terremoto Movimento di una porzione più o meno grande di superficie terrestre, costituito da oscillazioni del terreno che si succedono per un periodo di tempo che può andare da pochi secondi ad alcuni minuti e corrispondenti all’arrivo nella zona di gruppi diversi di onde sismiche (➔ sismologia).
Le onde sismiche possono essere longitudinali, trasversali, superficiali. In un t., le prime ad arrivare sono le onde più veloci, longitudinali (onde prime); esse determinano nel suolo sollecitazioni alternate di compressione e di dilatazione, con conseguenti vibrazioni dirette secondo la direzione di propagazione delle onde; seguono le onde trasversali (onde seconde), che determinano nel suolo vibrazioni in direzione perpendicolare alla direzione di propagazione e, successivamente, le onde superficiali con carattere più complesso. Alle vibrazioni sismiche che si manifestano approssimativamente secondo la direzione della verticale del luogo d’osservazione si dà il nome di scosse sussultorie, mentre vengono chiamate scosse ondulatorie le vibrazioni in senso orizzontale; questi caratteri, come ben dimostrano le registrazioni accelerometriche effettuate in zona epicentrale, non sono quasi mai distinti fra loro. Spesso un t. è seguito, a breve distanza di tempo, da altre scosse, dette scosse di replica (o semplicemente repliche), la cui intensità è di solito inferiore e la cui frequenza tende a diminuire nel tempo; tali scosse sono dovute ai fenomeni di assestamento conseguenti allo squilibrio creato dalla scossa principale nelle zone circostanti. Talora la scossa principale è preceduta da lievi scosse preliminari, spesso avvertite solo dai sismografi. Per ogni singola scossa si possono assumere come dati caratteristici l’istante di inizio, o tempo origine, le coordinate (compresa la profondità) dell’ipocentro, l’energia sviluppata (di cui è misura la magnitudo). Queste grandezze vengono determinate mediante le registrazioni dei sismografi (sismogrammi), da cui vengono dedotti gli istanti di arrivo delle varie onde, la loro ampiezza e il loro periodo.
All’inizio del 20° sec., quando già si disponeva di una rete mondiale di stazioni sismografiche, si poté conoscere quale fosse la distribuzione globale dei t. sulla superficie terrestre. L’attività sismica è principalmente associata ai movimenti relativi delle zolle litosferiche. I t. sono concentrati, per la maggior parte, in zone che seguono i confini delle zolle, mentre solo una piccola percentuale si origina all’interno di esse, dove è presente, generalmente, una crosta continentale stabile. Le indagini più recenti hanno evidenziato che quest’ultima però si deforma in risposta alle sollecitazioni compressive trasmesse dai margini di zolla; questa deformazione può provocare così t. la cui origine sembra debba ricercarsi nella presenza, all’interno delle zolle, di aree che erano state sottoposte in passato a fenomeni di distensione, come margini passivi e rift abortiti. Altre indagini hanno inoltre messo in evidenza che grandi t. possono avvenire non solo lungo faglie superficiali, ma anche in corrispondenza di faglie cieche presenti sotto successioni sedimentarie a pieghe, la cui deformazione evidenzia una compressione crostale dovuta alla collisione di due zolle tettoniche. Le fasce di attività sismica lungo i confini delle zolle sono piuttosto strette, soltanto dell’ordine di 100 km in corrispondenza delle linee di separazione rappresentate dalle dorsali oceaniche.
Ogni anno si verificano alcune migliaia di t. con magnitudo superiore a 4, cioè distintamente avvertibili dall’uomo. L’attività sismica differisce considerevolmente per frequenza e intensità tra le varie zone considerate. Circa il 75% dell’energia rilasciata dai t. è concentrata sulla ‘cintura circumpacifica’, che segue la linea delle coste e degli archi insulari del Pacifico; un altro 20% è prodotto nella ‘cintura alpina’, che si estende dall’area mediterranea fino all’Asia centrale attraverso il Vicino e Medio Oriente. È stato osservato che i t. avvengono fino a una profondità di circa 700 km, che rappresenta il limite della subduzione delle zolle oceaniche sotto quelle continentali. Circa il 30% degli eventi si verifica a una profondità maggiore di 100 km.
