto al 16,7‰ dell’immediato dopoguerra), compresa quella infantile (18,8‰), è costantemente sceso. La natalità, invece, è calata solo negli ultimi due decenni (19,7‰ nel 2009, rispetto al 29‰ del periodo 1985-90), per cui l’eccedenza è stata a lungo elevata. Il valore medio di densità (56,3 ab./km2) non rappresenta né le densità molto basse di alcuni Stati del NO (Bassa California Meridionale, 7 ab. per km2; Sonora e Chihuahua, 13) e atlantici (Campeche, 15 ab./km2, Quintana Roo, 23 ab./km2), né quelle del Centro, dove pe;raltro non mancano contrasti, come attestano le densità di 656 ab./km2 (massima assoluta) dello Stato di Messico e di 66 di quello di Michoacán.
Nell’area centrale, e in parte anche nel NE e nel NO, si è soprattutto sviluppato il fenomeno urbano. Al censimento del 1940 la popolazione urbana era il 35% del totale, quota salita, dopo il decollo industriale, al 77% nel 2008; negli ultimi anni, la velocità di crescita della popolazione urbana è rallentata. Tutte le città hanno conosciuto una forte espansione, specie le capitali di Stato; Città di Messico ospita nella sua agglomerazione circa un quinto (oltre 19 milioni) della popolazione del paese. La vicinanza della frontiera statunitense ha accelerato l’urbanizzazione delle regioni settentrionali, dove sono sorte numerose città: scambi, industria, turismo, lavoro frontaliero sostengono l’economia delle città di Tijuana, Ensenada, Mexicali, Ciudad Juárez, Nuevo Laredo, Reynosa e Matamoros. Le grandi città (una sessantina, tra cui superano il milione di ab. Guadalajara, Puebla e Monterrey) hanno assunto il ruolo di ‘centri-rifugio’, pur non essendo in grado di offrire alloggi e occupazioni. Ne è derivato il sorgere di baraccopoli e la proliferazione dei più incontrollabili e umili mestieri. La secolare emigrazione verso gli Stati Uniti è imponente: agli 11 milioni di individui nati nel M. e stabilitisi negli USA, e ai 15 milioni di discendenti di immigrati messicani, vanno aggiunti gli immigrati clandestini (stimati fra 3 e 10 milioni), i frontalieri che lavorano nei centri urbani statunitensi prossimi al confine e la migrazione stagionale dei braceros («braccianti»).
Secondo vari indicatori economico- sociali, il M. rientra fra i paesi sviluppati (il reddito medio pro capite è di 12.700 dollari, oltre il 90% della popolazione è alfabetizzato, l’aspettativa di vita si aggira sui 76 anni); ma il fatto che circa il 40% della popolazione sia al di sotto della soglia di povertà testimonia i gravi squilibri nella distribuzione del reddito e nelle condizioni sociali, all’origine di problemi interni, con implicazioni territoriali, come nel caso dello Stato del Chiapas. Intense e repentine trasformazioni hanno avuto ripercussioni sulla situazione macroeconomica del paese, anche in conseguenza dell’adesione al NAFTA, e poi all’APEC e all’OCSE (cui si è aggiunto un trattato di libero scambio con l’Unione Europea).
Superate la rivoluzione del 1910-20, la depressione degli anni 1930, le riforme agrarie e le nazionalizzazioni realizzate dal presidente L. Cárdenas, il rilancio economico del M. è incominciato intorno al 1940. Si formò un sistema misto, con un settore pubblico pianificato e uno privato in cui prevaleva la presenza straniera, in particolare statunitense, che fino agli anni 1970 mirò all’industrializzazione, alla realizzazione di infrastrutture di comunicazione e all’estensione dei benefici della crescita a più larghi strati della popolazione. Grandi lavori idraulici incrementarono la produzione di energia elettrica e le superfici irrigue. Lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi caribici permise al M., tra il 1979 e il 1982, un tasso di crescita medio annuo dell’8-9%. In seguito, la necessità di ridurre il debito, attraverso restrizioni finanziarie, ricadute sulla classe media e su quelle più povere, portò nel periodo 1980-90 il PIL a crescere dello 0,7% all’anno, mentre il reddito medio reale subiva un decremento dell’1,6% annuo. Rinegoziato (1990) il debito estero e controllate inflazione e spesa pubblica, fu promosso un sistema detto di liberalismo sociale: furono privatizzate le più importanti aziende del settore dei telefoni, del trasporto aereo, delle acciaierie e delle miniere di rame, e in parte il sistema bancario; si favorì l’arrivo di investimenti esteri e vennero eliminate le leggi a protezione dell’industria petrolifera, farmaceutica ed elettronica; aumentarono sia il salario minimo sia il prezzo dei carburanti e le tasse indirette. La liberalizzazione investì anche la proprietà fondiaria. Agli inizi degli anni 1990 la privatizzazione fu intensificata, furono aboliti i controlli sui cambi, ridotta la tassa sul valore aggiunto, dimezzato il tasso di svalutazione rispetto al dollaro, aumentato del 12% il salario minimo. Il decennio seguente vide la crescita del PIL attestarsi sul 3,5% annuo. Ma una grave crisi finanziaria, esplosa alla fine del 1994 a seguito di speculazioni monetarie internazionali, produsse nel biennio 1995-96 una crisi economica senza precedenti: il PIL globale diminuì del 6,2% e quello pro capite addirittura del 7,8% in un solo anno. Misure restrittive di politica fiscale, monetaria e salariale, la ristrutturazione del debito estero e prestiti internazionali consentirono di ridurre il tasso d’inflazione, bruscamente aumentato, e il deficit statale, però a costo di una severa restrizione dell’attività economica e di una contrazione dell’occupazione e dei salari reali. La recessione venne superata rapidamente, soprattutto perché la svalutazione aumentò la competitività delle esportazioni. La normalizzazione dei mercati finanziari e la ristrutturazione del debito produssero un nuovo afflusso di capitali esteri. Il trattato di libero scambio con gli Stati Uniti e il Canada, entrato in vigore nel 1994 (NAFTA), ha prodotto un positivo processo d’integrazione.
Nei primi anni del 20° sec. la crescita del PIL è stata leggermente più alta che in precedenza, con inflazione e disoccupazione contenute; ma, come in precedenza, sono soprattutto le imprese maquiladoras a sostenere la crescita (metà delle esportazioni ca.), peraltro a spese delle condizioni dei lavoratori. La bilancia commerciale, tradizionalmente passiva malgrado qualche anno più favorevole, conosce un sostanziale equilibrio: petrolio e derivati, caffè, prodotti ortofrutticoli, metalli, motori e parti di ricambio per autoveicoli, fibre tessili costituiscono le principali esportazioni; l’importazione interessa soprattutto derrate alimentari, prodotti dell’industria meccanica, elettromeccanica e chimica. Le relazioni più strette avvengono con gli USA, che forniscono ben più della metà delle importazioni e assorbono quasi tutte le esportazioni.
