Stato dell’America Centrale (Grandi Antille), che occupa la parte occidentale dell’isola di Hispaniola (v. fig.). Gli appartiene anche l’isola della Gonâve.
Nel 1790 vennero censiti nel paese, allora colonia francese, 524.000 ab.; di questi, circa 30.000 erano bianchi e i restanti neri, per la massima parte (450.000) schiavi. Il sistema delle piantagioni, fondato sull’impiego di manodopera servile, aveva creato questo squilibrio fra bianchi e neri, che ebbe poi grosse conseguenze sulle vicende del paese, quando la rivolta vittoriosa degli schiavi eliminò la minoranza bianca. Oggi H. è una Repubblica dove la contrapposizione etnica fra il 94% circa degli abitanti rappresentato da neri, il 5% da mulatti e il resto da bianchi, trova una rispondenza quanto mai netta in campo culturale ed economico. Infatti i mulatti vivono essenzialmente in città, monopolizzando il commercio, i servizi e l’amministrazione, mentre i neri sono prevalentemente contadini e vivono in gravi condizioni di miseria. L’incremento demografico registra una sensibile accelerazione (1,8% circa nel 2008), sebbene l’incerta situazione politica e la difficile congiuntura economica determinino ingenti flussi migratori verso Stati Uniti, Canada, Cuba, Repubblica Dominicana. Le aree più densamente abitate sono la fascia costiera settentrionale, quella del Golfo della Gonâve e l’area della capitale, il cui agglomerato urbano ha ricevuto flussi immigratori sempre più notevoli dalle campagne. Rimane debole, invece, la rete degli altri centri e, per conseguenza, alto il tasso di ruralità (64% circa). Religione prevalente è la cattolica, anche se nelle campagne sono diffusi culti di origine africana.
H. è il paese più povero di tutto il continente americano. La sua economia, già negativamente condizionata dall'instabilità politica, è stata resa ancor più dipendente dall'esterno dai devastanti effetti del terremoto del gennaio 2010. Il settore primario risente dello sfruttamento indiscriminato dei pochi suoli agrari (32% della superficie totale) da parte sia delle piccole aziende contadine di sussistenza (mais, riso, manioca) sia delle grosse piantagioni (caffè, banane, agave da sisal, cacao, cotone, canna da zucchero, piante da frutta). Pur essendo nettamente diminuita, la popolazione attiva in agricoltura supera ancora il 60%, senza riuscire ad assicurare al paese neppure l’autosufficienza alimentare; per contro, la manodopera industriale è scarsamente remunerata, costituendo proprio per questo motivo un fattore di attrazione per aziende straniere produttrici di beni di consumo e tecnologie (dalle attrezzature sportive all’elettronica) destinate a non entrare affatto nel mercato locale. La pesca occupa poche migliaia di addetti e viene condotta con mezzi artigianali (10.010 t nel 2006) ma questo valore non tiene conto della pesca familiare, che pure contribuisce a integrare con proteine animali la dieta alimentare della popolazione. Anche la dotazione di servizi è quanto mai scarsa, specie nei fondamentali settori dell’istruzione e della sanità. Modesta è la produzione di energia elettrica. Le risorse minerarie sono sfruttate solo parzialmente e ancora una volta da compagnie straniere (bauxite; rame; nichel; oro). Tra le industrie di più vecchio impianto si segnalano zuccherifici e manifatture di tabacco, cementifici e qualche stabilimento chimico. La rete stradale (circa 4000 km, di cui solo 1/6 a fondo artificiale) è integrata, dal 1980, da un’autostrada che percorre le regioni meridionali, unendo la capitale a Les Cayes; l’unica ferrovia (circa 300 km) è al servizio delle piantagioni di canna da zucchero. I collegamenti aerei fanno capo all’aeroporto internazionale di Port-au-Prince. La bilancia commerciale è pesantemente passiva. Gli scambi avvengono soprattutto con gli Stati Uniti: si esportano specialmente caffè, bauxite e zucchero; s’importano prodotti alimentari e tessili.
Nella prima metà del 17° sec. bucanieri francesi si insediarono nella parte occidentale di Hispaniola, allora appartenente alla Spagna, dando così origine alla colonia di Saint-Domingue, nota anche con il nome indigeno di Haiti. La colonia, riconosciuta ufficialmente da Parigi nel 1661 e da Madrid nel 1697, conobbe nel 18° sec. una forte crescita economica e demografica e, a fine secolo, era la più ricca del Nuovo Mondo. La rivoluzione nella madrepatria aprì la strada all’insurrezione generale degli schiavi (1791), cui si aggiunse l’intervento della Gran Bretagna e della Spagna (1793), entrate in guerra con la Francia. Abolita la schiavitù (1794), il capo degli insorti, F.-D. Toussaint Louverture, costrinse Spagna e Gran Bretagna al ritiro dal paese (1795; 1798). Occupata la colonia spagnola di Santo Domingo (1801), Toussaint Louverture fu proclamato governatore a vita di tutta l’isola. Egli riconfermò la sovranità di Parigi sulla colonia, ma nel 1802 fu deportato in Francia per volere di Napoleone. Riprese allora la rivolta nera fino alla sconfitta delle truppe francesi (1803) e alla proclamazione dell’indipendenza di tutta l’isola (1804) con il nome di Repubblica di Haiti.
