Retore (n. Cirta, Numidia, inizio sec. 2º d. C. - m. 170 circa). È il più notevole rappresentante della cultura pagana del suo secolo; la sua attività è volta pressoché esclusivamente ad esaltare i valori della tradizione, attraverso il recupero del vocabolo arcaico, in una ricerca puntigliosa e spesso angusta, che riflette la derivazione provinciale del suo arcaismo. Il confronto col lessico arcaico, senza alcuna esigenza di una più ampia nozione di stile, è il suo unico obiettivo.
Già famoso sotto Adriano, fu console nel 143 sotto Antonino Pio, che gli affidò l'educazione di Marco Aurelio e di Lucio Vero. Gli scritti di F. furono scoperti dal card. A. Mai in un palinsesto bobbiese del sec. 6º, di cui la parte più cospicua fu rinvenuta nella Biblioteca Ambrosiana di Milano (e pubblicata nel 1815) e un'altra parte nella Vaticana (e pubblicata, con la precedente, nel 1823 e nuovamente nel 1846). Fra gli scritti così recuperati di F. un posto particolare occupa l'epistolario: sono 5 libri di epistole a Marco Aurelio, quando questi era designato al trono, 2 libri di epistole a Marco Aurelio divenuto imperatore, 2 libri di epistole a Lucio Vero; inoltre vi sono altre epistole ad Antonino Pio e agli amici. Molte lettere sono in una mescolanza di latino e di greco; alcune completamente in greco. Sono aggregati ad esse altri scritti retorici quali: il De bello Parthico, sulla campagna di Lucio Vero contro i Parti; i Principia historiae, contenenti le idee di F. sulla storiografia, i modelli da preferire (Catone specialmente); l'᾿Ερωτικός (in greco), sull'amore; l'Arion, sulla favola di Arione; le Laudes fumi et pulveris; le Laudes neglegentiae, e altri scritti minori. Il culto esclusivo della parola antica (ricercata soprattutto negli esempî di Plauto, Ennio, Catone, Lucrezio, Sallustio; da questo punto di vista gli scritti di F. risultano preziosi per i grammatici posteriori), la ricerca affettata di semplicità, l'uso di preziosismi e di grecismi preannunciano già chiaramente il processo di involuzione di quella cultura che F. intende così tenacemente riaffermare.