Tradizionalmente i t. vengono suddivisi in superficiali, intermedi e profondi, se la loro profondità è rispettivamente inferiore a 70 km, compresa tra 70 e 300 km, superiore a 300 km. I t. intermedi e profondi sono usualmente associati con zolle in fase di sprofondamento, e la loro distribuzione ricalca infatti quella delle zone di subduzione. I t. profondi, cioè quelli al di sotto di 300 km, si verificano soltanto in regioni particolari, come il Mar del Giappone, le Isole Figi, il Mar di Banda e l’Argentina meridionale. I t. intermedi, invece, non sono concentrati soltanto lungo le superfici di sprofondamento, ma si possono trovare anche dove due zolle continentali collidono, come nell’Asia centrale. A differenza dei t. superficiali che sono prodotti da processi di fratturazione fragile e di scivolamento con attrito lungo piani di faglia, quelli intermedi e profondi sembra abbiano una genesi più complessa. Essi si originano nelle zone di subduzione e hanno una distribuzione legata alle trasformazioni di fase che si verificano in profondità, nel mantello, a causa dell’aumento di pressione; questa provoca infatti la riorganizzazione dei reticoli cristallini in strutture più compatte con minerali che si trasformano in fasi caratterizzate da densità via via più elevate.
Nel passato, in mancanza di dati strumentali, per valutare l’intensità delle scosse erano usate esclusivamente le cosiddette scale sismiche, basate sulla classificazione dei danni provocati dal t. a manufatti civili e, per i t. più violenti, all’ambiente naturale; per i t. di lieve entità, si faceva piuttosto riferimento all’‘avvertibilità’ del t., sia strumentale, sia umana. Un tale criterio ha dominato la sismologia nella sua prima veste naturalistica e ha tuttora una certa importanza, tanto che le prime scale sismiche di intensità (propriamente, intensità macrosismica) sono state via via adattate alla progressiva evoluzione dell’ingegneria civile, cercando di collegare gli aspetti qualitativi a qualche parametro fisico e, principalmente, all’accelerazione massima del suolo, di primaria importanza tecnica. La scala più usata di questo genere è stata la scala Mercalli, inizialmente divisa in 10 gradi e poi ampliata in 12 gradi (scala Mercalli-Cancani-Sieberg; v. tab.). In sismologia si preferisce la scala delle magnitudo che è su base fisica rigorosamente oggettiva. La prima a essere introdotta (C.F. Richter, 1935; ➔ magnitudo) fu la magnitudo locale ml, definita dalla relazione:
ml = log10A − log10A0,
dove A è la massima ampiezza registrata da un sismografo a torsione Wood-Anderson (amplificazione 2800, periodo proprio 0,8 s, costante di smorzamento 0,8) a una data distanza, e A0 è quella per la scossa di magnitudo zero a quella stessa distanza. La scossa di magnitudo zero è, per definizione, quella che produce una deviazione di 1 µm sul sismogramma del sismografo Wood-Anderson a 100 km di distanza. L’ampiezza A0 è funzione della distanza epicentrale Δ determinata empiricamente da Richter per distanze tra 20 e 600 km. Questa scala classifica i t. in base all’ampiezza di specifiche onde sismiche, che può variare per un t. di data energia a seconda delle frequenze d’onda misurate. La scala di magnitudo basata invece sul momento sismico è, allo stato delle conoscenze, riconosciuta come la più attendibile per valutare l’entità di un terremoto. Essa infatti prende in considerazione il processo fisico che sta all’origine di un t., vale a dire lo scorrimento di rocce lungo un piano di faglia. Il momento sismico è la grandezza della coppia di forze che provocano la dislocazione delle rocce lungo la faglia. Esso è uguale all’area della superficie di rottura, moltiplicata per lo spostamento medio della roccia lungo la faglia e per un coefficiente di rigidità caratteristico della roccia. Il momento sismico può essere calcolato anche se la faglia è inaccessibile, grazie alla tecnica messa a punto da K. Aki (1980); su questa base il momento sismico di un t., e quindi la sua magnitudo di momento, può essere determinato dalle componenti di bassa frequenza delle onde sismiche, che a loro volta possono essere registrate a distanza dai sismografi.
