Il più piccolo tra i continenti (circa 7.700.000 km2, il 5% delle terre emerse), situato totalmente nell’emisfero australe dal quale deriva il suo nome, grosso modo tra 11° e 40° lat. S e 114° e 154° long. E Gr., a SE dell’Asia, da cui lo separa l’immenso sciame di grandi e piccole isole che formano l’Insulindia. I punti estremi del continente australiano sono a N il Capo York (10° 41′ lat. S), a S il Capo Wilson (39° 8′), a O l’isola Dirk Hartog (113° 9′ long E Gr.), a E il Capo Byron (153° 39′ E).
Il carattere di continente dell’Australia è stato riconosciuto tardivamente dagli Europei, dopo i viaggi di J. Cook nel 18° sec., ed è per questo che si è parlato di «continente nuovissimo», un mondo acquisito alle conoscenze europee molto più tardi di quello «nuovo», costituito dalle due Americhe. Per lungo tempo si è infatti pensato che l’Australia facesse parte di una massa continentale molto più grande, una Terra australis che si spingeva fino intorno al polo antartico.
Spesso l’Australia è stata, ed è, considerata parte dell’Oceania, vale a dire della più estesa regione insulare del mondo, quasi interamente compresa nel quadrante sud;occidentale dell’Oceano Pacifico; ma ciò non è del tutto corretto appunto per la sua natura continentale che la contrappone all’insularità dell’Oceania, insularità riaffermata dal nome stesso, che richiama immediatamente l’oceano e dunque un concetto diverso e opposto a quello di continente. È pertanto opportuno mantenere una netta distinzione tra Australia e Oceania, benché una certa contiguità e diversi aspetti etno-antropologici stabiliscano innegabili relazioni e rendano opportune a volte trattazioni congiunte.
I primi Europei che si avvicinarono alle coste australiane, forse in qualche caso avvistandole, erano navigatori spagnoli, portoghesi e soprattutto olandesi che compirono viaggi attraverso l’Oceano Pacifico, ripercorrendo in gran parte, ma talora deviandone, il percorso seguito dalla circumnavigazione di F. Magellano. Tra questi vanno ricordati Á. Mendaña de Neira, P.F. de Quiros e L.V. de Torres, i cui viaggi si collocano tra gli ultimi anni Sessanta del Cinquecento e i primi del secolo successivo. Alle navigazioni spagnole, che si fecero sempre più rare dopo che la Spagna, alla fine del sec. 16°, perse il dominio dei mari per la grande sconfitta navale inflittale dagli Inglesi, seguirono le imprese degli Olandesi, i quali si erano resi indipendenti dalla Corona spagnola e si andavano organizzando come grande paese coloniale e marittimo, anche attraverso l’azione di varie compagnie commerciali riunitesi nella grande Compagnia delle Indie Orientali. Certamente videro e seguirono le coste australiane occidentali e settentrionali gli olandesi W. Janszoon nel 1605 e D. Hartog nel 1616. Fu allora che si cominciò a mettere seriamente in dubbio l’appartenenza di quelle coste alla Terra australis: un problema che sarebbe stato risolto soltanto oltre un secolo e mezzo più tardi con le esplorazioni di Cook. Nel frattempo, però, le conoscenze aumentavano, soprattutto per merito della spedizione affidata dalla Compagnia delle Indie Orientali ad Australia Tasman che nel 1642, dopo aver attraversato l’Oceano Indiano con due navi, giunse a scoprire una terra a latitudini più meridionali, che venne denominata Terra di van Diemen, ma che in seguito sarà chiamata Tasmania in onore del suo scopritore. Il viaggio compiuto da Tasman, cui ne seguì un secondo due anni dopo, nel corso del quale fu riconosciuta la natura insulare della Nuova Guinea, non risolse il problema della Terra australis, ma migliorò di molto la conoscenza della regione. Oltre quarant’anni dopo le spedizioni di Tasman ebbero luogo i viaggi dell’inglese W. Dampier (1688 e 1698-99) lungo le coste australiane. Nel 1721 l’olandese J. Roggeveen mosse alla ricerca della Terra australis. Il primo viaggio di Cook (1770), con la nave Endeavour, fu organizzato dalla Società Reale di Londra, sia per osservare il passaggio di Venere sul Sole (e per questo a essa partecipavano diversi scienziati) sia per completare