Liquidata l’oligarchia bianca, i conflitti fra la popolazione nera e la minoranza mulatta, che tendeva a imporsi come nuova classe dominante assumendo il controllo dell’esercito, dell’amministrazione e delle attività commerciali portarono a un lungo periodo di guerre civili, conclusosi soltanto nel 1820 quando il presidente mulatto J.-P. Boyer riuscì ad affermare il suo dominio. Nel 1822 annetté anche la parte orientale di Hispaniola, ma l’unità dell’isola ebbe termine nel 1844, in seguito alla ribellione degli abitanti dell’ex colonia spagnola che proclamarono la Repubblica Dominicana. La Francia riconobbe l’indipendenza di H. nel 1825, in cambio di un pesante indennizzo finanziario che contribuì ad aggravare le già stremate condizioni economiche del paese. Dopo il rovesciamento di Boyer nel 1843, l’instabilità politica rimase assai elevata (quasi tutti i presidenti fino al 1915 furono deposti da insurrezioni o colpi di Stato).
Dalla fine dell’Ottocento le difficoltà economiche e finanziarie favorirono la crescita delle ingerenze straniere: in particolare gli Stati Uniti stabilirono importanti interessi a H. e nel 1915 approfittarono di un ennesimo conflitto interno per invadere il paese, che occuparono militarmente fino al 1934. Dopo il ritiro statunitense (ma Washington conservò un controllo indiretto sulle finanze di H. fino al 1946), l’oligarchia mulatta mantenne stabilmente il potere fino al 1946, quando si accese un nuovo periodo di instabilità politica, conclusosi solo nel 1957 con l’avvento alla presidenza della Repubblica di François Duvalier, esponente di una nuova classe media nera in ascesa.
Avvalendosi di una feroce milizia a lui fedele, i tonton-macoutes («orchi» in creolo), Duvalier (soprannominato Papa Doc) si impadronì saldamente del potere e nel 1964 assunse il titolo di presidente a vita. Dopo la sua morte nel 1971, il figlio Jean-Claude (Baby Doc), succedutogli come presidente a vita, tentò di migliorare l’immagine esterna del regime, ma ne mantenne immutato il carattere violento e corrotto. La moderata ripresa economica degli anni 1970 non alleviò le condizioni di vita della popolazione, esasperata dalla disoccupazione, dalla corruzione e dalla iniqua distribuzione del reddito. L’esplosione del malcontento popolare nell’autunno 1985 sfociò in una rivolta che costrinse Duvalier a rifugiarsi in Francia (1986). Il potere venne assunto da una giunta presieduta dal capo di Stato Maggiore dell’esercito H. Namphy, deposto nel 1988 dal generale P. Avril, a sua volta costretto a dimettersi nel 1990.
Nelle consultazioni generali indette nel 1991 sotto il controllo di osservatori internazionali fu eletto presidente della Repubblica J.-B. Aristide, ex sacerdote salesiano. Nel settembre dello stesso anno i militari ripresero il potere e costrinsero Aristide all’esilio, scatenando una repressione che causò oltre 2000 morti. Nel giugno 1993 il Consiglio di sicurezza dell’ONU impose a Haiti l’embargo commerciale e nel 1994 autorizzò l’intervento armato degli Stati Uniti.
Aristide riassunse la guida del paese e diede vita a un esecutivo di larga coalizione. Allo scadere del suo mandato (febbraio 1996), essendosi impegnato a non ripresentarsi, sostenne l’elezione di R. Préval. Subito dopo, però, i rapporti fra i due leader divennero conflittuali e in novembre Aristide formò un nuovo partito, che nel luglio 2000 prevalse nelle elezioni, riportandolo alla presidenza. Da subito l’opposizione cominciò ad accusarlo di corruzione e repressione dei diritti umani.
Nel 2004 una estesa rivolta costrinse Aristide ad abbandonare nuovamente il paese (sotto la pressione anche degli Stati Uniti e della Francia) ma gli scontri fra i suoi sostenitori e gli oppositori continuarono a lungo, inducendo l’ONU a inviare una forza di peace-keeping. In un clima di diffusa violenza nel 2006 è stato rieletto presidente Préval. Una nuova crisi si è aperta nell'aprile 2008 quando ingenti movimenti di piazza hanno portato alla destituzione del primo ministro, J.-E. Alexis. Soltanto dopo alcuni mesi Préval poté nominare al suo posto M. Duvivier Pierre-Louis, poi sostituito nel 2009 da J.-M. Bellerive.