Una quota rilevante della popolazione attiva (il 15% ca. nel 2005) continua a essere occupata nel settore primario, che contribuisce per meno del 4% al PIL. I suoli coltivabili (il 14% ca. della superficie) sono irregolarmente distribuiti: prevalentemente a S, assai meno a N, dove, peraltro, non mancano aree di colture irrigue redditizie (cotone, tabacco). L’irrigazione copre il 20% delle terre coltivabili. Recentemente è stato eliminato il sistema delle terre collettive assegnate ai contadini di un intero villaggio (ejidos), eredità della tradizione maya generalizzata dalla riforma fondiaria del 1917: la privatizzazione delle terre non ha ottenuto il risultato di aumentare la produttività del settore e i redditi dei coltivatori; qualche aumento si è registrato nei settori a presenza capitalistica, ma le condizioni dei piccoli coltivatori sono peggiorate. Molto estesi sono prati e pascoli (42% del totale) e aree forestali (29%), mentre il 15% è incolto o improduttivo.
L’arativo è destinato alle colture di cereali: mais, da oltre 7000 anni coltivato fino a 3000 m s.l.m. e la cui produzione registra un costante incremento (più di 20 milioni di t nel 2005), sorgo (6,3 milioni di t), frumento (3 milioni) e riso; molto diffusa è la coltura dei fagioli. Le coltivazioni ortofrutticole, di ambiente temperato (pesche, pomodori, peperoni, uva) e tropicale (agrumi, fragole, banane, ananas, manghi, avocadi, noci di cocco), registrano quasi tutte incrementi di produzione. Altri prodotti sono il caffè, nelle tierras templadas, la canna da zucchero, nei bassipiani costieri sud-orientali (45 milioni di t), e il cotone. Fra le piante industriali del M. sono anche le agavi, da cui vengono estratti alcolici come il pulque e la tequila, e la sisalana, che fornisce una fibra tessile detta henequén. Il panorama delle colture agricole si completa con il tabacco e le oleaginose.
L’allevamento trova nei prati e nei pascoli naturali buone condizioni: quello dei bovini (31,5 milioni di capi) è praticato nel Nord in forma brada (i bovini da latte prevalgono nel Centro e nel Sud). Si contano poi 14,6 milioni di suini, 9 milioni di caprini, 6,8 di ovini, circa 13 di equini e circa mezzo miliardo di volatili da cortile; tra i prodotti sono rilevanti soprattutto la carne e il latte. Il M. è poi uno dei maggiori esportatori di miele. La pesca ha fornito, nel 2006, circa 1,4 milioni di t di prodotto.
L’industria assorbe il 24% della popolazione attiva e contribuisce per il 27% alla formazione del PIL. Le imprese maggiori del M. sono controllate da società multinazionali, mentre le medie e piccole industrie vedono restringersi lo spazio del loro mercato; si è formato un gruppo di importanti imprese multinazionali di origine messicana. Dal 1966, la presenza nei municipi di frontiera delle maquiladoras (impianti di assemblaggio interamente legati al capitale straniero, favoriti da esenzioni doganali e da agevolazioni fiscali), se ha alleviato il problema occupazionale, ha limitato il sorgere di una industria locale. Fra le industrie di base la siderurgia ha una produzione diversificata, con 16 milioni di t di solo acciaio (impianti di Monterrey; Monclova; Città di Messico; Lazaro Cárdenas-Las Truchas). L’industria chimica (Ocotlán, Zacapú, Toluca, Monterrey, La Leona, Chihuahua, Città di Messico) è ben rappresentata e realizza importanti produzioni, fra le quali fibre artificiali e fertilizzanti; il comparto petrolchimico è fra i più attivi al mondo. Per i beni strumentali il paese dipende ancora pesantemente dall’estero, mentre progressi notevoli sono stati realizzati nelle produzioni di elettrodomestici, materiale elettrico ed elettronico, farmaceutica, della ceramica e in genere dei beni di consumo. Nel settore meccanico sono da ricordare macchine tessili e per ufficio, materiale ferroviario e soprattutto l’industria automobilistica (Città di Messico, Saltillo, Monterrey, Lerma, Guadalajara), in cui operano ditte statunitensi, europee e giapponesi, che si occupano del montaggio di autoveicoli (oltre un milione di autovetture e quasi 700.000 veicoli commerciali nel 2005), con un notevole indotto locale. Le industrie agroalimentari in numerose aree restano il cuore del settore industriale, e hanno spesso una lunga tradizione (tessile, manifattura del tabacco, zucchero, oli, bevande alcoliche ecc.). Il tessuto industriale del M. si articola intorno a quattro agglomerati urbani (Città di Messico, Monterrey, Guadalajara, Minatitlán-Istmo di Tehuantepec), di cui la capitale è senza alcun dubbio il più importante. Di più recente industrializzazione è l’area meridionale.
Il turismo fa leva su un ricco patrimonio archeologico, artistico e ambientale, che fa del M. l’ottava meta turistica mondiale: nel 2006 i visitatori, per il 90% provenienti da Stati Uniti e Canada, sono stati 21,4 milioni.
L’industria estrattiva ha tradizioni che risalgono all’epoca coloniale. L’area che dal Nord-Ovest si allunga fino allo Stato di Chiapas è la maggiore fornitrice di rame; quella orientale, sul Golfo del M., produce essenzialmente petrolio, gas naturale e zolfo; la zona centrale dà argento, piombo e zinco. Con 3000 t estratte (2006), il M. è il secondo produttore del mondo di argento (principali miniere a Pachuca, nell’Hidalgo, e a Parral, nel Chihuahua) e tra i primi di piombo. Vengono inoltre estratti oro, ferro, manganese, tungsteno, antimonio, sale, fosfati naturali e altri. Scarsamente dotato di carbone, il M. ha ricchi giacimenti petroliferi: a N, con i pozzi di Reynosa e Tampico; al Centro, a Ebano-Pánuco, Tuxpan e Poza Rica; nel S ad Angostura, Puerto México e Minatitlán. Nuovi giacimenti sono stati scoperti negli Stati di Veracruz, Bassa California, Tabasco e Chiapas. La produzione petrolifera è salita a 163 milioni di t di greggio nel 2006, cui vanno aggiunti circa 43 milioni di m3 di gas naturale. Oltre 15.000 km di condotte trasferiscono petrolio e derivati alle raffinerie (Minatitlán, Poza Rica, Atzacapotzalco, Salina Cruz, Tula, Monterrey ecc.) e ai porti, mentre il gas viene distribuito mediante 22.700 km di gasdotti ai centri metropolitani. La ricchezza di idrocarburi è alla base del potenziale termoelettrico (cui nelle regioni umide si affianca quello idroelettrico, poco meno importante).
Bisognose di ulteriore sviluppo sono le infrastrutture di trasporto: le ferrovie (26.662 km) sono insufficienti, il sistema stradale (356.000 km, per un terzo asfaltati) non è in buone condizioni, e comporta appena 6400 km di autostrade (su questa rete, circolano quasi 22 milioni di veicoli, secondo dati del 2005). Modestissima è la flotta mercantile (1,1 milioni di t nel 2006), e inadeguato il sistema portuale (Veracruz, Tampico, Acapulco ecc.). È buona la rete aerea (quasi 22 milioni di passeggeri nel 2006, con circa 60 aeroporti esistenti).