l’esplorazione geografica e costruire le basi della colonizzazione; a tal fine risultò importante la ricognizione delle coste delle due isole che formano la Nuova Zelanda e la presa di possesso in nome del sovrano d’Inghilterra della parte orientale dell’Australia, denominata da allora Nuovo Galles del Sud, mentre per la soluzione definitiva del problema della Terra australis e la dimostrazione della sua inesistenza, almeno nella misura in cui la si era immaginata, occorrerà attendere i risultati del seguente viaggio dello stesso Cook, compiuto negli anni 1772-74 con le navi Resolution e Adventure. Tra le imprese successive ai due viaggi di Cook meritano di essere ricordate quelle degli inglesi G. Bass (che nel 1798 rilevò l’esistenza dello stretto cui fu dato il suo nome, dimostrando la natura insulare della Tasmania), M. Flinders (che per primo, negli anni 1801-1802, circumnavigò il continente australiano e propose il nome Australia) e W.P. King (che tra il 1817 e il 1824 rilevò buona parte delle coste australiane).
Assai più tarda fu l’esplorazione dell’interno dell’Australia, continente che, come quello africano, è formato in gran parte da tavolati i cui bordi rialzati alle spalle delle coste appaiono, a chi viene dal mare, come catene montuose più difficili da valicare di quanto in realtà non siano (e pertanto scoraggiano la penetrazione); esplorazione che di fatto, dopo alcuni modesti tentativi negli anni 1810, iniziò soltanto nel biennio 1828-29, con la prima impresa di C. Sturt, che raggiunse, e in parte percorse, il maggior bacino idrografico del continente, quello del Murray-Darling, la cui ricognizione fu completata dallo scozzese T.L. Mitchell (1831-36). Particolarmente lenta e difficile fu l’esplorazione delle zone aride e iperaride, che interessano la massima parte del resto dell’Australia, cui contribuirono esploratori quasi tutti britannici (fa eccezione il tedesco L. Leichhardt), tra i quali E.J. Eyre (Australia meridionale; regione del lago cui ha dato il nome, 1837-40), G. Grey (regione costiera dell’Australia occidentale, 1839), Leichhardt (traversata dell’Australia nord-orientale,1844; tentativi successivi, tragicamente falliti, di traversata dell’intera Australia da E a O), C. Sturt (traversata del continente in senso S-N, riuscita solo parzialmente, 1844-45), i fratelli A.C. e F.T. Gregory (Australia occidentale, per lo più separatamente, tra il 1846 e il 1861), J. MacDouall Stuart (tra il 1858 e il 1862).
Resto della vasta Terra di Gondwana, l’Australia è costituita per quasi un terzo da formazioni precambriane penepianate di rocce endogene e metamorfiche e per il resto da formazioni di ere successive, dal Paleozoico al Quaternario. Dal punto di vista strutturale, il territorio australiano è costituito da due elementi fondamentali: lo scudo precambriano e la fascia mobile della Tasmania. Il primo occupa l’intera parte occidentale e centrale del continente, conferendole forme di tipo tabulare: altopiani (di Kimberley, dell’Australia occidentale, di Nullarbor ecc.) profondamente incisi dall’erosione e antichissime catene che, ormai smantellate dagli agenti esogeni, raggiungono appena i 1500 m di altitudine; a queste forme si affiancano grandi bacini di sprofondamento, sia ai margini esterni (di Perth, di Carnarvon ecc.) sia nell’interno (Gran Bacino Artesiano che dal Golfo di Carpentaria, a N, giunge a comprendere la depressione del Lago Eyre). La fascia mobile della Tasmania, costituitasi attraverso fasi orogenetiche paleozoiche, ha dato luogo a un sistema montuoso, quello della Gran Catena Divisoria, parzialmente ringiovanito nel Terziario e frazionato in diverse porzioni (la più elevata è quella meridionale delle cosiddette Alpi Australiane, che raggiunge i 2228 m nel Monte Kosciusko), con proseguimento anche nell’isola di Tasmania. In definitiva, l’Australia è un continente nel complesso uniforme, nel quale però si possono distinguere tre grandi regioni morfostrutturali: il penepiano australiano, la pianura del Gran Bacino Artesiano, le alteterre della Gran Catena Divisoria.
