AUSTRALIA
Demografia e geografia economica. Condizioni economiche. Storia. Architettura. Bibliografia. Letteratura. Bibliografia. Cinema
Demografia e geografia economica di Marco Maggioli. – Stato compreso interamente nell’emisfero australe, tra l’Oceano Indiano e l’Oceano Pacifico. Il popolamento dell’A. resta assai contenuto, in rapporto alla vasta estensione delle terre disponibili. Secondo una stima UNDESA (United Nations Department of Economic and Social Affairs) relativa al 2014, si contano 23.630.169 ab., con una crescita rispetto all’anno precedente dell’1,2%. La densità complessiva è attorno a 3 ab. per km2, e inalterati rimangono i contrasti tra le aree settentrionali dominate dal deserto e la popolosa costa sudorientale. Il tasso di fecondità è di 1,9 figli per donna nel 2012, con una natalità complessiva del 13,6‰. Il contemporaneo abbassamento della mortalità (6,5‰, con 82,5 anni di vita media) ha comportato l’espansione della percentuale di anziani. Benché sia stata rivolta una maggiore attenzione allo stato delle popolazioni indigene, che risultano in ripresa demografica (517.000 persone, il 2,5% della popolazione), queste sono ancora connotate da forti ritardi nella speranza di vita (inferiore di quindici anni rispetto alla media; 67,2 contro 82,5), nei livelli d’istruzione e nelle disponibilità di reddito. La popolazione urbana, stimata nel 2012 in circa l’89% di quella complessiva, si concentra in larga parte nelle otto aree metropolitane, tutte distribuite lungo il litorale meridionale. In particolare, la costiera del Nuovo Galles del Sud comprende oltre 6 milioni di ab. lungo l’arco di un centinaio di chilometri, che ha il suo perno in Sydney e i suoi margini in Newcastle e Wollongong.
Condizioni economiche. – Secondo le previsioni del FMI (Fondo Monetario Internazionale), nel 2014 il PIL è cresciuto del 2,8%, il PIL pro capite a parità di poteri d’acquisto (PPA) è di 46.631 dollari, mentre la disoccupazione si è attestata attorno al 6,2% (negli anni precedenti era attorno al 5%). Un contributo significativo deriva dalla vasta disponibilità di materie prime minerarie e di fonti energetiche, che insieme alimentano per oltre un terzo l’export. In particolare, l’A. è il maggiore produttore al mondo di bauxite, alluminio e opali, il secondo al mondo di nichel, oro e zinco, il terzo di ferro, uranio, diamanti e gas naturale, il quarto di carbone e uno dei maggiori produttori delle altre risorse comunemente usate nelle industrie. Il settore minerario produce il 10% del PIL del Paese, mentre l’indotto contribuisce per un altro 9%. Lo sfruttamento di questa grande ricchezza alimenta la crescita economica di colossi asiatici come Cina, India e Indonesia, continuando a rivelarsi essenziale per storici partner commerciali, come Giappone e Nuova Zelanda.
Il commercio ha prodotto, nel 2012, circa 440 miliardi di dollari di ricavi, di cui 240 dovuti alle esportazioni (materie prime minerarie, frumento, carni, latticini e lana). L’agricoltura mantiene una certa importanza (meno del 3% della quota del PIL), l’industria, che nel secondo Novecento ha dato un rapido sviluppo al Paese, oggi occupa il 15%, mentre il settore manifatturiero l’11%. Il terziario è tutt’oggi il settore che partecipa al PIL in maniera più consistente, con oltre il 70%.