Le tracce più antiche della presenza dell’uomo in M. secondo alcuni sarebbero quelle rinvenute a Tlapacoya, sull’altopiano centrale, e risalirebbero al 20.000 a.C. circa. Tuttavia, testimonianze assolutamente certe e diffuse datano dalla fine del Pleistocene, tra il 9000 e il 7000 a.C. Fu probabilmente a partire da questo periodo che negli altopiani del M. centro-meridionali le bande dedite alla caccia e alla raccolta iniziarono il lento processo di domesticazione di importanti piante alimentari (mais, fagioli, amaranto, avocado, peperoncino, zucca), adottando tra l’altro forme di vita sedentaria, inventando tecniche agricole, ceramica e tessitura; un processo che culminò tra il 4° e il 2° millennio a.C., epoca cui risalgono gli insediamenti arcaici di Tehuacán, Cuicuilco e Zohapilco (Tlapacoya) nell’altopiano centrale, di Puerto Marqués sulla costa pacifica e della valle di Oaxaca a S.
Dal 2000 a.C. al 200 d.C. circa (periodo detto formativo), in M. sorsero le prime alte culture propriamente mesoamericane (v. fig.): nella parte settentrionale dell’Istmo di Tehuantepec si affermò la civiltà olmeca, che successivamente estese la sua influenza su gran parte del M. meridionale, lungo la costa pacifica e fino nell’altopiano centrale; a essa si debbono le prime grandi costruzioni monumentali, opere di canalizzazione, sculture megalitiche e, verosimilmente, l’invenzione della scrittura ideografica e del sistema calendarico. Anche altre culture del formativo risentirono dell’influenza olmeca, come a Chiapa de Corzo in Chiapas (probabilmente occupata da genti maya) e a San José Mogote presso Oaxaca. Dal 5° sec. a.C. al 2° d.C. il M. conobbe un’epoca di fermenti regionali, in cui vennero sviluppate l’irrigazione, l’architettura in pietra, la scrittura e si affermò definitivamente l’organizzazione centralizzata della società; a questo periodo risalgono le culture tombali degli Stati occidentali di Jalisco, Colima e Nayarit, note soprattutto per la pregevole ceramica funebre antropomorfa e zoomorfa; ma anche le fasi iniziali di Monte Albán, nella valle di Oaxaca, e i primi importanti centri maya a S (in Chiapas, ma soprattutto in Guatemala). Lo sviluppo più rilevante si ebbe nella Valle del M., dapprima nel sito di Cuicuilco (devastato da un’eruzione vulcanica intorno al 100 a.C.) e quindi a Teotihuacán, che in breve estese il proprio dominio politico, commerciale e culturale su gran parte del M. e oltre, fino ai principali centri maya del Guatemala: Kaminaljuyú e Tikal. Fra il 2° e il 9° sec. d.C. Teotihuacán raggiunse il suo apogeo: lo denotano il vigoroso incremento demografico e la vastità dell’area urbana (intorno ai 200.000 ab. su ca. 20 km2), la grandiosità dei monumenti (la famosa ‘via dei morti’, con le piramidi del Sole e della Luna), l’estensione della rete commerciale e gli influssi rilevabili sulle civiltà coeve. Nello stesso periodo si ebbe infatti una straordinaria fioritura in tutto il M. centro-meridionale: lungo la costa del Golfo, ove sorsero siti di grande rilievo come El Tajín, con sferisteri scolpiti e piramidi a nicchie e gradini; nella valle di Oaxaca, dominata fino all’8° sec. da Monte Albán; ma soprattutto all’estremo SE, in territorio maya, ove sorsero le città-stato di Palenque e Yaxchilán, le cui rovine conservano alcune tra le massime realizzazioni artistiche dell’America precolombiana (tra cui splendidi stucchi e bassorilievi di soggetto storico e sacro).
Dopo il declino di Teotihuacán (7°-8° sec.), l’influenza maya si estese nell’altopiano centrale e nello Yucatán, sviluppando lo stile architettonico e decorativo Puuc. Nel 9° sec. squilibri ecologici e sociali determinarono il crollo a sud dei principali centri maya, le regioni centrali furono invase da popoli barbari e bellicosi (Chichimechi). Grande rilievo acquistò la cultura dei Toltechi (950-1150), che dominarono gran parte dell’altopiano e la cui fama fu legata alle realizzazioni sociali, tecnologiche, artistiche e intellettuali. La frammentazione del potere politico e l’aumento della bellicosità portò al declino delle città-Stato maya a sud-est, mentre nell’altopiano centrale arrivarono nuovi nomadi da nord. Dal 14° sec., con la sottomissione di quasi tutto il M. centrale e meridionale, si sviluppò l’egemonia azteca, disposta secondo un’organizzazione politica stratificata dove l’aristocrazia, sotto la guida del sovrano e del sommo sacerdote, gestiva le attività religiose, militari e amministrative. La floridezza demografica ed economica arricchì una straordinaria cultura, di cui restano testimonianze artistiche, archeologiche, storiche e letterarie.
Gli Spagnoli sottomisero l’impero azteco, con la spedizione di H. Cortés, nominato capitano generale e governatore della Nuova Spagna (1522). Seguì la creazione della prima audiencia continentale (1527), supremo organismo giudiziario con poteri politici. Nel 1529 il M. fu costituito in vicereame ed estese i suoi domini ad America Centrale, Caribi, California, Arizona, Kansas, Oklahoma, New Mexico e Texas. La prima evangelizzazione degli Indios fu opera dei francescani, emulati poi da domenicani, agostiniani e gesuiti. Con il sistema della merced de tierra (concessione gratuita come ricompensa da parte della corona) la terra fu distribuita fra i conquistadores; l’istituto dell’encomienda fu esteso al M., trasformandosi nella possibilità di sfruttare la manodopera indigena; nacque l’industria mineraria grazie alla scoperta (1531-50) di diversi giacimenti d’argento. La riduzione di fatto in schiavitù degli Indios e le malattie importate dall’Europa, causarono una crisi demografica e una grave recessione nell’economia (17° sec.); si formarono grandi proprietà fondiarie autosufficienti (haciendas) che vincolavano a vita e sottomettevano gli Indios. Tra i principali proprietari terrieri della colonia c’era la Chiesa, favorita da donazioni e lasciti. Nel 18° sec., l’avvento in Spagna dei Borbone e le loro riforme amministrative, ecclesiastiche, militari, fiscali e commerciali suscitarono l’opposizione dei Creoli in Messico.
Quando i Borbone caddero sotto Napoleone (1808), gli Spagnoli imprigionarono il viceré J. de Iturrigaray, ritenuto troppo vicino ai Creoli che reclamavano l’indipendenza. Nel 1810, la rivolta contro il dominio spagnolo, guidata dal sacerdote creolo M. Hidalgo y Costilla, mosse le classi più umili della popolazione, che trasformarono i moti per l’indipendenza in una violenta protesta sociale. Gli obiettivi di Hidalgo (abolizione di schiavitù e tasse per gli Indios, ridistribuzione della terra, difesa del cattolicesimo) furono poi ripresi da un altro parroco di campagna, J.M. Morelos (1811); sotto la sua guida il congresso nazionale di Chilpancingo approvò un’effimera dichiarazione d’indipendenza (1813) e promulgò la Costituzione repubblicana di Apatzingán (1814). Sconfitto Morelos (1815), solo alcuni guerriglieri proseguirono isolatamente la lotta al dominio coloniale.
