Insieme di tendenze dottrinali e di atteggiamenti politici, propri della Francia durante la monarchia, relativi sia all’estensione in Francia dell’autorità del capo supremo della Chiesa cattolica, sia alle relazioni di questa con l’autorità politica francese. Assunse toni ora più teologici ora più spiccatamente giuridici (sempre su una base nazionalistica).
Sebbene già sotto i Carolingi si osservi una tendenza all’indipendenza della Chiesa di Francia, il g. vero e proprio cominciò a delinearsi sotto Filippo IV il Bello e si svolse sotto i papi d’Avignone e durante lo scisma d’Occidente. Il concilio di Parigi (1398) parlò delle ‘libertà’ (nel significato medievale di immunità e privilegio) della Chiesa gallicana. Tali concetti trovano la loro espressione concreta nella Prammatica sanzione di Bourges (1438), la quale non solo afferma la superiorità del concilio sul papa (riaffermata poi nel Conciliabolo di Pisa, 1512), ma che il potere del pontefice romano sulla Chiesa di Francia è limitato sia dai canoni antichi, sia dall’autorità del sovrano. Con il concordato di Bologna (1516), Leone X ottenne che Francesco I abolisse la Prammatica, ma dovette cedere su molti punti. Anche nel Concilio di Trento i teologi francesi difesero strenuamente l’autorità regia, mentre, durante le guerre di religione, ‘politici’ e giuristi cercarono di mantenere intatte, pur nell’accettazione della teologia cattolica riguardo a certi problemi, le prerogative regie. Così il classico trattato di P. Pithou, Les libertés de l’église gallicane (1594), sostenne che il papa non potesse intervenire in Francia sulle cose temporali e che anche la sua sovranità spirituale era limitata dalle regole e dai canoni vigenti nel territorio sottoposto alla sovranità del re di Francia. Seguirono tale indirizzo, fra gli altri, scrittori quali E. Richer (De ecclesiastica et politica potestate, 1611), i fratelli Dupuy (Des droits et des libertés de l’église gallicane, 1639), P. de Marca (De concordia sacerdotii et imperii, 1641).
La monarchia, da parte sua, pur mantenendosi estranea alle polemiche teologiche, difese con fermezza le sue prerogative sovrane e ottenne che, dopo varie altre manifestazioni, un’assemblea del clero approvasse (1682) la Déclaration redatta da J.-B. Bossuet, con l’implicita, ma chiara, affermazione della superiorità del concilio sul papa, il diniego della potestà indiretta del pontefice romano in materia anche temporale, nonché l’altro diniego dell’infallibilità del papa (fatta dipendere dal consenso della Chiesa). La dichiarazione, resa obbligatoria da Luigi XIV e ritirata poi nel 1693 dopo la condanna di Alessandro VIII (1690), continuò a ispirare il clero francese durante tutto il 18° sec., mentre in tutta Europa si diffondevano dottrine analoghe, note sotto vari nomi (giuseppinismo, febronianismo ecc.) e si veniva formando, sotto l’impulso di esigenze per lo più d’ordine pratico, quella specie di alleanza tra giansenismo e g., per cui si finì con il fare una certa confusione tra i due movimenti: perciò gallicani e giansenisti possono essere considerati, per es., il canonista Z.-B. van Epsen e B.-H. Grégoire, che accettò la Costituzione civile del clero, voluta dalla Rivoluzione e condannata da Pio VI.
Successivamente, le disposizioni del Concordato napoleonico (1801) sembrarono eliminare del tutto l’antico g.; ma qualcosa ne sopravvisse, per opera dei giuristi, quando la dichiarazione del 1682 fu reintrodotta nei cosiddetti Articoli organici pubblicati da Napoleone nel 1802, nonché dello stesso clero dell’ancien régime, con lo scisma della cosiddetta Petite église e ancora durante la Restaurazione e il Secondo Impero, fino al concilio Vaticano I, che condannò minutamente i singoli punti del gallicanesimo.