sismologia Parte della geofisica che studia i fenomeni sismici. È nata sul finire del 19° sec. e si è successivamente sviluppata secondo 4 principali direzioni: ricerca sulle modalità di propagazione delle onde sismiche e sulla struttura della Terra; studio dei caratteri fisici dei terremoti e interpretazione geologica delle loro principali cause; osservazioni sugli effetti dei terremoti, sulla loro distribuzione geografica e sulla loro frequenza, dirette all’elaborazione di norme per la salvaguardia delle persone e dei beni; studio della previsione dei terremoti.
Solo intorno alla metà del 18° sec. si riconobbe che i terremoti hanno la loro origine all’interno della Terra. Circa un secolo dopo si ebbero i primi tentativi sistematici di applicare allo studio dei terremoti i principi e le leggi della fisica. Il grande progresso compiuto nel 20° secolo è stato stimolato sia dai continui miglioramenti della base teorica costituita dalla teoria matematica dell’elasticità, sia dalla disponibilità di dati di qualità sempre migliore. In una prima fase, che si può chiamare prestrumentale (inizio 20° sec.), la s. fu scienza coltivata da matematici e da fisici-matematici. In una seconda fase (fino al 1950) una grande disponibilità di buoni dati sperimentali stimolò la ricerca teorica; furono messi a punto modelli relativamente semplici della struttura della Terra e delle sorgenti sismiche e scoperte le proprietà fondamentali delle onde di volume e di superficie. Una terza fase (dopo il 1950) è caratterizzata dallo sviluppo di sismografi molto sensibili, a larga banda, e dall’impiego di elaboratori elettronici nella gestione delle informazioni contenute nei sismogrammi.
Le onde sismiche sono onde elastiche che si propagano all’interno della Terra e sulla sua superficie.
Tipi di onde. Si hanno 2 tipi di onde: longitudinali (o onde P o onde prime, in quanto sono le più veloci), nelle quali i punti del mezzo attraversato oscillano secondo la direzione di propagazione dell’onda, e trasversali (o onde S o onde seconde), nelle quali si hanno oscillazioni perpendicolari alla direzione di propagazione. La linea ideale di avanzamento del fronte d’onda, la cui tangente è perpendicolare al fronte d’onda stesso in ciascuno dei suoi punti, è chiamata raggio sismico. Sono dette onde di volume quelle che si propagano nell’interno della Terra, onde superficiali (per es. le onde di Rayleigh e onde di Love) quelle che si propagano in strati terrestri la cui profondità non sia grande rispetto alla lunghezza d’onda (fig. 1). Le onde sismiche che incidono su una superficie di discontinuità fra due mezzi di caratteristiche elastiche diverse possono riflettersi e rifrangersi, con varie modalità. La propagazione delle onde a distanze relativamente piccole (fino a circa 1000 km dall’ipocentro del terremoto, cioè dalla sorgente) coinvolge principalmente le onde P e S, e in qualche maniera anche le onde superficiali.
Queste ultime, che viaggiano attraverso o in prossimità della crosta, sono chiamate onde crostali, e hanno lunghezze d’onda minori di 5 km. In dipendenza del fatto che le onde debbano percorrere un tratto orizzontale nello strato del granito, in quello del basalto o sotto la discontinuità di Mohorovičić (brevemente, Moho), esse vengono indicate, rispettivamente, con l’indice g, b, n. I tempi di tragitto per i diversi percorsi sono proporzionali all’inverso delle velocità dei rispettivi strati, con una correzione applicata per tener conto del tempo impiegato dalle onde per raggiungere lo strato in cui viaggiano (fig. 2).
