sufismo Nell’islam, dottrina e disciplina di perfezionamento spirituale. Si presenta come un insieme di metodi e dottrine che tendono all’approfondimento interiore dei dati religiosi, per preservare la comunità dal rischio di un irrigidimento della fede e di un letteralismo arido e legalistico.
L’origine della parola viene spesso riferita al sostantivo ṣūf («lana»), che alluderebbe al materiale del saio indossato dai primi asceti; ma il termine è stato anche fatto derivare da ṣafā’ («purezza») o da ṣuffa («portico»), con riferimento forse al portico adiacente alla casa di Maometto a Medina, sotto cui il profeta aveva ospitato alcuni pii personaggi. Sul finire dell’8° sec. si ha la prima attestazione conosciuta del termine ṣūfī, per indicare un devoto di al-Kūfa, e attorno alla metà del 9° sec. si indicavano con questa espressione coloro che si dedicavano con particolare intensità alle discipline spirituali; di poco successiva è la diffusione del termine taṣawwuf («professare di essere ṣūfī») per indicare la tendenza nel suo complesso. La consacrazione del s. e la sua accettazione nel quadro dell’ortodossia sunnita si possono far risalire alla fine dell’11° sec., all’opera di al-Ghazzāli, che considerò essenziali per la complessa visione ortodossa i principi di un s. epurato da abusi e da eccessi dottrinali.
Trattandosi di una disciplina di perfezionamento spirituale, nel s. ha assunto particolare rilevanza il rapporto tra maestro (shaikh o murshid) e discepolo (murīd). Tale rapporto, inizialmente informale, si è andato con il tempo strutturando, fino ad arrivare fra il 12° e il 13° sec. alla costituzione di veri e propri ordini e confraternite. Ciascuna di queste trae il nome dal santo fondatore e dispone di una regola che stabilisce norme rituali e di comportamento per i propri aderenti, organizzati in un sistema gerarchico di struttura piramidale. Il s. delle confraternite ha inoltre contribuito alla generale affermazione del culto dei santi (awliyā’) vivi e defunti.