Pseudonimo dello scrittore francese Henri Beyle (Grenoble 1783 - Parigi 1842). Nato da famiglia della migliore borghesia, perse la madre in tenera età e crebbe nell'astio per il padre. La sua formazione spirituale fu essenzialmente di stampo illuministico. Premiato nel corso superiore di matematica all'École centrale di Grenoble, rinunciò a entrare nel Politecnico di Parigi per impiegarsi presso il Ministero della guerra, ciò che lo trasse al seguito dell'esercito napoleonico in Italia (1800), dove fu sottotenente dei dragoni. Nel 1801 cominciò il Journal, documento importante sugli anni della sua formazione (post., 1888; ed. integrale, 4 voll., 1935). Tornato in Francia (1802), s'impegnò in uno sfortunato tentativo commerciale a Marsiglia (1804-06); nuovamente con l'esercito francese in Germania (1806), fu poi a Parigi (1810), dove ebbe la nomina a uditore del Consiglio di stato, e infine ancora con Napoleone in Russia (1812). In Italia gli era parso di scoprire un nuovo senso della vita, nel fascino della musica, delle arti, della poesia; vi tornò in congedo (1811), e, collocato a riposo dai Borboni dopo la caduta di Napoleone, dal 1814 al 1821 (sette anni ch'egli definì "la fleur de ma vie") si stabilì a Milano, che considerò sua patria d'adozione, disponendo che sulla sua tomba fosse scritto "Arrigo Beyle milanese". Qui frequentò artisti e letterati e iniziò la sua opera di scrittore. Le sue Lettres écrites de Vienne en Autriche, sur le célèbre compositeur Jh. Haydn, suivies d'une Vie de Mozart et de Considérations sur Métastase et l'état présent de la musique en France et en Italie (1814, in realtà 1815, pubbl. con lo pseudonimo di L.-A.-A.-C. Bombet; ed. post. col tit. Vies de Haydn, de Mozart et de Métastase, 1854) e l'Histoire de la peinture en Italie (1817) sono compilazioni disinvolte, sulla scorta di autori italiani e stranieri, da cui traluce la spirito, insieme entusiasta e caustico, del giovane critico. Un carattere più personale si osserva in Rome, Naples et Florence, primo libro pubblicato (1817) col nome di Stendhal. Scritto in parte in Italia, nel ricordo dell'infelice amore per la contessa Matilde Dembowski Viscontini (n. 1790 - m. 1825), è il trattato De l'amour (1822). Le dottrine dei romantici italiani costituiscono la base dei due opuscoli intitolati Racine et Shakespeare (1823 e 1825); nel 1823 (con data 1824) apparvero i 2 voll. della Vie de Rossini, in cui S. rivela tutto il suo gusto di dilettante per l'opera buffa, e per Mozart, oltre che per Rossini; nel 1829 le Promenades dans Rome. Nel frattempo S. aveva esordito nel romanzo con Armance, ou Quelques scènes d'un salon de Paris en 1827 (1827), conflitto d'anime di notevole forza drammatica e sottigliezza d'analisi: opera con cui egli già si poneva sulla via del realismo, grazie anche alla ricerca di uno stile asciutto, spoglio, agli antipodi del lirismo romantico. Alla fine del 1830 (con la data 1831) apparve il romanzo Le Rouge et le Noir, cronique du XIXe siècle, il cui spunto fu offerto a S. dall'episodio reale di un giovane seminarista condannato a morte per omicidio. Ma con gli elementi della cronaca trasfigurati alla luce di una forte e delicata introspezione, S. creò uno dei personaggi più suggestivi della letteratura mondiale, Julien Sorel, giovane plebeo in lotta contro una società ostile (quella della Francia della Restaurazione), accanto al quale si muovono due antitetiche figure femminili: Madame de Rênal, tutta abnegazione nel suo appassionato amore per Julien, e Mathilde de La Mole, un po' enigmatica e cerebrale nel suo culto dell'energia. All'avvento della monarchia orleanista, S. fu nominato console a Trieste (1830), e poco dopo (1831) a Civitavecchia, dove si distrasse dalla solitudine e dal tedio con frequenti visite a Roma e soprattutto con un intenso lavoro. Non compì tutte le opere vagheggiate, abbozzate, in parte composte in quegli anni, di cui rimane un fascio di manoscritti; ma pubblicò i Mémoires d'un touriste (1838) e la Chartreuse de Parme (2 voll., 1839), che è il suo secondo grande romanzo. Questo si allontana di molto dai modi e dallo spirito del Rouge et Noir. Anche qui vi è un giovane eroe, Frabrizio Del Dongo, che due donne innamorate si contendono, la scintillante, energica duchessa di Sanseverina e la patetica Clelia Conti; ma Fabrizio, che è un affascinante insieme di bravura cavalleresca, di libertinaggio feudale e di religiosità ereditaria, e che poi non vive più se non del suo esaltato amore per Clelia, ha una grazia ingenua che manca a Julien; e tutta la complessa avventura si svolge in un ambiente che vorrebbe essere quello dell'Italia dopo il congresso di Vienna, ma che in realtà ha un colore incantevole di fiaba ariostesca. Il tema della Chartreuse deriva da alcune cronache italiane dei secc. 16º e 17º che giovarono a S. per una serie di novelle (note appunto come Chroniques Italiennes), in parte pubblicate sparsamente da lui, in parte postume: Vittoria Accoramboni, Les Cenci, La duchesse de Palliano, L'abbesse de Castro, ecc.; e, affine per il clima, ma d'ambientazione risorgimentale, Vanina Vanini. Un romanzo ch'egli non terminò, ma che nelle due parti lasciate in manoscritto ha bellezze non inferiori al Rouge et Noir e alla Chartreuse, è quello che si conosce sotto il titolo di Lucien Leuwen. Inoltre, e sempre negli anni di Civitavecchia (S. morì a Parigi durante un congedo, ma nel frattempo aveva molto viaggiato in Francia, in Svizzera, a Napoli, ecc.), egli tracciava l'abbozzo d'un ultimo romanzo, Lamiel (post., 1889), e le memorie autobiografiche Vie de Henri Brulard (post., 1890) e Souvenirs d'égotisme (post., 1892); pagine che una schiera di studiosi trasse in luce, via via che la fama di S., pressoché nulla mentre egli era in vita, veniva consolidandosi, dando luogo a una letteratura critica vastissima e minuziosa (da ricordare, in Italia, gli studî di C. Cordié, P. P. Trompeo, L. F. Benedetto, L. Maranini e, più recentemente, di M. Colesanti, G. Grechi, ecc.) e a numerose edizioni, tra cui quella dell'importante Correspondance (si ricorda l'ed. a cura di H. Martineau e V. del Litto, 3 voll., 1963-69). Legata alla fortuna postuma dell'opera di S. è infine la nozione di "beylismo" (fr. beylisme), con cui si è venuto definendo un atteggiamento morale e un modo di vivere connotati da individualismo, egotismo, culto dell'energia, volontà di gioia unita a lucidità distaccata.