Onde di volume. Le onde di volume possono essere di tipo P o di tipo S. Queste ultime, però, sono scarsamente utilizzate in s. sia per la rilevazione, sia per la localizzazione degli eventi sismici a grande distanza (oltre 1000 km dall’epicentro), mentre vengono utilizzate principalmente le onde P. La banda di frequenze usate per rilevare queste onde è 0,5-5 Hz. La corrispondente lunghezza d’onda è 2-20 km ed è comunque piccola a paragone dell’intera lunghezza del percorso attraversato. Poiché la velocità cresce normalmente con la profondità, i raggi sismici sono curvi, con la concavità verso l’alto, come illustrato nella fig. 3. Il tempo di tragitto T delle onde sismiche di volume è una funzione della distanza angolare Δ° tra la sorgente e il ricevitore (sismografo alla stazione sismica). Sono state compilate tabelle standard delle dromocrone T(Δ°) per diversi tipi di onde e diversi percorsi all’interno della Terra. Tali tabelle consentono di predire i tempi di arrivo per le onde entro lo 0,5% del tempo totale impiegato a partire dalla sorgente. La fig. 4 mostra i raggi sismici delle onde P riflesse (PcP) e rifratte (PkP) dalla discontinuità nucleo-mantello. A causa della netta diminuzione di velocità in corrispondenza a tale discontinuità, i raggi che subiscono la rifrazione vengono deviati verso l’interno della Terra, tendendo a concentrarsi verso una zona che circonda il punto antipodale rispetto alla sorgente (A′ nella fig. 4). Ciò implica che, in un settore di distanze angolari varianti da circa 100 a 140 gradi (circa 12.000-17.000 km in superficie), non ci sono raggi che raggiungono direttamente la superficie terrestre; questo settore è perciò comunemente chiamato zona d’ombra del nucleo. Le onde sismiche subiscono una riflessione totale ogni volta che incontrano la superficie terrestre.
La nomenclatura corrente definisce con il simbolo pP quelle onde che, partendo dall’ipocentro verso l’alto, sono riflesse in un punto non lontano dall’epicentro e tornano a dirigersi verso il basso, seguendo un percorso non dissimile da quello delle P dirette. Sono invece chiamate PP le onde che si dirigono verso il basso quando partono dall’ipocentro e, per effetto della rifrazione negli strati a maggiore velocità, risalgono verso l’alto, si riflettono sulla superficie terrestre e tornano a percorrere un nuovo tratto di lunghezza simile al precedente prima di giungere alla stazione sismica. Per analogia, possono essere facilmente comprese le abbreviazioni date ai percorsi che combinano più tratti dei tipi sopradescritti, come, per es., PS, PPP, pPkP ecc.
Onde superficiali. Oltre alle onde di volume, in s. vengono anche studiati due tipi di onde sismiche che si propagano lungo la superficie della Terra: le onde di Rayleigh, caratterizzate da un moto ellittico retrogrado delle particelle su un piano verticale contenente la direzione di propagazione dell’onda, e le onde di Love, nelle quali il moto delle particelle si svolge in un piano orizzontale e avviene perpendicolarmente alla direzione di propagazione dell’onda. La banda di frequenze rilevanti nell’utilizzazione sismologica delle onde di Love e di Rayleigh è 10−1-10−2Hz (periodo tra 10 e 100 s), ma più comunemente viene osservata una banda più stretta, attorno a 0,05 Hz (20 s di periodo).
Le onde superficiali si propagano con una velocità di 3-4 km/s, che corrisponde a una lunghezza d’onda di 60-80 km. Le onde superficiali sono perciò meno adatte delle onde P per lo studio di elementi a piccola scala nella costituzione della Terra. Le onde di periodo più lungo viaggiano più velocemente di quelle di periodo più breve, cioè si ha dispersione delle onde, solitamente rilevabile nei sismogrammi. A differenza delle onde di volume, per le onde superficiali non può compilarsi un’esatta tabella dei tempi di tragitto; le variazioni laterali nella struttura della crosta e del mantello superiore rendono infatti impossibile applicare un’unica curva di dispersione su scala globale. Per tale motivo le onde superficiali sono inutilizzabili per una precisa localizzazione delle sorgenti sismiche.