L’intensità delle scosse sismiche decresce, di norma, con l’aumentare della distanza dall’epicentro. Congiungendo su una carta geografica i punti della superficie terrestre nei quali l’intensità di una data scossa ha assunto il medesimo valore si ottengono linee, dette isosismiche, che generalmente racchiudono l’epicentro e il cui andamento dipende in modo assai stretto dalle caratteristiche elastiche del suolo. L’isosismica relativa al massimo valore di intensità si chiama linea megasismica, ed epicentro macrosismico la regione da essa delimitata. L’epicentro macrosismico si trova talvolta distante qualche kilometro dall’epicentro microsismico, determinato con il calcolo a mezzo dei sismografi, a causa di disomogeneità nella zona percorsa dalle onde sismiche. La nozione di epicentro era un tempo legata essenzialmente alla constatazione dell’esistenza di un luogo in cui il t. si era manifestato più violentemente. Oggi si sa che il t. è causato principalmente da fratture di rocce e che l’energia elastica liberata da un t. sotto forma di onde sismiche si sprigiona da una sorgente costituita da volumi piuttosto vasti di roccia. Pertanto, le nozioni di ipocentro e di epicentro nella sismologia moderna non hanno un preciso significato fisico; hanno solo un valore di approssimazione al caso limite in cui le dimensioni della sorgente siano veramente trascurabili rispetto alla distanza percorsa dalle onde in esame. Di conseguenza, per la determinazione dei parametri ipocentrali, costituiti dal tempo origine e dalle tre coordinate spaziali, pur avendo presente che il t. non ha origine né in un istante, né in un punto, è comunque ritenuta una valida ipotesi di lavoro il considerare l’energia sismica propagantesi lungo raggi sismici.
Gli effetti delle scosse sismiche sono particolarmente vistosi nei terreni coerenti e si manifestano nella formazione di frane e dislocazioni orizzontali o verticali; si possono inoltre avere notevoli mutamenti nell’idrografia della regione colpita, per es. per la deviazione di corsi d’acqua, per la scomparsa di bacini lacustri e la formazione di nuovi, per alterazione nel regime delle sorgenti. Alla vibrazione della superficie terrestre sembra sia da ascrivere il rombo sismico, cupo rumore che sovente accompagna le scosse, specie se di origine molto superficiale. Tra i fenomeni concomitanti il maremoto (➔) può aumentare di molto i danni da t. che avvengono al largo delle coste.
Sul numero dei t. che si hanno in media sulla Terra, si fanno le stime più disparate. La frequenza relativa dei t. di piccola e grande entità può essere descritta dalla distribuzione statistica della loro magnitudo. Una varietà di studi ha dimostrato che, almeno su intervalli limitati di magnitudo, una distribuzione esponenziale costituisce una discreta approssimazione della realtà. In genere, essa si esprime facendo ricorso al numero N(m) di t. di magnitudo superiore o uguale a m, mediante la relazione:
log10N(m) = a − bm,
dove a, b sono costanti caratteristiche di una data regione e per un dato periodo di tempo. Sono state effettuate stime dei parametri a, b per campioni di dati relativi sia al mondo intero sia a singole regioni. Relazioni dello stesso tipo sono state usate per microterremoti di magnitudo anche inferiore a zero. La distribuzione esponenziale è largamente usata come approssimazione empirica dei dati nonostante il fatto che i parametri a e b non siano direttamente correlati con alcuna proprietà fisica. Formalmente, la costante a è uguale al logaritmo del numero di t. con magnitudo maggiore di 0 ed è in qualche modo una misura della sismicità complessiva per una data regione. Il valore di b è una misura del numero relativo di t. di piccola e di grande magnitudo. Sono stati fatti anche tentativi d’interpretazione del significato fisico della costante b, ed è stato proposto che un basso valore di b indichi una tensione elevata nella regione della sorgente e viceversa. Si sono osservate variazioni del valore di b tra 0,5 e 1,5. Si è anche trovato che un alto valore di b è generalmente in relazione con una maggiore attività sismica. I valori stimati per b variano non solo da regione a regione, ma anche con la profondità.
