T. sismica Tecnica messa a punto agli inizi degli anni 1980, che analizza i tempi di percorso delle onde sismiche che si propagano nella Terra per ricostruire immagini di anomalie nella loro velocità (fig. 1). Si assume a priori un modello di riferimento delle velocità sismiche nella Terra e si determinano le variazioni rispetto a esso, tipicamente espresse in percentuale. Il concetto fondamentale di questa tecnica è che il tempo impiegato da un’onda sismica a compiere il percorso dall’ipocentro alla stazione registrante può essere espresso dall’integrale, sull’intero tragitto, del rapporto ds/v(s), dove ds rappresenta l’elemento della distanza percorsa e v(s) la relativa velocità. Se il tempo osservato è diverso da quello atteso in base al modello di riferimento, si ottiene, per ciascuna onda, un tempo ‘residuo’ attribuibile alla presenza di un’anomalia di velocità lungo il percorso. La localizzazione dell’anomalia e la determinazione dell’entità della variazione di velocità sono possibili se si utilizza un elevato numero di tempi residui di onde che hanno attraversato il volume in esame con percorsi aventi direzione e lunghezza diverse. L’approccio matematico più utilizzato per la soluzione di questo problema consiste nel linearizzare l’integrale che esprime il tempo di arrivo di una certa fase sismica e nel discretizzare il campo delle velocità, suddividendo la Terra in una griglia tridimensionale di blocchi all’interno dei quali la velocità è costante. L’integrale diventa così una sommatoria dei tempi di percorrenza delle onde che hanno attraversato ciascun blocco. In questo modo si ottiene un sistema di equazioni nelle quali i termini noti sono la differenza tra il tempo osservato e quello calcolato e la lunghezza del percorso all’interno di ciascun blocco, mentre l’incognita è rappresentata dalla velocità dell’onda sismica all’interno del singolo blocco.
Per risolvere il sistema di equazioni occorrono calcolatori tanto più potenti quanto maggiore è il numero dei blocchi e delle osservazioni. La qualità della soluzione dipende, oltre che dal numero e dall’accuratezza delle osservazioni, dalla distribuzione dei percorsi dei raggi sismici, e da quanto il modello di velocità a blocchi approssima la struttura reale di velocità. Metodi tomografici sono applicabili a ogni scala, utilizzando per i diversi scopi registrazioni di terremoti locali e regionali o di telesismi, e a casi bi- e tridimensionali. D’altra parte, i limiti di questo tipo di analisi sono rappresentati dal fatto che le onde sismiche non seguono un tragitto rettilineo, ma subiscono deviazioni lungo il percorso, e che la distribuzione di stazioni e sorgenti sismiche è in genere lontana dall’essere ideale (per es., i terremoti sono concentrati in particolari regioni della Terra e nelle aree oceaniche ci sono pochi sismografi).
Negli studi di t. sismica si assume generalmente che il materiale entro cui si propaga un’onda sismica sia isotropo, cioè che la sua velocità sia indipendente dalla direzione in cui l’onda si propaga. Questo è accettabile per la maggior parte delle applicazioni e inoltre semplifica notevolmente la trattazione del problema matematico. Esistono tuttavia casi nei quali l’effetto dell’anisotropia risulta significativo, specialmente nel mantello superiore, che è composto in grande percentuale da minerali fortemente anisotropi, quali l’olivina e l’ortopirosseno. Per fronteggiare tale problema le più recenti tecniche tomografiche hanno incluso la modellazione delle variazioni azimutali della velocità, introducendo nelle equazioni che descrivono il problema tomografico un termine relativo ai coefficienti di anisotropia. L’anisotropia sismica viene in genere espressa come variazione percentuale tra i valori della velocità lungo le direzioni più e meno veloce ed è rappresentata indicando la direzione più veloce (fig. 2).
La t. sismica è stata di grande importanza nello studio delle zone di subduzione, per individuare le anomalie di alta velocità dovute alla presenza di slabs litosferici (segmenti di placca subdotti) nel mantello, e delle aree vulcaniche, per la localizzazione delle camere magmatiche (anomalie di bassa velocità). Studi tomografici ad alta risoluzione hanno mostrato che, contrariamente a quanto si riteneva in passato, in alcuni casi la litosfera va in subduzione oltre la zona di transizione del mantello, penetrando anche a grandi profondità nel mantello inferiore. Con questo tipo di studi si è pure osservato che, mentre la struttura di velocità del mantello superiore è in genere ben correlata alla geologia di superficie, sotto i 250 km questa correlazione scompare.
Tecnica di radiologia medica, che consente di ottenere immagini di determinate sezioni, opportunamente scelte, del corpo.
La t. computerizzata (TC), originariamente denominata t. assiale computerizzata (TAC) rivela con una particolare sensibilità la differenza di coefficiente di assorbimento ai raggi X degli organi esaminati. Anziché di un fascio di raggi X grossolanamente focalizzato, questo metodo si avvale di un fascetto strettamente collimato, il quale attraversa il corpo del paziente da esaminare e all’uscita è rivelato da un rivelatore a scintillazione; il sistema consente la trasformazione della radiazione emergente in impulso elettrico, successivamente registrato nella memoria di un calcolatore connesso con l’apparecchiatura. Le caratteristiche della radiazione emergente sono determinate dalle modalità dell’assorbimento della radiazione da parte dei tessuti attraversati, in funzione dello spessore, della densità e del numero atomico. Facendo ruotare il fascetto di raggi X intorno al corpo e determinando l’intensità del fascetto emergente punto per punto, si ottiene una serie di informazioni che permette di ricostruire la morfologia dello strato attraversato e di ricavarne l’immagine, che può essere riprodotta su uno schermo televisivo e fotografata. L’impiego clinico della TC ha avuto per oggetto dapprima le lesioni anatomiche del cervello, in un secondo tempo la patologia dei vari distretti somatici. Il suo elevato potere di risoluzione permette nell’ambito cerebrale di individuare le alterazioni morfologiche e di posizione dei ventricoli, la presenza di ematomi e di vasculopatie in genere, di cisti, di tumori e di zone di demielinizzazione; negli altri distretti fornisce reperti notevolmente significativi nello studio del pancreas e dello spazio retroperitoneale, di difficile esplorazione con gli esami convenzionali, e anche in quello del torace, del mediastino, dell’addome, dell’apparato urinario e dello scavo pelvico.
La t. per emissione deriva dalla scintigrafia (➔): come questa, rivela la distribuzione topografica di un radiotracciante, in seno a un organo che lo ha captato, usando un rivelatore a scintillazione. Questo invia le informazioni a un apparato elettronico di registrazione e di elaborazione che ricostruisce l’immagine complessiva; la rilevazione può essere effettuata da una sola testina esplorante, che ruota attorno al paziente eseguendo i rilievi secondo differenti incidenze, o da una serie di testine disposte a corona intorno all’organo in esame. Esistono 2 varianti di t. per emissione: monofotonica (➔ SPECT) e a emissione di positroni (➔ PET).
La t. a risonanza magnetica nucleare è una tecnica di rivelazione tomografica non invasiva, perché utilizza l’effetto di risonanza magnetica nucleare, o RMN, ritenuto innocuo per l’organismo (➔ risonanza).