Le precarie condizioni socioeconomiche dell'isola sono state aggravate dal devastante sisma che nel genn. 2010 ha provocato la morte di oltre 200.000 individui, distruggendo inoltre ampi settori della capitale, e dall'epidemia di colera che nell'ottobre dello stesso anno si è verificata sull'isola. Le elezioni presidenziali, che avrebbero dovuto avere luogo nel febbraio 2010 ma che in ragione della gravissima situazione sono state posticipate al mese di novembre, hanno registrato una bassissima affluenza alle urne; le proteste per i brogli e la pressione internazionale hanno inoltre costretto al ritiro il vincitore dichiarato e candidato del partito di governo J. Celestin; il ballottaggio svoltosi nel marzo 2011 ha decretato la vittoria, con oltre il 60% delle preferenze, del cantante M. Martelly sulla candidata di centrodestra M. Manigat; nell'ottobre dello stesso anno il Senato ha approvato la nomina a premier di G. Conille, cui sono subentrati L. Lamothe (2012-14) ed E. Paul, nominato da Martelly nel dicembre 2014. Nel gennaio 2015, a seguito del fallimento dei negoziati per una nuova legge elettorale, il Parlamento è stato sciolto, e nell’agosto successivo, dopo circa quattro anni di rinvii e per la prima volta dopo l’ascesa al potere di Martelly, il Paese è tornato a votare per l’elezione dei rappresentanti della Camera dei deputati e dei due terzi del Senato, prevedendo una seconda tornata fissata al 25 ottobre, in concomitanza con il primo turno delle elezioni presidenziali. Alle consultazioni, aspramente contestate da tutte le opposizioni, si sono imposti il candidato sostenuto dal presidente uscente J. Moïse e J. Célestin della Ligue alternative pour le progrès et l'émancipation haïtienne, che hanno riportato rispettivamente il 32,81% e il 25,27% dei consensi, e che si sarebbero dovuti confrontare al ballottaggio previsto per dicembre e poi rimandato; nel febbraio 016 Martelly ha raggiunto un accordo con le Camere per eleggere un capo di Stato ad interim, e il Parlamento ha nominato presidente temporaneo l'ex presidente del Senato J. Privert. A giugno i risultati del voto sono stati annullati per irregolarità, e nuove elezioni indette per l'ottobre 2016; alle consultazioni, rinviate al mese successivo a seguito del passaggio del devastante uragano Matthew che alla vigilia del voto ha arrecato ingentissimi danni all'isola provocando circa mille morti, si è imposto al primo turno con il 55,6% delle preferenze l'imprenditore agricolo Moïse. Nel luglio 2018, in un Paese stremato dalla crisi economica, violente proteste popolari generate da un aumento del prezzo dei carburanti hanno costretto il premier J.G. Lafontant, in carica dal marzo dello stesso anno, a rassegnare le dimissioni, subentrandogli nella carica J.-H. Céant, il quale a sua volta è stato sfiduciato dal Parlamento nel marzo 2019 per non essere stato in grado di adottare misure efficaci contro la corruzione e di pianificare interventi per il risanamento del bilancio statale. Nell'aprile 2019 il presidente Moïse ha confermato nella carica di premier J.M. Lapin, designato in un primo tempo come capo del governo ad interim, che ha rassegnato le dimissioni nel marzo 2020, subentrandogli J. Jouthe, sostituito nell'aprile 2021 da C. Joseph. Nel luglio 2021 Moïse è stato assassinato nella sua residenza privata da un commando straniero, subentrandogli ad interim nella carica il premier uscente Joseph, sostituito pochi giorni più tardi per elezione del Parlamento dal presidente del Senato J. Lambert, mentre nel Paese è stato dichiarato lo stato d'assedio; nello stesso mese ha assunto la guida dell'esecutivo A. Henry, incaricato da Moïse prima della sua morte, che solo nel mese di novembre è riuscito a formare un nuovo governo. Ad agosto, in una situazione di perdurante instabilità politica e in attesa delle elezioni presidenziali e legislative fissate al novembre successivo, una scossa di magnitudo 7,2 della scala Richter con epicentro 120 chilometri a sudovest di Port au Prince ha causato gravi danni e la morte di oltre duemila persone nel Sud del Paese.
Di tradizione francofona, la letteratura di H. si è fatta promotrice dell’identità culturale caribica. In tal senso operarono la Scuola di La Ronde (1898-1902), poi più apertamente D. Bellegarde, che riaffermò contro l’occupazione statunitense (1915-34) le affinità con la Francia; la Revue indigène (1927-29), che svolse una funzione di recupero dell’Africa ancestrale e del vudù con il saggio Ainsi parla l’oncle (1928) di J. Price-Mars, e di denuncia della realtà sociale contemporanea con gli interventi di J. Laleau, E. Roumer e J. Roumain; la rivista Les Griots, aperta all’etnologia, che contò fra i suoi teorici il futuro presidente F. Duvalier; e infine gli scritti militanti di J.-S. Alexis e R. Depestre. Dopo l’esodo degli intellettuali ostili al regime di Duvalier, la cultura haitiana si confinò nella ricerca di un’identità specificamente autoctona.