Tutto ciò ha una certa rilevanza per quanto riguarda la previsione dei t., argomento di enorme importanza, soprattutto oggi che, ai danni diretti dei sismi alle persone e alle cose, si aggiungono quelli, incalcolabili, che deriverebbero dalla fuga di materiali radioattivi da centrali nucleari di potenza o di gas e liquidi tossici da impianti chimici danneggiati dal t., che potrebbero raggiungere distanze difficilmente prevedibili.
I metodi di previsione proposti e provati sono numerosi. Da un punto di vista metodologico possono essere distinti in due gruppi: sperimentali e statistici. I primi sono rivolti al rilievo dei precursori sismici, cioè di variazioni delle proprietà fisiche (precursori fisici), chimiche (precursori chimici) e altre, dell’ambiente dove avverrà il sisma; i secondi per lo più sono rivolti allo studio dei cataloghi dei t. e di sciami di piccoli t. che precedono i grandi sismi.
Metodi sperimentali. Come precursori sperimentati nella litosfera sottoposta allo sforzo dei moti tettonici sono stati riconosciuti l’emissione acustica delle rocce, le variazioni del campo geomagnetico o della resistività elettrica o delle correnti elettriche tettoniche, le variazioni delle proprietà chimiche dell’acqua, l’emissione di gas dal sottosuolo, le variazioni della velocità delle onde sismiche, le deformazioni del suolo. Tutti questi precursori sono legati alle variazioni dello stato di sforzo nella litosfera che sono misurate con il metodo della frattura idraulica, mediante il pompaggio di acqua in un foro praticato nella roccia, fino a raggiungere l’equilibrio di pressione, oppure con il metodo del sovracarotaggio, osservando la deformazione di un campione di roccia, estratto da un foro accuratamente calibrato.
I precursori magnetici consentono di avere indicazioni sullo stato di sforzo, in quanto al crescere della pressione la suscettività magnetica delle rocce, e quindi la loro magnetizzazione nel campo geomagnetico, diminuisce nella direzione della sollecitazione; per un aumento di circa 100 bar la variazione è ≃1%; la conseguente variazione dell’intensità del campo geomagnetico è di qualche nanotesla (nT). I precursori elettrici forniscono informazioni poiché, quando nel sottosuolo si aprono microfratture, la resistività elettrica locale varia; la misura di essa, ottenuta con i metodi della geofisica applicata, costituisce quindi un segnale del processo meccanico in corso e fornisce un precursore di terremoto. Le variazioni di resistività sono arrivate anche al 20% del valore normale e si sono verificate per intervalli di tempo da pochi mesi a due anni prima del terremoto. Fra i precursori elettrici si deve ricordare anche la luminosità dell’aria o dell’acqua, che è stata registrata in centinaia di casi in tutto il mondo (cosiddette luci sismiche o lampi sismici). Questa luminosità, tuttavia, si manifesta anche durante e dopo il terremoto. Per i fenomeni marini s’ipotizza che essa sia dovuta a un’eccitazione elettrica del plancton bioluminescente e sia causata dalla corrente elettrica generata dal moto delle particelle d’acqua sollecitate dalle onde sismiche nel campo magnetico terrestre. I campi luminosi registrati in terra sarebbero dovuti a effetti piezoelettrici in rocce ricche di quarzo.
Nelle acque sotterranee i segnali precursori sono la variazione del livello nei pozzi, della portata delle sorgenti, della composizione chimica e della temperatura; l’intorbidimento; la formazione di nuove sorgenti temporanee, talora accompagnate da getti di sabbia. Il segnale più quantificabile e affidabile, relativamente alle acque, è la variazione di composizione e, precisamente, la variazione del contenuto di radioisotopi, specialmente di radon, misurabile con grande precisione. Questa variazione si spiega considerando che, durante la formazione di microfratture precedente il t., aumenta la superficie di contatto fra la roccia e l’acqua e quindi una maggiore quantità di radon occluso nella roccia si libera, passa nell’acqua e migra con essa. Le variazioni della velocità delle onde sismiche si utilizzano come precursori, in quanto le microfratture che precedono il t. creano dei vuoti, e in conseguenza diminuisce la velocità delle onde P (longitudinali), mentre resta praticamente inalterata la velocità delle onde S (trasversali); quando questi vuoti si riempiono di acqua che affluisce dall’alto, allora la velocità delle onde ritorna circa al valore normale.