L’esame delle registrazioni delle onde sismiche, ottenute a mezzo dei sismografi, consente d’individuare gli impulsi iniziali dei vari gruppi di onde cui un terremoto dà luogo, e di determinarne l’istante di arrivo alla stazione. L’intervallo di tempo che separa tali impulsi, dovuto alla differente velocità di propagazione delle onde, è naturalmente legato alla lunghezza del percorso compiuto e da esso si deduce, con una certa approssimazione, la distanza (distanza epicentrale) alla quale la stazione d’osservazione si trova rispetto all’epicentro (➔ terremoto). L’applicazione di opportune formule matematiche ai risultati ottenuti da parte di più stazioni sismiche, preferibilmente disposte in modo da circondare l’epicentro, permette di ricavare i parametri ipocentrali del terremoto, cioè di stabilire le coordinate e la profondità dell’ipocentro e l’istante di inizio. Ciò viene effettuato sistematicamente da appositi enti internazionali sulla base di dati che a essi affluiscono dalla rete sismica mondiale. A questo proposito è opportuno ricordare che, a partire dagli anni 1970, il principale punto di riferimento per la s. di osservazione su scala mondiale è stata la rete WWSSN (World-Wide Standard Seismograph Network). Altre reti di stazioni sismologiche sono la rete SRO (Seismic Research Observatories) e la rete IDA (International Deployment of Accelerometers).
Una delle fondamentali acquisizioni della s. moderna è costituita dall’associazione logica tra i terremoti e le faglie. Le faglie sono individuabili come discontinuità geologiche della crosta terrestre. L’associazione con i terremoti, raggiunta attraverso un lungo processo che ha visto la convergenza di ipotesi diverse e l’eliminazione di altre, ha stabilito un legame tra s. e osservazione geologica. Uno tra i primi sismologi a riconoscere che i terremoti sono prodotti dal rapido scorrimento delle rocce lungo le faglie fu il giapponese B. Kotō, in seguito allo studio del terremoto di Mino-Owari del 1891. Nel 1910 lo statunitense H.F. Reid propose il modello del rimbalzo elastico, secondo cui lo scorrimento lungo la faglia realizza una liberazione di energia elastica accumulata nelle rocce dall’azione delle forze tettoniche. La teoria della sorgente sismica ha raggiunto un assetto stabile a partire dagli anni 1970. Ciò è dovuto al realizzarsi di alcuni passi decisivi: il raggiungimento di un accordo pressoché generale sul meccanismo della sorgente, l’introduzione in s. della teoria delle dislocazioni, l’integrazione della fenomenologia sismica nella teoria geologica della tettonica a placche.
Il problema di dove e come abbia inizio la fratturazione in un materiale sottoposto a un certo sforzo (nucleazione della frattura) coinvolge questioni di fisica dello stato solido e di meccanica statistica e costituisce il legame principale tra s. e microfisica. Nella crosta terrestre esistono infatti faglie di tutte le dimensioni, da centinaia di km a pochi metri e, al di sotto di queste, fratture fino a dimensioni microscopiche. Il terremoto è dunque un fenomeno macroscopico che ha la sua genesi in un evento microscopico. Se i modelli esistenti forniscono una descrizione soddisfacente delle onde elastiche a grande distanza dalla sorgente (campo lontano), non altrettanto si può dire per quanto riguarda l’area epicentrale (campo vicino). In questo caso i dettagli della sorgente, le disomogeneità crostali e le caratteristiche topografiche della superficie terrestre svolgono un ruolo determinante.
Poiché è proprio il campo vicino che interessa, soprattutto per l’ingegneria sismica, si è andato caratterizzando un ramo di studio detto s. dei moti violenti, che studia le onde ad alta frequenza, mentre la s. si è tradizionalmente concentrata sullo studio dello spettro a bassa frequenza. L’attenzione dei sismologi si è andata poi concentrando sulla struttura di dettaglio della sorgente sismica, con l’introduzione dei concetti di barriera e di asperità, esemplificazioni di fondamentali disomogeneità all’interno della litosfera, e con lo studio degli eventi multipli. Anche lo studio in laboratorio della meccanica delle fratture e delle proprietà reologiche delle rocce ha acquistato un’importanza sempre maggiore.
Un ruolo rilevante in questo processo è dunque rivestito dallo studio delle oscillazioni libere della Terra, che vengono eccitate dai terremoti. La determinazione teorica delle frequenze caratteristiche di tali oscillazioni si basa sul modello di Terra disponibile e coinvolge regioni lontane dalle zone sismogenetiche, quale per es. il nucleo terrestre. Osservate per la prima volta in occasione del terremoto della Camciatca del 1952, le oscillazioni libere della Terra vengono oggi utilizzate con procedimenti di routine per determinare i parametri delle sorgenti dei terremoti grandi e medi.
