L’arte del dire, cioè del parlare in pubblico, a un’adunanza, a un’assemblea, soprattutto in quanto è studiata nella sua attuazione pratica, nelle sue manifestazioni storiche, nella sua evoluzione, nei caratteri con cui si presenta in un’epoca determinata, presso un popolo, o in singoli oratori.
Un’estrema attenzione ai rapporti tra determinati contesti sociali e particolari forme di comunicazione linguistica caratterizza molte società legate a modalità orali di trasmissione del sapere. In molte società non occidentali tale attenzione impone ai parlanti l’adozione di precise strategie oratorie e, quindi, la scelta di forme espressive diverse da evento a evento, soprattutto in contesti connotati da una maggiore formalità. Su tali contesti (rituali, riunioni politiche, sedute giudiziarie) si è maggiormente accentrata l’attenzione degli etnolinguisti. Per es., in alcune società australiane nelle quali vigono particolari restrizioni rituali alle interazioni tra cognati, nel momento in cui un uomo si rende conto della presenza di un suo cognato, adotta una variabile linguistica, definita ‘lingua del cognato’, che gli impone la scelta di parole diverse da quelle quotidianamente adoperate per indicare alcuni oggetti determinati. Altrettanto interessanti sono le lingue cerimoniali diffuse in molte società dell’Africa occidentale, parlate nel corso di determinati momenti rituali e spesso comprese solo dai diretti protagonisti del rito, dai detentori del potere politico e dai ‘linguisti’, veri specialisti della parola. Sempre legate al contesto politico sono le capacità oratorie particolari che sono richieste ai capi e ai linguisti delle Samoa, nel corso dei fono, consigli formali nei quali si discutono importanti questioni di potere. In questo caso i partecipanti devono adoperare un registro formale che impone loro un lessico particolare e continue modificazioni fonetiche delle parole pronunciate.
O. greca. - Presso i Greci, l’o. si sviluppò presto. Già nei poemi omerici appaiono ben delineate figure di oratori e grandi temi dell’o. politica sono già presenti nelle elegie di Tirteo e di Solone (7° e 6° sec. a.C.). Testimonianza indiretta dell’o. si ha dapprima con le opere degli storici del 5° sec., Erodoto e soprattutto Tucidide, il cui uso di inserire nella narrazione discorsi riflette certamente il valore che l’o. aveva nei conflitti politici e nelle decisioni. Atene è la città nella quale l’o. si sviluppa, e dalla quale sono giunte le più significative testimonianze. Dei maggiori uomini politici del 5° sec., Temistocle e Pericle, non ci sono pervenuti direttamente i discorsi pronunciati, ma dai biografi e dagli storici possiamo renderci conto dell’elevato e maturo livello artistico raggiunto dal discorso politico. Da Corace e Tisia l’o. trasse gli artifici della retorica. La sofistica, con Gorgia e Trasimaco, introdusse nell’o. l’elemento propriamente artistico, teorizzando e attuando principi stilistici e compositivi che rimarranno fondamentali. Nel tardo 5° e nel 4° sec. a.C. vissero in Atene i 10 oratori che furono poi dalla filologia ellenistica considerati canonici: Antifonte, Andocide, Lisia, Isocrate, Iseo, Eschine, Demostene, Iperide, Licurgo, Dinarco.
Mentre Lisia, oratore soprattutto giudiziario, rimase modello insuperato di sobrietà, purezza di stile, forza semplice e stile tenue, perfetto narratore e rappresentatore di caratteri, Isocrate, Demostene ed Eschine abbracciano con la loro attività tutto il campo dei generi dell’o., creando il modello definitivo per le generazioni successive e soprattutto per la grande o. romana. Isocrate (che non pronunciò mai le sue orazioni) portò a perfezione l’ideale di euritmia e di composizione sapiente, evitando però l’artificio troppo vistoso e perseguendo un ideale di composizione lontana da ogni eccesso. Si devono a Isocrate alcune leggi fondamentali del periodare oratorio. In Demostene e in Eschine, personalmente impegnati nella lotta politica e giudiziaria, l’o. è soprattutto strumento di convinzione dell’assemblea e del tribunale. Demostene fu unanimemente considerato nell’antichità il maggiore degli oratori politici d’ogni tempo, come quello in cui la forma trovava un equilibrio completo.