All’avvento al potere dei liberali in Spagna (1820), i ricchi Creoli, convintisi della necessità dell’indipendenza per poter mantenere l’ordine esistente, trovarono il loro campione in A. de Itúrbide, che il 24 febbraio 1821 proclamò l’indipendenza del paese e, occupata Città di Messico, si fece proclamare imperatore costituzionale (1822), ma fu costretto poi ad abdicare dal generale A. López de Santa Ana.
Nel 1824 il M. divenne una repubblica federale organizzata in 19 Stati; il cattolicesimo era proclamato religione ufficiale e venivano mantenuti i fori riservati per la Chiesa e l’esercito; il suffragio era ristretto in base al censo e, pur essendo state abolite la schiavitù e ogni distinzione razziale, gli Indios continuarono di fatto a costituire un gruppo separato. Alla presidenza si alternarono i federalisti, tendenzialmente liberali, e i centralisti, conservatori e clericali. López de Santa Ana, presidente dal 1833, nel 1835 impose un governo fortemente centralizzato; ne seguì la ribellione dei coloni nordamericani insediati nel Texas, proclamatosi indipendente nel marzo 1836. Santa Ana recuperò popolarità difendendo Veracruz dai Francesi, che reclamavano il pagamento di un’indennità per i danni subiti dalle loro imprese nelle lotte civili messicane. Riassunta la presidenza (1841) e promulgata una nuova Costituzione fortemente centralista, Santa Ana venne rovesciato dai liberali (1844), per poi essere richiamato a capo dell’esercito quando l’annessione del Texas e la politica espansionistica nordamericana portarono alla guerra (1846-48). Sconfitto, il M. dovette cedere gli immensi territori a N del Río Grande, cui si aggiunse nel 1853 l’Arizona meridionale.
Rovesciato definitivamente Santa Ana nel 1854, i liberali intrapresero un programma di interventi radicali in campo politico, economico e religioso. I conservatori reagirono destituendo il presidente I. Comonfort (1858): seguirono tre anni di guerra civile durante i quali il governo liberale, stabilitosi a Veracruz sotto la presidenza di B. Juárez, proseguì l’opera riformatrice. Sconfitti sul campo gli oppositori, Juárez entrò a Città di Messico (1861). Il suo rifiuto di riconoscere i debiti contratti con l’estero dal governo conservatore provocò un’intesa tra Francia, Gran Bretagna e Spagna, che nel gennaio 1862 occuparono Veracruz. Mentre Inglesi e Spagnoli, accettate le proposte di Juárez, abbandonarono il paese, i Francesi, col sostegno dei conservatori locali, conquistarono la capitale (1863); mentre il governo Juárez si rifugiava a nord, un’assemblea di notabili offrì la corona a Massimiliano d’Asburgo, che tentò inutilmente di perseguire una politica di conciliazione. Nel 1867 su richiesta degli USA le truppe francesi lasciarono il M.; privato del suo unico supporto, Massimiliano fu catturato e fucilato.
Juárez, rieletto presidente nel 1867 e nel 1871, ridusse drasticamente le forze armate e le spese dello Stato. Il suo successore, S. Lerdo de Tejada, fu rovesciato nel novembre 1876 dal generale Porfírio Díaz. Il regime autoritario di Díaz (detto porfiriato) mirò a ristabilire l’ordine e ad assicurare il progresso economico, grazie soprattutto a massicci investimenti di capitale straniero (settore minerario, estrazione del petrolio, ferrovie). La crescita economica non fu però accompagnata dal rinnovamento delle basi politiche e sociali del paese: il porfiriato finì per identificarsi con la difesa degli interessi dei grandi proprietari terrieri a spese degli Indios e dei piccoli proprietari.
In occasione delle elezioni del 1910, attorno a un ricco proprietario del nord, F. Madero, si costituì un movimento di opposizione al regime che iniziò la resistenza armata; poco dopo E. Zapata diede vita nello Stato di Morelos a una rivolta contadina che affrettò la caduta del dittatore (maggio 1911). Eletto presidente, Madero represse militarmente le rivendicazioni agrarie degli zapatisti, ma nel 1913 fu fatto assassinare dal generale V. Huerta. Ne seguì la ripresa della rivoluzione armata con i contadini di Zapata al sud e con P. Villa e A. Obregón al Nord, alla testa di un eterogeneo esercito di peones, lavoratori giornalieri, disoccupati e piccoli proprietari; a essi si unirono alcuni latifondisti del nord, tra i quali emerse V. Carranza; inoltre intervennero gli USA che, occupando Veracruz, privarono Huerta degli introiti doganali, contribuendo alla sua caduta (1914).
Immediatamente emersero le rivalità tra i vincitori (Villa e Zapata contro Carranza, sostenuto da Obregón) e dopo due anni di guerra civile (durante i quali i nordamericani inviarono nel 1916 la spedizione del generale J.J. Pershing contro Villa), Carranza riuscì a prevalere; nella Costituzione del 1917, accanto ai motivi anticlericali, trovarono comunque spazio alcune riforme sociali rivendicate dai rivoluzionari sconfitti (suffragio universale maschile, legislazione del lavoro, beni del sottosuolo dello Stato, spartizione dei latifondi). Molti articoli della Costituzione rimasero però lettera morta sia durante la presidenza Carranza (1917-20) sia nei 15 anni successivi alla sua cruenta deposizione, dominati da tre generali: Obregón, A. de la Huerta e P.E. Calles. La nuova élite rivoluzionaria si assicurò una base di massa tramite il controllo governativo su sindacati operai e associazioni contadine, in seguito confluiti nel Partido nacional revolucionario (PNR), creato da Calles nel 1929.
Solo con la presidenza del generale L. Cárdenas (1934-40) i principi della Costituzione del 1917 trovarono piena applicazione. Cárdenas si assicurò un sostegno di massa accordando l’appoggio governativo a un nuovo sindacato, la Confederación de trabajadores de México, e all’organizzazione contadina, la Confederación nacional de campesinos, i cui rappresentanti furono inseriti nel Partido de la Revolución Mexicana (PNM), nato nel 1938 dalla ristrutturazione su base corporativa del PNR. Le haciendas furono in gran parte espropriate in favore delle tenute comunitarie di terre (ejidos); furono nazionalizzate le ferrovie e venne avviato un programma di investimenti pubblici nel settore industriale; nel 1938 la nazionalizzazione delle imprese petrolifere straniere portò alla rottura delle relazioni con la Gran Bretagna e a ritorsioni economiche da parte statunitense, terminate con l’ingresso del M. nella Seconda guerra mondiale al fianco degli Alleati (1942).