Metodi statistici. La ricerca dei cosiddetti precursori numerici di un t. ha la sua base fisica nel campo di sforzi all’interno della litosfera; questo campo è alterato dai t. ed è quindi deterministicamente regolato nel tempo. I fattori più importanti del processo sono l’accumulo di energia elastica, la distribuzione delle faglie e le loro asperità. Poiché nessuno di questi campi e distribuzioni è noto, è pressoché impossibile fare previsioni teoriche; tuttavia, pur non conoscendo le leggi che regolano il fenomeno, poiché il processo è deterministico, è possibile costruire modelli empirici basati sull’analisi statistica dei cataloghi.
I metodi utilizzati sono basati il primo sugli sciami precursori e il secondo sulle ricorrenze dei grandi terremoti. Il metodo degli sciami precursori è basato sul fatto che la concentrazione di attività sismica, in una zona limitata e in un intervallo di tempo limitato, in generale, è seguita da un grande t. della regione entro un intervallo di tempo di alcuni anni. Questo tipo di precursore applicato a quattro regioni sismiche italiane ha avuto successo nel 75% dei casi. Analoghi risultati sono stati ottenuti per il sud della California e la Nuova Zelanda. Quanto al metodo della ricorrenza, la ricerca di una ricorrenza periodica nei cataloghi dei grandi t. di una regione è il più elementare criterio usato per prevedere quando si verificherà un grande sisma; fino alla fine degli anni 1980 questo metodo non aveva dato risultati, nonostante che non si fosse riuscito a dimostrare la casualità della ricorrenza dei grandi terremoti. Tuttavia, un risultato incoraggiante è stato ottenuto per la regione italiana compresa fra le latitudini di 39° N e 40°50′ N. Si è trovato che in questa regione i t. di intensità IX avvengono in sequenze di circa 3 eventi l’una, separate da quiescenze di circa 38 anni; le sequenze hanno durata di 14 anni al massimo. Quando si è verificato il terremoto dell’Irpinia del novembre 1980, si è dedotto che, entro qualche anno, sarebbero avvenuti uno o più eventi di moderata magnitudo in quella regione; i t. di magnitudo 5,2 e 5,8 verificatisi in quella regione rispettivamente il 7 e 11 maggio 1984 hanno mostrato che la deduzione era esatta, per quanto ancora priva dei caratteri di una vera e propria previsione sismica.
Un altro strumento utilizzato come precursore di t. è il metodo del riconoscimento delle trame, il quale si fonda sull’ipotesi che i grandi t. abbiano epicentri prossimi alle intersezioni dei lineamenti geologici; il problema consiste nel riconoscere quali di queste intersezioni abbiano vocazione a grandi sismi (punti D) e quali non abbiano questa vocazione (punti N). I parametri geologici, geofisici e geodetici usati per descrivere questi punti sono scelti in generale (ma non esclusivamente) fra quelli più indiziati a creare concentrazioni di sforzo nella litosfera, quali, per es., grandi variazioni di quota in piccole aree, elevati gradienti della gravità o del flusso di calore.
Per valutare la pericolosità sismica si prendono in esame i periodi di ricorrenza dei t. di data magnitudo in determinate aree. A questo fine, un settore della sismologia, denominato sismologia storica, si dedica al reperimento, all’analisi e all’archiviazione delle notizie relative ai t. dell’antichità. Purtroppo, anche in paesi di antiche tradizioni come l’Italia, la Grecia o la Cina, i periodi di tempo per i quali si dispone di notizie sui t. (dell’ordine di 2000 o 3000 anni al massimo) sono relativamente troppo brevi per poterne trarre valutazioni statistiche quantitative. Inoltre, si deve considerare che le notizie sui t., anche se reperibili, sono piuttosto vaghe o addirittura distorte, specialmente quelle relative all’epoca medievale o precedenti, a causa del carattere soprannaturale spesso attribuito a tali fenomeni. Con l’obiettivo di colmare queste lacune si è sviluppato, da pochi decenni, un settore della sismologia chiamato paleosismologia, che sta apportando informazioni preziose sui t. avvenuti in epoche preistoriche, risalendo fino ad alcune decine di migliaia di anni fa. In Italia la paleosismologia ha consentito di affermare che alcuni importanti t. (come, per es., quello del 1915 di Avezzano e quello del 1980 dell’Irpinia) sono stati preceduti, con intervalli variabili tra i 1500 e i 3000 anni, da altri t. manifestatisi negli stessi luoghi e con caratteristiche molto simili fra loro.