Con il tramontare dei problemi che tormentano le ultime generazioni libere delle città greche, sotto il dominio macedone, la funzione dell’o., che trova ancora in Demetrio Falereo un esponente di grande merito, si trasforma. Piuttosto che di o. è necessario, dalla fine del 4° sec. in poi, parlare, per la Grecia, di indirizzi retorici (➔ atticismo).
O. romana. - Anche a Roma l’o. sorse presto nelle discussioni del Senato e del foro e nell’eloquenza giudiziaria. L’epoca nella quale l’arte o. si sviluppa e raggiunge il suo massimo valore e splendore è quella repubblicana; la decadenza delle istituzioni repubblicane di fronte all’affermarsi del potere imperiale fu già dai Romani riconosciuta (come si evince dal Dialogus de oratoribus) come causa della decadenza dell’o. e della sua trasformazione in retorica di scuola.
Dapprima l’o. fu prodotto spontaneo delle necessità del foro e delle assemblee. Nel 2° sec. a.C., poi, entrando Roma decisamente nell’orbita della cultura ellenistica, si prese a coltivare non soltanto lo studio del diritto e dei problemi della vita pubblica come fondamento dell’o., ma anche l’arte retorica, introdotta dai retori greci. Nel generale processo di reazione all’influenza greca furono coinvolti soprattutto i maestri di retorica, già nel 161 a.C. cacciati da Roma, di cui ancora nel 92 a.C. un editto censorio chiudeva le scuole. Il processo di formazione dell’o. latina continuò tuttavia indisturbato. L’o. latina repubblicana è per noi quasi interamente perduta, con l’unica eccezione di Cicerone e con gli scarsi frammenti di Catone il Censore e Gaio Gracco: gran parte del quadro della storia dell’o. romana repubblicana che possiamo ricostruire si fonda sulla rassegna che Cicerone ne fa nel Brutus. La prima orazione pubblicata sembra sia stata quella di Appio Claudio il Cieco contro le proposte di Pirro al Senato (280 a.C.); Appio Claudio, Fabio Massimo, Cecilio Metello, Marco Cornelio Cetego sono i precursori del primo periodo dell’o. latina. Segue Gaio Gracco, con il quale l’o. subisce l’influenza greca. Un terzo periodo è quello di Lucio Licinio Crasso e Marco Antonio. L’età successiva è dominata da Cicerone, oltre che dalle figure di Licinio Calvo, Giulio Cesare, Asinio Pollione, Celio Rufo, Bruto. Altro grande oratore fu Ortensio Ortalo, della scuola asiana (➔ asianesimo), contro la quale fu viva la reazione degli atticisti, impersonata soprattutto da Calvo.
La nuova o. dell’età imperiale, fiorita nelle scuole retoriche, ha caratteri notevolmente diversi dalla grande o. repubblicana, come possiamo desumere dalle Controversiae e dalle Suasoriae di Seneca il Retore. Iniziatore della nuova o. era considerato Cassio Severo, fiorito sotto Augusto; della generazione successiva sono Gneo Domizio e Giulio Africano. Sotto i Flavi visse Marco Fabio Quintiliano, il teorico dell’institutio oratoria. Nell’età di Nerva e Traiano i maggiori oratori sono Plinio il Giovane e lo storico Tacito; del primo è l’unico discorso pervenuto intero di tutta l’o. del 1° sec. (il panegirico a Traiano). Del 2° sec. sono Frontone e Apuleio. Negli ultimi secoli dell’Impero i due più importanti generi d’o. furono il panegirico e la predica (omiletica ➔ omelia).