Una caratteristica morfologica dell’Australia, che ha avuto ripercussioni negative sulle possibilità di accesso via mare, ma che ha dato luogo a un paesaggio di eccezionale singolarità e bellezza ed è divenuta una notevolissima attrattiva turistica, è la Gran Barriera Corallina, immensa formazione madreporica che si estende per ca. 2200 km al largo della costa orientale del continente.
L’Australia è tagliata quasi esattamente a metà dal Tropico del Capricorno. Ricade dunque nel dominio dei climi caldi poiché si estende dall’ambiente sub-equatoriale all’ambiente subtropicale, passando attraverso quello tropicale, che ne caratterizza la maggior parte. Ricade altresì nel dominio dei climi tropicali aridi: se l’Africa è certamente il continente nel quale le zone aride (steppiche e subdesertiche) e iperaride (francamente desertiche) occupano la maggiore estensione in assoluto (il solo Sahara è un po’ più ampio dell’intera Australia), il continente australiano è quello in cui la superficie di tali zone è proporzionalmente maggiore, arrivando a coprire poco meno dei tre quarti di quella complessiva (in Africa, un po’ meno di un terzo). Oltre alla latitudine, almeno altri tre fattori climatici esercitano una non trascurabile influenza: la compattezza della configurazione costiera, che riduce al minimo le influenze marittime, accentuando la continentalità; la presenza di allineamenti montuosi lungo il litorale pacifico, che sbarrano la strada ai venti di provenienza oceanica obbligandoli a scaricare tutta la loro umidità sul mare; i venti monsonici che arrivano d’estate nella sua parte settentrionale. In una lunga fascia litoranea e sublitoranea che si estende dal Territorio del Nord al Queensland, il clima è di tipo monsonico tropicale, con abbondante piovosità estiva; proseguendo oltre verso S, assume caratteri subtropicali, piuttosto simili a quelli mediterranei, che si conservano fino allo Stato federato di Vittoria. Il resto dell’Australia ha clima subdesertico e desertico caldo, con punte di particolare aridità nella sezione più occidentale del continente (Gran Deserto Sabbioso, Gran Deserto Vittoria).
Le caratteristiche orografico-morfologiche (prossimità al mare dei principali rilievi) e la marcata e diffusa aridità non hanno favorito la formazione di vasti bacini idrografici e di fiumi di cospicua portata. Lo stesso Murray-Darling, l’unico sistema fluviale di grandi dimensioni, che occupa la sezione centro-orientale del continente scorrendo per quasi 3500 km e drenando un bacino di circa 900.000 km2, convoglia acque decisamente scarse (portata media di 1900 m3/s, ma con valori minimi di 350). I pochi laghi di dimensioni ragguardevoli, tra cui primeggia il Lago Eyre, ampio in media quasi 10.000 km2, sono specchi d’acqua salati, poco profondi e di superficie variabile perché soggetti a forte evaporazione. Molto ricca, invece, è la disponibilità di acque sotterranee, raccolte in estesissime falde artesiane (in totale oltre 2.000.000 km2), che però sono state sottoposte a intenso sfruttamento e consumo per l’irrigazione.
Gli elementi floristici e faunistici australiani danno luogo a biomi di notevolissimo interesse perché in gran parte sono specie endemiche e arcaiche presenti solo in questo continente, precocemente separatosi, nel corso della sua storia geologica, dalle altre terre del Gondwana. La vegetazione, che comprende oltre 11.000 specie, è assai ricca nella parte settentrionale e orientale del continente, nella quale, da N a S, si susseguono foreste pluviali, savane arborate, foreste subtropicali di eucalipti. Il resto dell’Australia, dominio dei climi aridi, è caratterizzato da savane erbacee, da steppe, da formazioni tipiche dell’Australia denominate scrub (steppa-boscaglia xerofila di arbusti spinosi), e da deserti veri e propri.
