Movimento veloce di persona o animale, nel quale i piedi non toccano mai contemporaneamente il suolo. Nello sport, gara di velocità tra persone, animali o veicoli che prevede generalmente la partenza simultanea dei concorrenti (atleti, automobili, cavalli, ciclisti ecc.) da punti equidistanti dal traguardo (o poco divergenti, in caso di griglie di partenza ecc.), con la vittoria di chi arriva primo. Esistono anche le c. a cronometro, in cui i concorrenti partono uno alla volta e vince chi compie il percorso nel più breve tempo. In taluni casi in pista la vittoria spetta al concorrente che in un tempo predeterminato compie il maggior numero di giri.
La c. ha sempre rappresentato una necessità per l’uomo fin dalla preistoria, quando da essa dipendeva la sua sopravvivenza (c. per la caccia, c. nella guerra ecc.). Presso i Greci e Romani, era la più comune tra le esercitazioni e le gare praticate nelle feste (a Olimpia fu in origine l’unica gara) e, secondo la lunghezza, si distinguevano i tipi di c. in stadio, diaulo e dolico. Nel Medioevo la c. fu in auge fra i popoli nordici, germanici e in Inghilterra, mentre negli Stati italiani la sua pratica tornò solo dopo il tramonto della cavalleria e si diffuse durante il Rinascimento.
Nell’atletica leggera la c. è la specialità più popolare e più seguita. Le c. su pista si svolgono solitamente su superfici piane di forma ellittica (una pista per riunioni internazionali deve misurare 400 m), comprendenti 6 o 8 corsie della larghezza di 1,22 m delimitate da una linea bianca larga 5 cm. Originariamente con fondo erboso (particolarmente negli Stati Uniti, in Australia e in Inghilterra) o in terra battuta, le piste furono in seguito costruite con materiali bituminosi impermeabili sempre più adatti a salvaguardare il fisico degli atleti e a valorizzarne la prestazione tecnica. Le c. su pista si classificano in piane, con ostacoli e siepi e si distinguono in c. di velocità (fino a 400 m), di mezzofondo (da 800 m a 3000 m), di fondo (fino a 10.000 m), di gran fondo (oltre), che comprendono le c. su strada quali la maratona. Le c. campestri si svolgono su percorsi naturali con dislivelli e asperità. Le c. indoor si svolgono all’interno di impianti sportivi polivalenti e avvengono normalmente su distanze ridotte per il modesto sviluppo della pista, che può anche essere limitata nel numero delle corsie. Tra gli italiani che in atletica leggera si sono affermati nel campo delle c. su pista si ricordano L. Beccali, vincitore delle Olimpiadi di Los Angeles (1932) e primatista mondiale nei 1500 m; L. Berruti, vincitore delle Olimpiadi di Roma (1960) e primatista mondiale nei 200 m; M. Fiasconaro, primatista mondiale sugli 800 m nel 1973; A. Cova, vincitore sui 10.000 m ai Mondiali di Helsinki (1983) e alle Olimpiadi di Los Angeles (1984); e soprattutto P. Mennea, che nei 200 m a Città del Messico realizzò un record mondiale (19,72’’) rimasto a lungo imbattuto e vinse la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Mosca. Tra le donne si è distinta P. Pigni nei 1500 m.
La c. rappresenta l’attività sportiva per antonomasia anche a livelli non agonistici; i più recenti studi in campo sportivo e medico confermano che, praticata con le dovute cautele, ha funzione benefica e preventiva di numerose patologie, prime fra tutte quelle cardiovascolari, quelle legate al sovrappeso e quelle respiratorie.
storia Guerra di c. In passato, nome delle spedizioni marittime di navi da guerra statali o di privati armatori, autorizzate dallo Stato belligerante mediante speciali lettere di c. o di marca, a impedire alle navi nemiche, mercantili o da guerra, di esercitare il commercio. Nel 12°-13° sec. la guerra di c. (o di rappresaglia) fu presente nel Mediterraneo e dopo il 13° sec. anche altrove (se ne servirono ampiamente Francia e Inghilterra); divenne normale strumento di lotta al tempo di Luigi XIV ma, nella pace di Utrecht (1713), ne fu vietata la concessione. Rifiorì soprattutto durante le guerre dei Sette anni, d’America, della Rivoluzione francese e dell’Impero e anglo-americana (1812-14). Tuttavia, già nel 1792, l’Assemblea legislativa francese ne propose l’abolizione, decretata poi dal Congresso di Parigi del 1856 con una dichiarazione accettata da tutte le nazioni civili a eccezione di Spagna, Messico e Stati Uniti, che subordinarono il consenso all’adozione anche del principio dell’inviolabilità della proprietà privata nella guerra marittima.