I successori di Cárdenas poterono proseguire nell’opera di industrializzazione del paese contenendo al minimo, grazie al controllo politico e sociale realizzato attraverso il partito dominante, gli effetti negativi della rapida crescita economica. Il partito, riorganizzato e ribattezzato nel 1946 Partido revolucionario institucional (PRI), consolidò il suo monopolio sulla vita politica del paese, mentre alla presidenza della Repubblica si alternavano suoi esponenti di destra e di sinistra. Negli anni 1950 e 1960 il partito favorì di fatto gli interessi dei settori commerciali e industriali. Il malessere della popolazione rurale diede vita a gravi disordini, repressi con violenza dall’esercito (1966-67), cui seguirono le proteste studentesche scoppiate nella capitale alla vigilia dei Giochi olimpici (1968).
In politica estera il M. seguì in quegli anni un cammino indipendente. La presidenza di L. Echeverría Álvarez (1970-76) cercò di ridurre la dipendenza economica dagli USA e assieme al Venezuela il M. assunse l’iniziativa di creare un sistema economico latino-americano (SELA), libero dal condizionamento statunitense (1975). La scoperta, negli anni 1970, di nuovi giacimenti di petrolio e di gas naturale sembrò aprire prospettive di sviluppo, ma all’inizio del nuovo decennio il crollo dei prezzi del petrolio e l’ascesa dei tassi d’interesse internazionali fecero cadere il M. in una gravissima crisi finanziaria, cui si aggiunsero le conseguenze del violento terremoto che colpì nel settembre 1985 la capitale. Nelle relazioni con l’estero, il governo messicano cercò di potenziare la cooperazione economica con gli USA. La maggiore apertura agli investimenti esteri, l’avvio di un programma di privatizzazioni e le misure di austerità del governo costarono al PRI una sensibile perdita di consenso tra le classi medie e popolari e tra i sindacati; i settori populisti del partito formarono nel 1986 il gruppo Corriente democrática (CD), capeggiato da C. Cárdenas, figlio del generale Lázaro. Espulso dal PRI, Cárdenas accettò la candidatura per le elezioni del 1988 creando il Frente democrático nacional (FDN). Il predominio del PRI fu per la prima volta messo in discussione: il suo candidato, C. Salinas de Gortari, fu eletto con solo il 50,7% dei suffragi, flessione confermata dalle contemporanee consultazioni politiche.
Nel dicembre 1988 governo, imprenditori e sindacati sottoscrissero un Pacto para la estabilidad y el crecimiento económico, rinnovato negli anni successivi; Salinas cercò poi di recuperare consensi promuovendo una campagna contro la corruzione, la criminalità e il traffico di droga. Nelle elezioni legislative del 1991 il PRI aumentò i propri consensi. Salinas apportò alcune modifiche alla Costituzione del 1917: nel febbraio 1992 fu avviato un processo di privatizzazione degli ejidos; contemporaneamente furono abolite le restrizioni nei confronti della Chiesa cattolica. Sul piano internazionale, nel 1992 fu siglato il North American Free Trade Agreement (NAFTA), che prevedeva la creazione di un mercato unico fra M., USA e Canada. Nel 1994 l’Ejército zapatista de liberación nacional (EZLN) insorse nel Chiapas in nome dei diritti degli Indios e di una più equa distribuzione della terra, dando inizio a un movimento di resistenza armata portato avanti poi fino al 2005, sotto la guida del subcomandante Marcos. L’insurrezione e l’assassinio a marzo del candidato del PRI alla presidenza accentuarono la crisi finanziaria del paese, proseguita nonostante l’ammissione del M. all’OCSE. Le elezioni dell’agosto 1994 portarono alla presidenza E. Zedillo, anche lui del PRI.
Nella seconda metà degli anni 1990 il peggioramento della situazione economica poté essere tamponato solo grazie alla concessione di un ingente prestito da parte degli USA e dei principali istituti internazionali di credito. In cambio il governo messicano dovette impegnarsi ad accelerare il programma di privatizzazione in alcuni settori strategici e a introdurre nel corso del 1995 nuove misure di austerità, che ne ridussero ulteriormente il consenso presso le classi popolari. Sul piano della sicurezza interna, Zedillo continuò ad alternare nel Chiapas la repressione militare a difficili trattative con gli insorti. Nelle elezioni legislative del 1997 il PRI non riuscì a conquistare la maggioranza assoluta dei seggi. L’erosione dei consensi culminò nella sconfitta del suo candidato alle elezioni presidenziali del 2000, vinte da V. Fox, del Partido de acción nacional (PAN), la tradizionale opposizione di destra, che pose tra le sue priorità l’adozione di ulteriori misure liberiste e il raggiungimento di una soluzione politica della questione degli Indios.
Nelle elezioni legislative del 2003 il PRI tornò a essere il partito più votato, ma in un quadro di frammentazione politica che ostacolò le riforme economiche e sociali promesse da Fox. Nell’estate del 2006 le nuove elezioni presidenziali furono vinte di misura dal candidato del PAN F. Calderón, che annunciò un programma di lotta contro la corruzione e il crimine organizzato. Tra il 2006 e il 2007 si sono avute nuove polemiche con gli USA in seguito alla decisione di Washington di rafforzare le misure di protezione lungo la frontiera meridionale, al fine di bloccare l’immigrazione illegale. Gli USA si sono dimostrati tuttavia disponibili a collaborare con il governo messicano nella lotta al narcotraffico, la cui attività è stata accompagnata da un drammatico crescendo di violenze (7000 morti nel 2009). Sul fronte interno, le consultazioni presidenziali tenutesi nel luglio 2012 hanno visto l'affermazione dell'esponente del PRI E. Peña Nieto, che si è aggiudicato il 38% dei voti contro il 31% del suo avversario, A.M. López Obrador del Partito della rivoluzione democratica, subentrando a Calderón nella carica di presidente della Repubblica e riportando il Partito revolucionario al potere dopo la sconfitta del 2000. Alle elezioni amministrative e legislative di metà mandato tenutesi nel giugno 2015, alle quali si è registrata un'affluenza alle urne inferiore al 50% degli aventi diritto al voto, il PRI ha ottenuto la maggioranza dei seggi, conservando il controllo della Camera bassa ma non potendo contare su una maggioranza assoluta.
Nonostante il varo di un piano di riforme istituzionali e strutturali in senso liberista nei settori dell’energia, della formazione, delle telecomunicazioni, del fisco e della sicurezza, le difficoltà dovute alla situazione interna e a una complessa congiuntura macroeconomica globale hanno progressivamente eroso il consenso popolare delle forze governative, e alle elezioni presidenziali svoltesi nel luglio 2018 è stato eletto alla guida del Paese A.M. López Obrador, leader della sinistra e fondatore del movimento Movimiento Regeneración Nacional (Morena), che al primo turno delle consultazioni ha ottenuto oltre il 53% dei consensi. Alle elezioni legislative tenutesi nel giugno 2021 il partito del presidente ha perso la maggioranza alla Camera, mantenendo quella assoluta solo grazie all'alleanza con il Partito verde e il Partito del lavoro. A seguito del referendum svoltosi con un'affluenza alle urne del 40% nell'aprile 2022, dopo la modifica costituzionale che ha istituito una verifica di metà mandato per la carica presidenziale, Obrador potrà mantenere la carica fino alla scadenza del mandato del settembre 2024.