Storia di Paola Salvatori. – La vittoria del Labour party nelle elezioni politiche del 2007 pose fine all’egemonia dei conservatori, ininterrottamente al governo dal 1996. Kevin Rudd, nuovo leader dell’esecutivo, forte di una larga maggioranza parlamentare e di un ampio consenso nell’opinione pubblica, inaugurò una politica di riforme in netta contrapposizione a quella dei suoi predecessori. Uno dei suoi primi atti fu la ratifica del protocollo di Kyoto (dic. 2007) cui seguirono, l’anno successivo, le prime scuse ufficiali rivolte al popolo aborigeno per il trattamento inflitto, tra il 1870 e il 1960, a quasi 100.000 dei loro bambini, sottratti alle famiglie per essere cresciuti in orfanotrofi (le cosiddette generazioni rubate). Sempre in netta contrapposizione con le direttive dei governi precedenti, Rudd abrogò poi la deregulation delle relazioni industriali e procedette al ritiro delle ultime truppe dall’῾Irāq. Più ambigua rimase invece la politica nei confronti degli immigrati irregolari, tra cui i richiedenti asilo, provenienti per lo più da Srī Laṅkā, Irān, ῾Irāq e Afghānistān. La legge che ne imponeva la detenzione rimase infatti in vigore, pur mitigata dall’abolizione della cosiddetta Pacific solution, che prevedeva la reclusione in centri di detenzione extraterritoriali, situati in alcune isole del Pacifico. Il rallentamento dell’economia, l’aumento del deficit pubblico e il timore di una crescita delle ondate migratorie minarono la popolarità del premier, contestato anche dall’ala più moderata del suo stesso partito. Nel giugno 2010 Rudd si dimise e gli subentrò Julia Gillard (prima donna a ricoprire l’incarico) la quale, in seguito al ridimensionamento dei laburisti nelle elezioni del 2010, formò un governo di minoranza con l’appoggio esterno determinante dei Verdi. Pur riprendendo alcuni temi forti del suo predecessore – approvazione della carbon tax volta a penalizzare le industrie più inquinanti (2012) e del disegno di legge che riconosceva gli aborigeni e gli isolani dello Stretto di Torres come primi abitanti dell’A. (2013) – Gillard inaugurò una politica più moderata, attenuando molte misure del precedente governo. Raggiunse un accordo con le grandi compagnie minerarie ridimensionando l’annunciata tassa sui super-profitti avanzata da Rudd e ripristinò sostanzialmente la Pacific solution, riaprendo molti centri di detenzione extraterritoriali per gli immigrati. Uno dei punti di forza del suo mandato fu la politica estera volta a ridefinire il ruolo del Paese nel contesto geopolitico. La nuova linea puntò a instaurare un solido legame economico con Cina, India, Giappone e Indonesia, lasciando intatto il rapporto con gli Stati Uniti. Il successo internazionale, sancito da una serie di accordi vantaggiosi con la Cina, e il mantenimento dell’economia australiana fuori dalla dura crisi che aveva colpito molte economie occidentali non ridussero però l’emorragia di consensi del Partito laburista, che cercò di correre ai ripari riconsegnando nel giugno 2013 la guida del governo a Rudd. Nelle elezioni del settembre successivo i laburisti furono sconfitti dai conservatori che tornavano così al potere dopo sei anni. Il nuovo primo ministro Tony Abbott, pose tra le priorità del governo la riduzione del deficit pubblico, una dura lotta all’immigrazione clandestina e il rilancio dell’economia attraverso la liberalizzazione del mercato. Furono così varati tagli alla spesa pubblica e abrogate sia la legge sui sovraprofitti sia la carbon tax (luglio 2014). Per quanto riguardava l’immigrazione, il governo adottò la linea dura dei respingimenti in mare, prevedendo di incrementare il dirottamento dei richiedenti asilo verso le strutture di detenzione extraterritoriali. Nel quadro di un rafforzamento dei rapporti con la NATO, nel settembre 2014 Abbott garantì al governo statunitense l’appoggio militare nella lotta contro i militanti del gruppo Stato islamico e si schierò con l’Europa nelle sanzioni contro la Russia dopo il suo intervento in Ucraina. In un voto interno ai conservatori, nel settembre 2015 Malcolm Turnbull fu scelto come nuovo leader del partito al posto di Abbott, sostituen dolo anche nell’incarico di primo ministro.
Architettura di Davide Lombardi. – Dal 2010 l’A. è impegnata in un’operazione di sviluppo architettonico che investe tutti i settori del Paese, con grande attenzione alle infrastrutture destinate all’educazione e allo sport. Accanto agli interventi di maggiori dimensioni persistono la ricerca architettonica nell’ambito dell’edilizia residenziale unifamiliare legata al territorio ed esperimenti formali più avanguardistici. La realtà contemporanea presenta studi di architettura di ottimo livello affiancati, in occasione di grandi concorsi, dalle firme internazionali più note. Gran parte delle realizzazioni rivela l’attenzione ai temi della tecnologia e dell’ecosostenibilità.
