Legislatore ateniese (n. 640-30 a. C. - m. 560 circa), figlio di Execestide, di famiglia nobile. Si narra che, ancor giovane, abbia con un'elegia stimolato gli Ateniesi a riprendere ai Megaresi l'isola di Salamina. Eletto arconte (594-93) ebbe l'incarico di redigere un codice di leggi. Provvedimento preliminare di S. fu la σεισάχϑεια ("scotimento dei pesi") con cui egli abolì le ipoteche sulla persona evitando in tal modo la servitù per debiti cui andavano incontro, impoverendosi, i piccoli proprietarî. Inoltre introdusse un ordinamento statale basato sul censo così che oneri e diritti fossero proporzionati alla capacità finanziaria dei cittadini: promosse cioè un governo timocratico (τιμή "censo"). I liberi furono divisi in quattro classi: pentacosiomedimni (con rendita annua di almeno 500 medimni, cioè circa 260 hl di orzo), cavalieri (che possedevano almeno un cavallo, con rendita valutabile perciò a 300 medimni all'anno), zeugiti (che disponevano di una coppia di buoi, con rendita valutabile a 200 medimni) e teti, cioè liberi, non provvisti di particolari beni di fortuna. Tra le classi superiori si distribuivano le magistrature. Solo i pentacosiomedimni potevano essere tesorieri di Atena, e dalle due prime classi soltanto si potevano eleggere i 9 arconti. I teti non avevano che il diritto di partecipare all'assemblea popolare. Secondo la tradizione S. istituì tribunali popolari (la eliea), di cui però non possiamo determinare la composizione e la competenza. S. accrebbe anche le competenze giudiziarie dello stato permettendo l'accusa pubblica (γραϕή) contro ogni reato a danno di privati: in diritto criminale lasciò intatte le leggi di Dracone. In diritto civile la riforma più importante fu l'introduzione della facoltà di testare liberamente; con altri provvedimenti limitò il lusso e punì la disoccupazione volontaria. La legislazione di S. rappresenta un tentativo di assicurare allo stato ordine e pace senza scuoterne le basi tradizionali: sebbene essa ponesse il potere effettivo nelle mani dei ricchi e medî proprietarî senza tener conto né della classe dei mercanti e armatori, che allora veniva formandosi favorita dalle sue stesse leggi, né di quella proletaria, tuttavia in essa si può riconoscere il merito di un avviamento alla democrazia quale si instaurò quasi un secolo dopo con Clistene. Dopo il suo arcontato S. si recò all'estero: le leggende su di lui, dopo tale volontario esilio (incontri con Creso, ritorno in Atene per mettere in guardia i concittadini contro Pisistrato), sono probabilmente anacronistiche invenzioni. S. scrisse poesie in distici elegiaci, trimetri giambici e tetrametri trocaici con stile e lingua prevalentemente ionici, con tono più oratorio che poetico; hanno valore come documento storico e umano. Dai suoi versi emerge una profonda fiducia nella giustizia, unita a sentimenti di profonda religiosità. Con le sue poesie S. esercitò immensa efficacia educativa e per la serietà delle sue concezioni morali, il suo patriottismo e la sua opera di legislatore fu annoverato fra i sette sapienti della Grecia.