La letteratura messicana dell’età coloniale riproduce in tono minore gli schemi e le forme della letteratura della madrepatria, anche se si manifestano sporadicamente aspirazioni all’avviamento di una letteratura autoctona. Il 17° sec. è dominato in campo letterario dall’imitazione di L. de Góngora e P. Calderón de la Barca. Fra le più notevoli personalità di questo periodo, che vanta fra gli altri A. de Saavedra Guzmán (seconda metà 16° sec.), F. González de Eslava e B. de Balbuena (16°-17° sec.), spiccano, per ricchezza e varietà di motivi, suor Juana Inés de la Cruz e C. Sigüenza y Góngora (entrambi 17° sec.).
Mentre l’influsso del barocco spagnolo continua per tutta la prima metà del 18° sec., nella seconda metà l’Illuminismo europeo fa maturare quelle inquietudini politiche e sociali che preparano i movimenti d’indipendenza e che si riflettono in campo letterario in una presa di coscienza della realtà messicana. Più che le Memorias di fray Servando Teresa de Mier o le poesie di fray Manuel de Navarrete (entrambi 18°-19° sec.), è sintomatico di questo nuovo atteggiamento spirituale il romanzo El Periquillo Sarniento (1816) di J.J. Fernández de Lizardi, che sulle orme della letteratura picaresca spagnola dà inizio alla novellistica ispano-americana con caratteristiche proprie. Il Romanticismo, a partire circa dal 1830, favorisce un vero e proprio movimento di cultura, riproponendo problemi di arte, di filosofia, di politica: l’arte cerca di rifarsi alle tradizioni, al genio, alla storia del popolo, realizzando in forme che esteriormente ripetono quelle delle letterature europee un rinnovamento letterario rispondente alla coscienza moderna. Gli interpreti più noti di questa trasformazione sono I. Rodríguez Galván e F. Calderón y Beltrán, mentre d’altro canto l’oratoria, l’eloquenza sonora, la verbosità costituiscono le caratteristiche salienti di una letteratura capace di esercitare un’influenza positiva allorché, divenuta strumento di vita civile, mezzo di persuasione e d’istruzione con J. Díaz Covarrubias, I. Ramírez, I.M. Altamirano, esprime le esigenze della società nuova e gli ideali del sacrificio e dell’eroismo. Nella lirica perdurano a lungo i temi prettamente romantici della poesia patriottica; ma l’apertura cosmopolita e i toni crepuscolari che si avvertono in M.M. Flores e M. Acuña preludono alla grande fioritura modernista che si avrà con M. Gutiérrez Nájera e soprattutto con S. Díaz Mirón.
Sul finire del 19° sec. la narrativa mostra varietà e ricchezza di temi, con più esperte tonalità d’ambiente nelle opere di M. Payno e E. Rabasa; nel contempo le esperienze delle distinte scuole romantica, realista, naturalista valgono a tradurre in una rappresentazione ricca e complessa la materia umana e a inquadrare nel paesaggio fatti e figure storiche, specie per opera di M. Sánchez Mármol, J.A. Mateos, J. López Portillo, R. Delgado, H. Frías e anche del drammaturgo F. Gamboa.
Nel Novecento la letteratura messicana acquista una fisionomia più autonoma. Università, riviste di cultura, movimenti artistici le danno un’impronta notevole: il filosofo d’orientamento bergsoniano A. Caso, J. Vasconcelos, P. Henríquez Ureña, A. Reyes, J.T. Acevedo si fanno promotori, con E. González Martín, J. Torri e altri, del movimento detto dell’Ateneo de la Juventud, cui si deve il grande sviluppo di studi filosofici e pedagogici, nonché della saggistica letteraria. Negli anni della rivoluzione gli ateneístas sostengono la necessità di un’arte che, superando l’esotismo modernista, si faccia interprete dei problemi sociali e politici del momento. In questa stessa prospettiva va letta anche l’opera di due autori estranei al gruppo come il poeta R. López Velarde e il romanziere M. Azuela. Tra le numerose riviste di quest’epoca (Revista moderna, Nosotros, Pégaso, México moderno, El maestro, La antorcha, La falange) particolare importanza ebbe Contemporáneos (1928-31), che introdusse in M. l’ultraismo e il futurismo detto estridentista. Dalle sue file uscirono i poeti J. Torres Bodet, B. Ortiz de Montellano, J. Gorostiza, J. Cuesta; sempre del gruppo dei contemporáneos, C. Pellicer, X. Villaurrutia, G. Owen, S. Novo temperano gli eccessi delle tendenze d’avanguardia con una vena lirica intimista e dai toni pessimisti. Alcuni tra questi poeti come S. Novo e X. Villaurrutia, si impegnarono inoltre a rinnovare il panorama teatrale messicano nel duplice ruolo di impresari e drammaturghi, prima con lo sperimentale Teatro de Ulises, poi col più celebre Teatro de orientación (1932-38) fondato da C. Gorostiza; infine il drammaturgo R. Usigli si distacca come l’autore di maggior rilievo di questo periodo.
Negli anni 1920 e 1930, la narrativa messicana si distingue per la varietà della sua produzione: tra romanzo d’ambiente e romanzo d’ispirazione rivoluzionaria, romanzo sociale, romanzo ‘populista’, romanzo ‘indigenista’, romanzo ‘naturalista’ ecc., tengono il campo, oltre a M. Azuela, M. Luis Guzmán, J.R. Romero, G. López y Fuentes, R.F. Muñoz, A. Vela, M. Magdaleno.
La generazione che inizia a scrivere negli anni 1940 rompe con il realismo dell’epoca anteriore e con i contrasti e le polemiche letterarie che caratterizzano il clima culturale degli anni postrivoluzionari, e anzi assimila, amalgama e trasforma liberamente le diverse tendenze degli scrittori che l’hanno preceduta, come dimostrano i romanzi di A. Yáñez e J. Revueltas. Un’analoga rielaborazione della tradizione antica e recente, ispano-americana e spagnola con influssi nordamericani, europei e orientali, segna la lirica di A. Gutiérrez Hermosillo ed E. Huerta, mentre una iniziale apertura al surrealismo si ha con O. Paz, premio Nobel 1990, e A. Chumacero. Negli anni 1950, la narrativa è dominata dalle figure di J.J. Arreola e J. Rulfo, cui si affiancano, negli anni della fortuna editoriale del romanzo ispano-americano, L. Spota, J. Ibargüengoitia e il più celebre C. Fuentes; la produzione di questi ultimi presenta le strutture narrative e i tratti linguistici innovativi, nonché l’antirealismo, caratteristici del romanzo ispano-americano coevo.