Analoghe osservazioni fatte in altre parti del mondo, unite a evidenze storiche relative a zone sismiche più attive, dove i maggiori t. avvengono anche con frequenza superiore (come nelle zone di subduzione circumpacifiche, di cui fa parte il Giappone, dove il periodo tipico di ricorrenza è dell’ordine di 150-200 anni), hanno portato a formulare l’ipotesi del t. caratteristico. Per t. caratteristico si intende un t. che si origina da un’intera struttura sismogenetica (o da una sua parte principale ben identificabile) con un movimento che avviene in un unico episodio di frattura. Il t. caratteristico dovrebbe presentare una magnitudo pressoché costante, pari alla massima producibile da quella particolare struttura sismogenetica (➔ sismogenetiche, zone). Si ritiene inoltre che il t. caratteristico ricorra sulla stessa struttura sismogenetica a intervalli di tempo pseudoregolari, caratteristici della struttura stessa, anziché distribuirsi nel tempo in maniera casuale. Se così fosse, le conseguenze sulla valutazione della pericolosità sismica sarebbero importantissime, perché una zona potrebbe ritenersi sicura nei tempi immediatamente successivi al suo t. caratteristico, mentre in seguito la pericolosità andrebbe crescendo con l’approssimarsi al tempo di ricorrenza tipico del terremoto.
In base al modello semplificato dell’elastic rebound, la pseudoperiodicità del t. caratteristico potrebbe essere spiegata mediante un meccanismo di accumulo lento e di liberazione improvvisa dell’energia elastica connessa agli sforzi di origine tettonica che operano ai margini delle zolle litosferiche. In realtà ci si confronta con condizioni molto più complesse. La litosfera appare ovunque e in qualunque istante organizzata in uno stato di equilibrio critico prossimo al punto di fratturazione. Solo raramente, e in alcuni punti, lo stato di equilibrio viene perturbato da cause diverse e più rapide del lento accumulo di sforzo tettonico, e in quei punti prende avvio la dislocazione che si propaga sulla faglia e dà origine al terremoto. In conseguenza di ogni t., lo stato di tensione sulle faglie in una vasta zona circostante subisce una variazione che può sia favorire sia inibire la loro successiva frattura. In questo modello più realistico, né l’istante di inizio di un t. né la sua magnitudo sono deterministicamente prevedibili.
I problemi riguardanti le costruzioni in zone sismiche sono tutti di carattere preventivo. Da quando, intorno al 1930, sono state disponibili registrazioni di forti t. effettuate in zona assai prossima all’epicentro con accelerografi, si è potuta effettuare una correlazione fra le scale sismiche e l’accelerazione massima del suolo. Una simile correlazione ha però solo un valore indicativo, come media di molti casi largamente diversi fra loro; infatti l’effetto complessivo di un t. dipende non soltanto dall’accelerazione massima, ma anche dalla durata e dal periodo delle varie onde sismiche. Per descrivere oggettivamente gli effetti del t. viene largamente adoperato il concetto di spettro di risposta. Lo spettro di risposta si ottiene elaborando matematicamente l’accelerogramma del t. e consiste in un diagramma dove viene riportato il valore massimo dello spostamento, della velocità o dell’accelerazione che una struttura elementare a un grado di libertà avrebbe subito, in funzione del suo periodo di oscillazione. Dato che una struttura comunque complessa si può schematizzare, in prima approssimazione, come un oscillatore semplice avente un determinato periodo proprio, lo spettro di risposta consente al progettista di sostituire, nel calcolo delle azioni sismiche, una sola forza costante applicata al baricentro al posto delle numerose forze variabili nel tempo cui in realtà sono soggette le singole parti del fabbricato. Il concetto di spettro di risposta è adoperato nelle normative più progredite in materia di costruzioni antisismiche.