La struttura più superficiale della Terra è quella che interagisce in maniera diretta con il meccanismo sismico ed è caratterizzata da una variazione nelle proprietà meccaniche con la transizione da uno strato elastico e fragile (litosfera) a uno strato elastico e duttile (astenosfera). La presenza di tale transizione, indotta dalle condizioni termodinamiche a cui è sottoposto il materiale terrestre, pone un complesso problema di meccanica dei continui, in cui le proprietà reologiche del materiale astenosferico svolgono un ruolo essenziale. Lo studio dell’interno della Terra è dunque strettamente connesso con quello dei terremoti: ciò riguarda in particolare l’astenosfera. Per questo motivo le proprietà reologiche hanno assunto una grande importanza in s. e l’ambito tradizionale della s., costituito dalla teoria dell’elasticità, si è negli ultimi anni ampliato a comprendere la viscoelasticità.
Molto stretto è anche il collegamento che si attua tra la s. e l’ingegneria civile. Varie nazioni progredite sono sede di intensa attività sismica e in tutte esistono apposite leggi che regolano l’attività edilizia in relazione ai possibili effetti dei terremoti. Naturalmente una normativa antisismica è tanto più efficace quanto più essa consente di risparmiare in materiali e lavoro con particolari tecniche, a parità di sicurezza. Da ciò segue che il compito fondamentale della s. in questo settore è quello di descrivere, con la maggior quantità possibile di particolari e con elementi oggettivi utilizzabili dai progettisti, il terremoto più temibile per un dato sito. Inoltre è essenziale definire qual è la probabilità che un simile fenomeno si verifichi in un certo numero di anni. A questi interrogativi la s. è in grado di rispondere, con una certa approssimazione, basandosi in primo luogo sulla statistica disponibile dei terremoti passati, per cui risultano ancor oggi preziose le descrizioni, non sempre fatte a scopo scientifico, che provengono dai secoli scorsi. Queste consentono di classificare le zone in base alla loro pericolosità e di compilare carte della distribuzione delle aree di attività sismica.
Un contributo di particolare importanza proviene dalle registrazioni ottenute a mezzo di accelerografi. Infatti, mentre i sismografi di cui sono dotati gli osservatori tradizionali sono utili solamente per ricavare informazioni su forti terremoti da grandi distanze, oppure per studiare la sismicità locale di intensità molto lieve, gli accelerografi vengono costruiti e installati in reti piuttosto fitte allo scopo di registrare il terremoto localmente fino alle massime intensità. Questo consente di ottenere una descrizione del fenomeno tramite l’accelerazione, grandezza fisica misurabile e collegabile attraverso formule alle sollecitazioni impresse dal terremoto alle strutture. Un terremoto di cui sia disponibile l’accelerogramma può essere utilizzato per simulare analiticamente gli effetti che si avrebbero su edifici ancora in fase di progetto. Si osserva che le scosse sismiche si manifestano con oscillazioni il cui spettro di risposta è caratteristico di una data zona, da cui discende evidente la norma di evitare che le strutture presentino un periodo proprio fondamentale di oscillazione che possa condurre a pericolosi fenomeni di risonanza (➔ terremoto).
La sismicità di una zona viene studiata tramite reti sismiche locali (fisse o mobili) o regionali costituite da stazioni con un sistema di registrazione incorporato o con trasmissione digitale verso un unico centro di acquisizione. I sistemi di acquisizione dei segnali provenienti da queste stazioni sono in grado di effettuare automaticamente e in tempo reale l’analisi delle forme d’onda e la determinazione dei parametri di migliaia di eventi sismici al giorno. Tra questi parametri, oltre alla localizzazione ipocentrale degli eventi, vengono tipicamente incluse anche le soluzioni dei meccanismi focali, consistenti nei 3 classici valori numerici (direzione, inclinazione e angolo di scorrimento) che caratterizzano la dislocazione di una faglia nel momento del terremoto. A loro volta questi dati sono collegati allo stato di tensione esistente nell’area sismica in studio. In questo modo sono stati seguiti i periodi di attività sismica che normalmente sono associati al verificarsi di forti terremoti, pervenendo, in un periodo di alcune settimane o di pochi mesi, alla definizione delle strutture sismogenetiche attraverso le quali si libera l’energia elastica accumulata dai processi tettonici (fig. 5 e 6; ➔ sismotettonica).