Negli anni 1960, attorno alla Revista méxicana de literatura, sorge un gruppo di giovani scrittori che ha tra i suoi massimi esponenti J. García Ponce, S. Elizondo e V. Leñero, interessati anche alle tendenze sperimentali del nouveau roman e del romanzo nordamericano. Lo spirito di innovazione e sperimentazione si estende anche al teatro che, pur rielaborando esperienze tratte dal teatro dell’assurdo, dal teatro popolare e da quello esistenzialista, presenta come caratteristica dominante la tematica fantastica: E. Carballido ne è la figura più notevole, mentre altri autori sono E. Garro, L.J. Hernández, J. Ibargüengoitia e V. Leñero, creatore di quello che fu definito teatro documental. La lirica è in questi anni contraddistinta dal desiderio di superamento della poesia d’avanguardia; il contesto poetico si amplia fino ad accogliere suggestioni provenienti dalla poesia orientale, da quella classica greco-latina, dalla lirica medievale e rinascimentale, non disdegnando al contempo stimoli popolari e satirici: ne sono esempio l’opera di B. Nuño, J. Garcí Terrés, R. Castellanos, J. Sabines, M.A. Montes de Oca.
Negli anni 1970 e 1980 la lirica, avendo assimilato le tendenze d’avanguardia e la rottura con la tradizione degli anni precedenti, si muove sulla linea della distruzione della poesia, di cui una delle voci più originali è quella di J.E. Pacheco. La narrativa conferma le tendenze degli anni precedenti, e coltiva tentativi di liberazione del genere dai modi di rappresentazione tradizionali, evidenti nelle opere del citato Pacheco, di G. Sainz e J. Augustín.
Negli ultimi decenni del 20° sec., le tumultuose trasformazioni urbane e sociali hanno fatto di Città di Messico, con i suoi mondi diversi, le sue frontiere, le sue leggi, i suoi linguaggi, il tema cardine della narrativa messicana. La scoperta delle molteplici realtà della capitale si coniuga con altri due temi: la rilettura del passato, a metà strada tra storicità e invenzione, e la questione dell’identità messicana, sempre più incerta e mobile (P.I. Taibo II, S. Pitol, D. Sada, J. Villoro). È quanto indicano anche i romanzi sulla frontiera, che riflettono un M. in bilico tra nord e sud del mondo. Queste frontiere labili e in trasformazione trovano un corrispettivo nello stile, in commistioni di lingue (noto come spanglish), di gerghi giovanili e di generi, in una sintassi e una punteggiatura eterodosse. Tra gli autori che s’iscrivono in questa tendenza, ricordiamo: il citato J. Agustín, H. Hiriart, H. Aguilar Camín, G. Samperio, A. Castanón, F. Morábito, J. Moreno Villareal, e le scrittrici M. Glantz, M.L. Puga, S. Molina, B. Jacobs, C. Boullosa. Non mancano scrittori, tuttavia, in cui si osserva un ritorno al racconto fantastico, al romanzo d’avventura, alla rivisitazione dissacrante e ironica della Conquista. Da segnalare infine, tra le voci più interessanti degli inizi del 21° sec., E. Serna.
Nei tre secoli della dominazione spagnola l’architettura seguì in M. le vicende spagnole, salvo alcune caratterizzazioni locali. Un tipico complesso del 16° sec. è costituito da chiesa, con convento annesso, piazza e cimitero antistante, circondata da mura merlate; vi sorgono, nel centro, una grande croce e, agli angoli, quattro cappelle per i servizi funebri; una quinta ‘cappella aperta’ è addossata per lo più alla facciata della chiesa (le cappelle, con originale commistione degli stili romanico, plateresco e gotico; le chiese, con medievale semplicità, a navata unica coperta a tetto, o con volta a botte o a ogiva, e portale plateresco). Tra le più antiche costruzioni: conventi francescani di Tepeaca (1530), di Huejotzingo (1531) e di Cholula (T. de Alcaraz); complessi agostiniani, a Yuririapundaro, a Cuitzco, ad Acolmán, ad Actopam, di maggiore raffinatezza architettonica e decorativa; degli edifici civili rimangono la facciata plateresca della residenza del governatore F. de Montejo a Mérida, i portici e le logge del palazzo di H. Cortés a Cuernavaca. Il primo pittore venuto dalla Spagna fu il fiammingo italianeggiante S. Pereyns, attivo tra 1566 e 1616 (altare maggiore nella chiesa francescana a Huejotzingo). Il primo pittore spagnolo nato in M. fu Juan de Arrué (altare maggiore nella chiesa di Coatlinchán, a Puebla). Vastissimi cicli di affreschi, nei quali le varie scuole spagnole si mescolarono con elementi fiamminghi e italiani, istoriarono le pareti dei conventi (tra i più interessanti, ad Acolmán e a Actopam). Nella scultura del 16° sec. si distinguono le decorazioni architettoniche di andamento piatto, eseguite da artisti legati alla tradizione e al gusto locali, e le sculture degli altari, eseguite da Europei, di stile plateresco.
Il 17° sec. segna l’apogeo dell’architettura spagnola in M.: vi si svilupparono le tendenze del barocco culminate nello stile churrigueresco del 18° secolo. Si diffuse largamente l’uso dell’azulejo. Sorsero numerosi conventi e chiese: notevole il complesso di S. Domenico a Oaxaca, e la cattedrale di Città di Messico, modello di riferimento per successive chiese messicane; il seminario vescovile di Guadalajara (1693) rivela un gusto barocco solo nei portali e nelle possenti colonne di pietra colorata del patio. La pittura barocca, che risente di influenze europee (Ribera, Rubens, Murillo), è rappresentata da B. de Echave, della scuola di Valencia, e L. Juárez; nella seconda metà del secolo emerse l’andaluso S. de Arteaga; alla fine del secolo, J. Suárez.
Il 18° sec. è contrassegnato dal trionfo dello stile churrigueresco (altare dei re della cattedrale di Città di Messico). Tra le opere massime, per chiarezza compositiva e per la decorazione, va ricordata la facciata della chiesa di Tepotzotlán e l’originale ricchezza delle facciate della Santissima, di S. Veracruz e di S. Giovanni di Dio a Città di Messico. Le caratteristiche dell’architettura messicana del 18° sec. (organicità di pianta, ricchezza e vivacità di decorazione) sono riassunte nella cappella del Pocito a Guadalupe. La pittura di transizione tra i due secoli è rappresentata da J. Correa, C. de Villalpando, J. e N. Rodríguez Juárez. Tipicamente settecenteschi sono J. Ibarra e M. Cabrera, seguiti da M. Ruiz, F.A. Vallejo e J. Alcíbar. La scultura è finalizzata a scopi decorativi, mentre hanno grande sviluppo le arti applicate.
Nel 19° sec. ha un ruolo importante l’Academia de Nobles Artes di S. Carlo della Nuova Spagna, fondata da Carlo III nel 1781. La reazione antibarocca fu condotta dal valenciano M. Tolsá, architetto decoratore, e dal creolo F.E. Tresguerras, architetto, pittore, scultore; suo capolavoro è la chiesa del Carmine di Celaya (1802-07), epilogo dell’architettura ispano-messicana. Per la pittura va ricordato M. Jimeno. L’influsso di Tolsá permane nell’indio P. Ixtolinque, scultore, e in R. Alconedo, cesellatore e pittore. Nella seconda metà del secolo la presenza di insegnanti europei, prevalentemente italiani, diffuse un accademismo manierato. Si perfezionarono in Europa i pittori S. Pina e S. Rebull; più notevole fu J.M. Velasco, paesaggista. Si affermò poi una corrente nazionalista di cui fu esempio eminente F. Parra. Un certo fervore produssero l’insegnamento all’Accademia dello spagnolo A.M. Fabrés e la tendenza impressionistica del gruppo raccoltosi intorno a A. Ramos Martínez.