Nel 2006 lo studio Fender Katsalidis Architects ha completato la Eureka tower, a Melbourne, la torre per uffici e residenze più alta dell’emisfero australe. Lo studio Lyons ha firmato quattro importanti complessi universitari: a Hobart, i due edifici per la University of Tasmania school of medicine (2009), che richiamano i paesaggi montani circostanti, mentre a Melbourne la sede del Swanston academic building (2012) e dell’Institute for molecular science (2013). Caratterizzati da un aspetto pop, sono un concentrato di scelte votate al risparmio energetico e all’ottimizzazione dell’uso dei materiali. La sede della Sydney law school (2009) progettata dallo studio FJMT (Francis-Jones Morehen Thorp), è formata da un complesso di blocchi vetrati intersecati da un volume curvilineo rivestito di alluminio che ospita gli ambienti di servizio all’università.
Sean Godsell è autore del pro getto per il Design hub (2012) realizzato a Melbourne nel quartiere di Carlton. Ubicato tra due importanti arterie del centro cittadino, è composto da un parallelepipedo la cui superficie esterna è un avanzato sistema frangisole formato da dischi in vetro apribili per il ricambio di aria e la produzione di energia. Da menzionare la Soheil Abedian school of architecture (2013) realizzata lungo la Gold Coast dallo studio CRAB (Cook Robotham Architectural Bureau) di Sir Peter Cook.
Fra le infrastrutture sportive si annovera la Perth arena (2012). Progettata da ARM Architecture e CCN (Cameron Chisholm & Nicol), presenta una facciata priva di ogni simmetria con richiami decostruttivisti. Il Melbourne Rectangular stadium (2010), disegnato da Cox Architecture, si distingue per la sua copertura composta da una teoria di sezioni di cupole geodetiche con una pannellizzazione triangolare nelle cui fughe è presente un complesso sistema LED.
Il tema delle residenze unifamiliari trova espressione nelle ville situate lungo il litorale oceanico. La Torquay house (2012) di Jeremy Wolveridge è costituita da un’ampia superficie ricavata attraverso volumi elementari e dall’uso del legno per i rivestimenti esterni. Si discosta dalla tipologia classica di villa la Klein bottle house (2008) di Mcbride Charles Ryan, situata a Mornington Peninsula. Questa casa per vacanze trasforma in residenza uno degli oggetti topologici più famosi: la bottiglia di Klein. I livelli della casa ruotano attorno a una corte centrale e si sviluppano formando una spirale che rompe lo schema ortogonale tipico di questa tipologia architettonica.
Il MPavillon di Sean Godsell, inaugurato nel 2014 nel Victoria Garden (Melbourne), è il primo di quattro padiglioni che saranno realizzati in continuità e confronto con il celebre Serpentine gallery pavillion londinese.
Nel 2014 lo studio Herzog & De Meuron ha vinto il concorso per la riqualificazione di Flinder station, la maggiore stazione ferroviaria di Melbourne, mentre gli studi Zaha Hadid, KTA (Koichi Takada Architect), Hassell e Cox hanno presentato i loro progetti per Brisbane, Sydney e Perth riguardanti la riqualificazione di intere parti delle città e la realizzazione di centri direzionali e complessi sportivi.
Bibliografia: The Phaidon Atlas of 21st century world architecture, London-New York 2011; The Encyclopedia of Australian architecture, ed. P. Goad, J. Willis, Melbourne 2012; J. Burry, M. Burry, The new mathematic of architecture, London 2012; «Architectural review Asia Pacific», 2014, 134, nr. monografico: Authority.