Un altro potente strumento di indagine disponibile in s. e utile per l’analisi delle sequenze sismiche consiste nella localizzazione congiunta di numerosi eventi densamente raggruppati nello spazio. Basandosi sull’evidenza che, per coppie di eventi, le differenze nei tempi impiegati dalle onde sismiche per raggiungere una stessa stazione dipendono soltanto dalle posizioni relative dei rispettivi ipocentri e sono praticamente indipendenti dalle caratteristiche non perfettamente note del mezzo elastico interposto, il metodo della localizzazione congiunta consente il raggiungimento di precisioni notevolmente superiori a quelle ottenibili con le classiche localizzazioni dei singoli eventi. La precisione può essere spinta a livelli ancora superiori utilizzando la tecnica della cross-correlazione per la determinazione delle differenze dei tempi d’arrivo alle stazioni. In questo modo gli ipocentri di gruppi di piccoli terremoti possono essere analizzati con un’alta risoluzione spaziale che riduce le incertezze a valori dell’ordine delle decine di metri o anche inferiori.
Nel campo della s. globale, la moderna rete internazionale di sismografi digitali a larga banda consente la determinazione dei parametri di sorgente (➔ sorgente) della maggior parte dei terremoti di magnitudo superiore all’incirca a 5,0 (il cui numero è stimato nel mondo mediamente intorno ai 2000-3000 all’anno). Questi dati vengono sistematicamente calcolati e pubblicati dalla Harvard University che dal 1977 provvede ad aggiornare il catalogo CMT (centroid moment tensor). Alcune istituzioni scientifiche hanno iniziato a occuparsi della determinazione del CMT anche per terremoti di magnitudo inferiore (fino a un valore dell’ordine di 4,0), utilizzando le osservazioni delle onde sismiche superficiali registrate a distanze regionali (entro i 2000 km di distanza dall’epicentro).
L’analisi congiunta delle onde elastiche rivelate da un numero adeguato di stazioni sismiche opportunamente distribuite attorno all’ipocentro del terremoto permette la determinazione delle proprietà cinematiche o, in modo più complesso, anche di quelle dinamiche della sorgente sismica, mediante un’impostazione di carattere generale detta inversione (impostazione metodologica applicata anche nel settore della tomografia sismica). Per es., il confronto fra le forme d’onda, o tra l’andamento degli spettri relativi a stazioni sismiche poste su orientazioni sufficientemente separate rispetto all’ipocentro, fornisce un’informazione relativa alla direzione e al verso di propagazione della frattura sulla faglia, in quanto non tutte le parti di una stessa faglia si fratturano simultaneamente durante un terremoto; si osserva infatti che, a causa dell’effetto Doppler, le stazioni poste in direzione prossima a quella in cui si propaga la frattura e nello stesso verso ricevono onde di frequenza più alta di quelle poste nella stessa direzione ma nel verso opposto. Di maggiore complessità sono i problemi connessi con l’estensione spaziale della sorgente, le cui parti possono essere caratterizzate da valori molto diversi del rilascio di tensione elastica. Questi studi si effettuano utilizzando dati di numerose stazioni prossime alla faglia responsabile del terremoto. Il problema si formula inizialmente in maniera diretta, partendo dal principio che è possibile determinare analiticamente (utilizzando le funzioni di Green) la forma d’onda rilevata da ogni stazione per effetto di un singolo piccolo elemento dell’intera faglia che ha dato origine al terremoto. L’intera forma d’onda viene quindi ricostruita, per un modello di faglia spazialmente esteso da utilizzare come ipotesi di partenza, mediante l’integrazione (o somma) degli effetti di tutti i singoli elementi.
Le forme d’onda ottenute sinteticamente vengono confrontate con quelle effettivamente osservate da ogni stazione e le eventuali discrepanze vengono usate per correggere i parametri iniziali del modello di sorgente. Il nuovo modello così ottenuto viene utilizzato come ipotesi di partenza di una nuova iterazione del processo e così via con una successione di tentativi e correzioni. Il processo converge di norma verso una soluzione che rappresenta la sorgente reale in maniera migliore del modello iniziale, evidenziandone le caratteristiche in termini di forma geometrica ed eterogeneità nel rilascio di deformazione elastica.