Dopo il trionfo della rivoluzione i maggiori rappresentanti della pittura messicana sono D. Rivera, J.C. Orozco, D.A. Siqueiros, che si affermarono per drammaticità d’ispirazione sociale in grandi pitture murali di pubblici edifici. È poi emersa una pittura talora intimista ed europeizzante, ma più spesso realistica e volta a ispirazioni tratte dalle tradizioni precolombiane (F. Kahlo); tra i seguaci di tale orientamento emerge R. Tamayo. In campo architettonico la posizione del governo, dopo la rivoluzione, è stata incisiva per la programmazione di piani edilizi e soprattutto per l’appoggio dato alla nuova architettura, mentre un ruolo decisivo per il rifiuto di forme architettoniche del passato è stato svolto da J. Villagrán García e dai suoi allievi (de la Mora, Yáñez ecc.) influenzati dalle correnti funzionaliste o da Le Corbusier. Tra le imprese di particolare impegno a metà del 20° sec. è la costruzione della Città Universitaria di Città di Messico (di M. Pani, E. del Moral), che come altre costruzioni pubbliche, associa modi architettonici contemporanei a elementi decorativi tradizionali (affreschi, mosaici, rilievi). Negli anni 1960 fu importante il programma di edilizia scolastica: R.P. Vázquez e i suoi collaboratori, utilizzando mirati elementi prefabbricati, ne assolvono istanze funzionali, economiche e sociali. Tra le personalità di rilievo va ricordato F. Candela.
Negli anni 1970 lo Stato ha intensificato la propria politica edilizia favorendo nuovi programmi di investimento pubblico: unità residenziali (El Rosario, 1972-76, Città di Messico), ospedali, scuole, centri culturali (Città di Messico: Collegio di M. di T. González de León e A. Zabludovsky, 1974-75; Centro culturale della Università di Messico di O. Núñez Ruiz Velasco, 1979; Palazzo dell’Assemblea legislativa di R.P. Vázquez, 1979-81); è emersa una rinnovata tendenza al monumentale che ha influito, negli anni 1980, anche sull’intensa iniziativa privata (Centro commerciale Perisur di J. Sordo Madaleno e J.A. Wiechers, 1981; Museo Tamayo di T. González de León e A. Zabludovsky, Città di Messico, 1981; Biblioteca centrale di P.R. Vázquez, Toluca, 1984-86). Il forte indebitamento internazionale e il terremoto del 1985 hanno determinato il prevalere di programmi mirati a una rapida ed efficace ricostruzione.
Negli anni 1990 hanno trovato espressione diversi linguaggi architettonici, alcuni prosecutori della linea modernista o di quella neocoloniale ispanica e neozapoteca, altri rappresentativi di un indirizzo tecnologico di derivazione internazionale, detto mex-tech, versione locale dell’high-tech di matrice europea (TEN Arquitectos: Scuola Nazionale di Teatro di Churubusco, nella Ciudad de Las Artes, 1995; edificio per appartamenti Parque España, 2001 ecc., a Città di Messico). Accanto alle nuove generazioni, prosegue l’attività di personaggi attivi già da tempo: le opere neomoderniste di A. Zabludovsky (teatri di Guanajuato e Aguascalientes, 1994) e quelle di T. González de León (torre Arcos Bosques Corporativo, Città di Messico, 1997) o le opere, dai colori vivaci, di R. Legorreta, continuatore dell’insegnamento di L. Barragán. Degni di nota, anche: il Teatro delle arti (1998) di A. López Baz e J. Calleja (LBC Arquitectos) o il complesso dell’Arcos Bosques Corporation, di T. González de Léon (2003), a Città di Messico.
In pittura dagli anni 1970 l’esempio di F. Kahlo costituisce un modello per artisti come N.B. Zenil; stimolanti presenze sono quelle di C. Merida, nato in Guatemala; M. Goeritz, di origine austriaca, anticipatore delle Strutture primarie. Sebastián realizza geometriche sculture astratte; creano installazioni M. Paláu e H. Escobedo. Si segnalano ancora i pittori F. Toledo, R. von Gunten e il più giovane G. Orozco; le sculture di P. Cervantes; le azioni di S. Serra.
Le caratteristiche della musica degli Aztechi si possono ricavare da relazioni di cronisti dei primi conquistatori, scritti di autori indigeni, testimonianze iconografiche e reperti archeologici. Rigidamente subordinata alle necessità della liturgia, la musica era coltivata da una casta di professionisti che, in mancanza di una notazione, si tramandavano oralmente il repertorio. Tra gli strumenti musicali assai diffusi erano il teponaztli, tamburo cilindrico di legno cavo, lo huehuetl, tamburo sacro dal suono cupo e profondo, e numerosi tipi di fischietti, flauti, zampogne, corni e trombe.
L’arrivo degli Spagnoli segnò la fine della tradizione musicale autoctona e la sua sostituzione con un repertorio di ascendenza europea. Parallelamente, gli indigeni furono istruiti a prestare la loro opera di cantori e di strumentisti nelle istituzioni musicali fondate sul modello di quelle esistenti in Spagna: tra queste la cappella della missione di Texcoco (fondata nel 1523) diretta dal musicista fiammingo P. de Gante (1480-1572), quelle di Città di Messico (fondata nel 1539) e di Puebla, dove nel 16° e 17° sec. operarono diversi musicisti, tra cui A. de Salazar (dal 1687 al 1715). Accanto al repertorio sacro di importazione o di imitazione europea, ebbero diffusione in M. nello stesso periodo numerose danze, tra le quali la sarabanda e la ciaccona. Il melodramma, che ebbe i primi esempi autoctoni con Rodrigo (1708) e Parténope (1711) di M. de Zumaya (1690-1732), costituì il genere più importante della musica messicana dell’Ottocento, che accentuò la sua dipendenza dalla cultura musicale europea, segnatamente italiana. Tra i compositori più importanti di questo periodo: J.M. Elízaga (1786-1842), fondatore nel 1825 del primo conservatorio, J.A. Gómez, fondatore nel 1839 della prima accademia musicale, M. Morales (1838-1908), A. Ortega (1823-1875), R. Castro (1864-1907) e G.E. Campa (1863-1934).
Nel 20° sec. si è andato sempre meglio delineando un filone che ha cercato di valorizzare il folclore musicale locale, inserendone gli elementi più tipici nell’ambito di esperienze linguistiche moderne e di avanguardia. Tra le personalità di maggior rilievo si segnalano M.B. Jiménez (1910-1956) e soprattutto C. Chávez (1899-1978), che si conquistò anche solida rinomanza internazionale.