Letteratura di Valerio Massimo De Angelis. – La letteratura australiana degli ultimi dieci anni è contraddistinta, ancor più che nei decenni precedenti, dalla tendenza a riflettere criticamente sulla complessità e sulle ambiguità di un’identità di cui solo di recente la cultura dominante ha riconosciuto la dimensione eminentemente multietnica – dopo un lungo oblio denunciato fin dal titolo, Amnesia (2014), nell’ultimo romanzo di Peter Carey (n. 1943). Ne sono esempi illuminanti romanzi sulle relazioni tra nativi e anglo-australiani come The secret river (2005; trad. it. Il fiume segreto, 2008) e The lieutenant (2008) di Kate Grenville (n. 1950), Carpentaria (2006; trad. it. I cacciatori di stelle, 2008) dell’aborigena Alexis Wright (n. 1950) e Sorry (2007) di Gail Jones (n. 1955), ma anche opere sulle nuove identità ‘multiple’, soprattutto quelle asiatico-australiane, ben rappresentate nell’antologia di testi di vario genere Growing up Asian in Australia (2008) a cura di Alice Pung (n. 1981), o nel romanzo The lost dog (2007; trad. it. Il cane scomparso tra le foglie, 2009) della scrittrice di origini cingalesi Michelle de Kretser (n. 1957) – ma molte sono le voci multietniche e plurilingue che stanno popolando lo scenario letterario australiano. Più vaste tensioni di carattere globale, innescate dal clima paranoico post 11 settembre, sono invece al centro di The unknown terrorist (2006; trad. it. La donna sbagliata, 2010) di Richard Flanagan (n. 1961) che, in The narrow road to the deep North (2013), analizza le vicende successive alla Seconda guerra mondiale di carcerieri giapponesi e prigionieri australiani, mentre Thomas Keneally (n. 1935) osserva lo stesso scenario dalla prospettiva dei giapponesi prigionieri in Australia in Shame and the captives (2014). Uno dei maggiori autori australiani del Novecento, Christopher John Koch (1932-2013), ha chiuso la sua carriera con l’affresco storico Lost voices (2012). Dal 2006 è entrato a far parte di questa letteratura il sudafricano naturalizzato australiano e premio Nobel John Maxwell Coetzee (n. 1940), che ha esordito in questa sua nuova veste nel 2007 con il semiautobiografico Diary of a bad year (trad. it. Diario di un anno difficile, 2008).
Minor fortuna di pubblico e di critica ha incontrato la poesia, spesso confinata nel mercato editoriale indipendente, anche se tra le nuove leve (o quasi) non mancano nomi di spicco come quelli di Adam Aitken (n. 1960), Mark Tredinnick (n. 1962), John Kinsella (n. 1963), Tracy Ryan (n. 1964), David Musgrave (n. 1965) e David Mc Cooey (n. 1967). In campo drammaturgico meritano menzione David Williamson (n. 1942), Stephen Sewell (n. 1953), Justin Fleming (n. 1953) e Scott Rankin (n. 1959).
Bibliografia: Postcolonial issues in Australian literature, ed. N. O’Reilly, Amherst (N.Y.) 2010; A companion to Australian aboriginal literature, ed. B. Wheeler, Rochester (N.Y.) 2013.
Cinema di Bruno Roberti. – La produzione di film in A., che vanta inizi coevi all’invenzione stessa del cinema, ha goduto in anni recenti di grande impulso, grazie sia ai sostegni statali (attivi dalla fine degli anni Sessanta e, dal 1975, con l’Australian film commission), sia allo sviluppo di collaborazioni con l’industria hollywoodiana (cui l’A. ha fornito due dive come Cate Blanchett, v., e Nicole Kidman) e all’interazione con l’ingente produzione televisiva. Una caratteristica di questo cinema è l’ambientazione in grandi spazi naturali, che corrispondono alla forza di un paesaggio selvaggio e maestoso.
I temi ricorrenti, confermati dai film degli anni Duemila, sono il rapporto con la misteriosa cultura autoctona aborigena, l’indagine sul retaggio storico del continente, le variazioni sui generi della commedia, del mistery, del thriller d’azione, e persino del western o del musical. In diversi film l’elemento della cultura aborigena si sposa con i codicinarrativi di tali generi. È il caso di Red hill (2010), esordio di Patrick Hughes, dove l’aborigeno ha il ruolo che il nativo sradicato dalla sua storia ha nel western moderno, e del precedente The proposition (2005; La proposta) di John Hillcoat, coproduzione inglese dove il colonialismo dei bianchi si scontra con l’enigma del paesaggio ancestrale, mentre Bran Nue Dae (2009), di Rachel Perkins, è un musical sui teenagers aborigeni. La cultura dei nativi era stata al centro di due film come Beneath clouds (2002) di Ivan Sen, ritratto di una ragazza misto sangue che si innamora di un giovane aborigeno durante un drammatico viaggio, eYolngu boy (2001) di Stephen Johnson, sulle avventure urbane di tre ragazzi Yolngu, antica tribù di nativi.