O. civile. - Nel Medioevo, l’o. continuò a essere considerata la più nobile delle arti, e la retorica è principale materia d’insegnamento. Non abbiamo trascrizioni testuali della viva o. esercitata nelle assemblee barbariche e negli arenghi comunali; numerosi sono invece i trattati di eloquenza (i più antichi, del 13° sec.). L’o. civile dell’età umanistica ebbe uno dei maggiori rappresentanti in E.S. Piccolomini (Pio II), in latino; uno dei più begli esempi di o. in volgare è l’orazione del doge T. Mocenigo contro il partito di F. Foscari (1421); dell’o. fiorentina restano protesti di M. Palmieri, G. Manetti, D. Acciaiuoli, L. Bruni ecc., e discorsi del capitano del popolo (16, attribuiti a S. Porcari). Larga imitazione nelle controversie tra umanisti ebbero le Verrine ciceroniane; scarso sviluppo l’oratoria forense, per la forma delle cause, discusse a botta e risposta piuttosto che per lunghe arringhe.
Con la fine della libertà politica, l’o. italiana divenne esercitazione scolastica e accademica, mentre nel 17° e 18° sec. crebbe d’importanza l’oratoria forense, specie a Napoli. Dopo la Rivoluzione francese cominciò l’eloquenza politica moderna (importantissima la funzione dell’o. nelle assemblee della rivoluzione); nei sec. 19° e 20° l’o. parlamentare e politica, l’o. forense e l’o. culturale, nella forma delle conferenze, hanno perduto ogni carattere di scuola, per cui oggi di o. nel senso classico della parola non è più possibile parlare.
O. sacra. - Nei primi secoli della cristianità l’o. ebbe intenti esclusivamente religiosi e fu volta a interpretare, per lo più allegoricamente, passi delle Scritture o a fornire dissertazioni di carattere morale. Sebbene i sermoni avessero sempre carattere dotto, sin dall’8° sec. in alcuni paesi e almeno dal 10° in altri, come in Italia, i predicatori spesso si servivano dei volgari. Dopo un periodo di generale decadenza, nell’11° sec. la predicazione si fece assai più attiva, specialmente in Francia, a opera di tutta una serie di grandi vescovi e sacerdoti, e soprattutto in relazione alle crociate.
Al principio del 13° sec. la fondazione degli ordini dei domenicani e dei francescani diede grande impulso all’eloquenza sacra, sotto lo stimolo delle eresie e della necessità d’un rinnovamento interno della Chiesa. L’entusiasmo popolare accompagnava la predicazione, e per emulare i domenicani e i francescani si diedero con rinnovato fervore alla predicazione anche gli altri ordini religiosi. I predicatori erano a parte di ogni affare politico, chiamati dai Comuni e dai signori a preparare in vario senso l’opinione pubblica; molte volte furono essi stessi iniziatori di provvedimenti che, aiutati dalle masse, imponevano alle autorità. Questo ascendente politico toccò il suo vertice con G. Savonarola. Poi, nel 1517, il 5° Concilio Lateranense frenò la troppa libertà della predicazione, sottoponendola all’assidua vigilanza dei vescovi.
Dopo il Concilio tridentino, che confermò e rafforzò tali decreti, i gesuiti divennero i veri padroni dei pulpiti, oratori celebri ed efficacissimi, rendendo popolare, accanto alla predicazione della quaresima e dell’avvento, un altro genere di eloquenza sacra, quello delle ‘lezioni’. Frequenti diventarono i trattati d’arte o., volti a chiarificare le norme tridentine. Le grandi controversie religiose del 17° sec. (giansenismo, lassismo, quietismo) arricchirono d’impegno e di fervore l’o., mentre nel Settecento imperò un’architettura di ragionamento minuziosa e talvolta cavillosa, in sintonia con i nuovi tempi inclini al gusto della filosofia e della scienza.
Nell’Ottocento l’o. sacra ebbe fini quasi esclusivamente dottrinari: riaffermare la verità dei dogmi, la legittimità e santità della Chiesa, l’esistenza di Dio, lottare contro gli errori che il Sillabo di Pio IX elencherà (1864), mostrare legittima la conciliazione tra scienza e fede, prendere posizione nei grandi movimenti politici e sociali del tempo. Secondo lo spirito dell’eloquenza ottocentesca continuò, nel 20° sec., la tradizione di un’o. caritativa, sociale, impegnata nelle lotte del tempo, anche con intenti politici. Dopo il Vaticano II l’o. venne sempre più rivolta a sviluppare temi biblici e liturgici.