Di eccezionale interesse per la ricostruzione della storia della Terra e la storia della vita è la fauna. Tra i Mammiferi essa annovera Cetacei, Sireni, Pinnipedi, Carnivori (tra i quali il dingo, cane selvatico apparso prima dell’uomo), Roditori, Chirotteri; ma soprattutto Monotremi (ornitorinco, echidna), esclusivi dell’Australia, che rappresentano l’anello di congiunzione tra Rettili e Mammiferi, e i Marsupiali (i numerosi canguri, il vombato, il koala, il tilacino ecc.), quasi esclusivamente australiani. Anche tra gli Uccelli si contano parecchie specie endemiche, tra le quali l’emù (struzzo australiano); e così tra gli altri Vertebrati.
Le tracce più antiche di frequentazione umana, datate con il radiocarbonio, risalirebbero a 40.000 anni fa circa (Carpenter’s Gap e Riwi, nella penisola di Kimberly); in tali contesti sono stati ritrovati strumenti in pietra (raschiatoi e grattatoi a bordo erto) attribuiti alla cosiddetta Australian core tool and scraper tradition. Gli antenati degli attuali nativi australiani sarebbero arrivati, sfruttando il basso livello delle acque dovuto alla glaciazione, dal Sud-Est asiatico fino alla Nuova Guinea, attraversando poi lo stretto braccio di mare che separa l’isola dall’Australia. Essi esplorarono ogni parte del nuovo continente spingendosi a S fino alla Tasmania. Anche se alcuni studi pongono in evidenza la persistenza di sporadici contatti con le popolazioni papua della Nuova Guinea, con le isole dello Stretto di Torres (abitate da melanesiani) e con alcune isole dell’Indonesia orientale (di cui sarebbe originario il dingo), per lo più i nativi australiani vissero in isolamento dal resto dell’umanità. L’esame di resti organici in depositi stratificati ha consentito di ricostruire il regime alimentare delle prime comunità, dedite alla pesca e alla raccolta di molluschi; gli abitanti delle aree più aride (Silver Dollar) adottarono una dieta basata sul consumo di piccoli canguri, uallabia e uova di emù. A seguito del peggioramento delle condizioni ambientali dell’Ultimo Glaciale (25.000-18.000 anni fa), si ebbe un crollo demografico o forse una ridistribuzione della popolazione, legata anche ai mutamenti della linea di costa.
Sul finire del Settecento, agli albori della colonizzazione britannica, vivevano sul territorio australiano tra 300.000 e un milione di nativi, divisi in oltre 600 gruppi e parlanti più di 200 lingue. Si trattava di popolazioni di cacciatori e raccoglitori, per lo più riuniti in piccole bande, con uno stile di vita nomade. Gli Occidentali li definirono Aborigeni perché, adottando un’ottica evoluzionista, li considerarono, per via della mancanza di tecnologie complesse, i rappresentanti di un’umanità primigenia. Questo termine è ora respinto dai nativi sia per la sua venatura razzista sia perché unisce in un’unica categoria un variegato insieme di popolazioni. Le alternative che si sono affermate sono Koori (nativi del Sud-Est australiano), Murri (area centro-orientale), Nunnga (area centro-meridionale), Nyungar (area del Sud-Est).
Alla fine dell’Ottocento, negli ambienti colti dell’Europa, gli Aborigeni divennero oggetto di crescente attenzione, stimolata dalle ricerche etnografiche di B. Spencer e F.J. Gillen e dalle riflessioni teoriche di E. Durkheim. Gruppi come gli Aranda, i Kariera, gli Yolngu, i Walbiri, i Tiwi divennero protagonisti di pagine classiche dell’etnologia. Ad attrarre l’attenzione degli etnologi furono in particolare l’organizzazione della parentela, le credenze e i rituali. Non a caso tra i concetti più noti che scaturirono dalla ricerca sugli Aborigeni vi sono nozioni quali esogamia (l’obbligo di sposarsi fuori dal proprio gruppo) e totemismo (l’identificazione di un gruppo con un animale o una pianta, ritenuti gli antenati mitici del gruppo stesso). Spesso fu la ricerca dell’esotico ad animare la curiosità sugli Aborigeni, come mostra ancora oggi la notorietà di oggetti quali il boomerang o lo strumento musicale didgeridoo, divenuti vere e proprie icone della cultura aborigena.