L’intreccio tra suggestione della natura, senso del mistero iscritto nel paesaggio e retaggio storico di un continente colonizzato nell’era moderna, ma pregno di primitivismo, emergono con forza nel contesto filmico australiano. Il capofila di questi temi è stato, tra gli anni Settanta e Novanta, Peter Weir, che ha proseguito la sua attività al di fuori del contesto australiano, spingendosi fino ai paesaggi mongoli e hymalaiani con il film storico-avventuroso The way back (2010). Il trinomio paesaggio-storia-avventura è proseguito negli anni Duemila con l’affermarsi di nuovi autori come Baz Luhrmann e Rolf de Heer. Il primo (il cui stile convulso, coreografico e rutilante, dimostrato con il musical girato in studio Moulin rouge, 2001, è approdato poi al mainstream hollywoodiano di The great Gatsby, 2013, Il grande Gatsby, ha girato con Australia (2008) il viaggio di una lady in compagnia di un rozzo mandriano sullo sfondo della Seconda guerra mondiale, dalle cadenze di una epopea western. Il secondo, regista e produttore, ha mescolato sperimentalismo, indagine sulle misteriose radici autoctone e un curioso gusto retrò per il fantastico che si spinge a recuperare i trucchi di Georges Méliès, in film come The tracker (2002), dove una guida aborigena conduce tre poliziotti a cavallo in un violento viaggio di conoscenza lungo il territorio selvaggio del continente australiano degli inizi del Novecento, o Ten canoes (2006; 10 canoe) interamente girato in lingua aborigena, dove sono ancora gli Yolngu con la loro magia tribale a essere rievocati da una vecchia fotografia del 1936, o in Dr. Plonk (2007), girato con le tecniche del cinema muto, in cui la commedia fantastica e futuribile sfuma in toni apocalittici. Anche in These final hours (2013), esordio di Zak Hilditch, si evoca la fine del mondo, in un gioco introspettivo tra personaggi immersi in un clima di follia collettiva. Il fantastico, l’onirico, l’inquietante sottendono spesso il cinema australiano, come nel rarefatto thriller Lantana (2001) di Ray Lawrence, su un misterioso omicidio nei suburbi di Sydney, che ricorda i film di David Lynch, o nell’ossessiva caccia all’uomo da parte di un mostruoso camion in Road train (2010) di Dean Francis, che cita invece il primo Steven Spielberg, o nel ‘falso documentario’ (mokumentary) Lake Mungo (2008) di Joel Anderson, in cui l’annegamento di una ragazza è raccontato attraverso finte interviste, mentre Animal kingdom (2010) di David Michôd ricalca un tipicogangster movie. L’indagine sulla storia dell’A. e i temi delle ‘generazioni rubate’ (i bambini australiani aborigeni sottratti dai governi federali alle loro famiglie) vengono affrontati in Beneath Hill 60 (2010) di Jeremy Sims e in Rabbit-Proof fence (2002; La generazione rubata) del regista veterano Phillip Noyce. Alla storia vera del più celebre fuorilegge australiano dell’Ottocento è dedicato Ned Kelly(2003) di Gregor Jordan. Un episodio storico come la vicenda del radiotelescopio che mandò in mondovisione le immagini dell’allunaggio del 1969 assume toni da commedia in The dish (2000) di Rob Sitch. Del resto il filone della commedia, ironica o sentimentale, ha riscosso successo a inizio millennio con film giovanilistici come Fat pizza (2003) di Paul Fenech, Looking for Alibrandi (2000; Terza generazione) di Kate Woods, He died with a felafel in his hand (2001; E morì con un felafel in mano) di Richard Lowenstein, The wog boy (2000) di Aleksi Vellis, mentre, sul versante drammatico, Little fish (2005) di Rowan Woods declina il tema della crisi di identità di una giovane eroinomane interpretata da Cate Blanchett.
In sostanza il cinema australiano contemporaneo riesce a coniugare originalità di temi legati alle suggestioni del territorio e della storia con un senso dello spettacolo che lo vede partner naturale dell’industria statunitense, come è avvenuto con George Miller, altro veterano di questo cinema, che nel 1979 inventò la saga postapocalittica e fantascientifica di Mad Max (Interceptor) riprendendola nel 2015 con Mad Max - Fury road, dopo il successo del dittico di animazione 3D Happy feet (2006 e 2011); e come è testimoniato dall’attività del magnate australiano Rupert Murdoch che ha aperto nel 1998 a Sydney la Fox Studios Australia, affiancata agli studi della Warner Roadshow Studios per allestire megacoproduzioni con gli Stati Uniti ambientate nelle locations australiane.