L’idea secondo cui, essendo una popolazione estremamente primitiva, gli Aborigeni sarebbero stati destinati a scomparire o a essere assimilati nella società dei Bianchi, spinse gli studiosi a praticare una sorta di ‘etnologia di emergenza’, volta a salvare la conoscenza di quei popoli minacciati di estinzione. Per questo, a lungo, vennero studiati i gruppi più isolati e remoti. Nel campo del mito e della religione, il concetto più studiato è certamente quello di ‘Sogno’ o ‘Tempo del Sogno’, reso poi celebre da B. Chatwin in The songlines (1988). Tempo del sogno è, per molte culture native, la realtà in cui vissero gli antenati fuoriusciti dal terreno, i quali diedero forma al paesaggio muovendosi attraverso tutta l’Australia e disseminandola di siti sacri (pozze d’acqua, colline, rocce, fiumi e torrenti). Questo momento creativo, nel quale gli uomini e l’ambiente in cui vivono prendono forma, non è tanto un’epoca passata quanto piuttosto una realtà che sta oltre l’ordinario e il quotidiano, e che gli uomini, attraverso i riti, sono chiamati a rendere presente e vivificare. I riti della nascita, dell’iniziazione, della fertilità e della morte, che spesso richiedono un’ampia mobilità sul territorio (il cosiddetto walkabout degli Aborigeni), sono altrettante modalità di porre in connessione il mondo degli uomini e il Tempo del Sogno.
Solo a partire dagli anni 1960 gli etnologi cominciarono a interessarsi di temi quali l’impatto della colonizzazione sugli Aborigeni (in alcune aree, come nel Sud-Est e in Tasmania, così devastante da portare alla totale scomparsa delle popolazioni native), le trasformazioni indotte dall’adozione di uno stile di vita moderno e il contatto con il cristianesimo. L’attenzione alle trasformazioni coloniali ha fatto emergere il tema dei diritti sulla terra, con significative ripercussioni a livello politico, e ha rafforzato la battaglia aborigena per la restituzione di territori ancestrali. Dopo la cosiddetta sentenza Mabo (1992), che per la prima volta dichiarò infondato il principio della terra nullius, in base al quale gli Inglesi presero possesso dell’Australia, numerosi territori sono stati restituiti agli Aborigeni. Tra questi il famoso monolite Uluru (Ayers Rock), uno dei siti più visitati dai turisti. Oggi gli Aborigeni sono il 2,2% della popolazione totale.
È stata ipotizzata la derivazione delle lingue australiane da un unico ceppo, il Pama-Nyungan; esistono tuttavia altri idiomi indipendenti (Australia settentrionale), che avrebbero iniziato a differenziarsi circa 4000 anni fa. Si stima che almeno 2/3 delle lingue parlate a fine Settecento siano scomparse e, delle rimanenti, solo una ventina siano parlate correntemente.
Si estendono al largo delle coste australiane.
Il Bacino australiano orientale (prof. media 4000-5000 m), anche noto come Bacino di Tasman, dal monte che lo sovrasta, si affonda nel Pacifico tra le coste sud-orientali dell’Australia e il gruppo insulare della Nuova Zelanda.
Il Bacino australiano meridionale (6000 m) e quello australiano occidentale (6300 m) sono nell’Oceano Indiano, rispettivamente a S delle coste meridionali dell’Australia e al largo delle sue coste occidentali. Nell’Oceano Indiano si trova anche il Bacino australiano settentrionale (6800 m), fra le coste nord-occidentali dell’Australia e l’arcipelago dell’Indonesia.
Gran Baia Australiana Vasta baia dell’Oceano Indiano, lungo le coste meridionali dell’Australia, tra Capo Pasley a O e Capo Carnot a Est. Lunga quasi 1200 km e profonda 350 m.