Nel linguaggio giuridico, il termine indica la questione su cui verte la discussione delle parti contendenti in una lite giudiziaria.
Contrasto tra lavoratore e imprenditore, che sorge quando si presumono lesi diritti o aspettative, derivanti dalla legge, dalla contrattazione collettiva, o dalla consuetudine o prassi. Il rapporto di lavoro fonte di c. può essere ancora in corso, ovvero già cessato. Le c. si dividono in individuali, plurime e collettive, a seconda che riguardino i diritti di un singolo lavoratore, di una pluralità di lavoratori o un conflitto di interessi che coinvolge una determinata categoria professionale. Le c. individuali, ai sensi della legge vigente e delle norme contenute nel codice di procedura civile, riguardano: a) rapporti di lavoro subordinato privato, anche se non inerenti all’esercizio di un’impresa (art. 409, n. 1, c.p.c.); b) rapporti di mezzadria, colonia parziaria, di compartecipazione agraria, affitto a coltivatore diretto, nonché derivanti da altri contratti agrari, salva la competenza delle sezioni specializzate agrarie (art. 409, n. 2, c.p.c.); c) rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici che svolgano esclusivamente o prevalentemente attività economica (art. 409, n. 4, c.p.c.); d) rapporti di pubblico impiego, se non sono devoluti dalla legge ad altri giudici (art. 409, n. 5, c.p.c.); e) rapporti di agenzia, rappresentanza commerciale e altri rapporti di collaborazione coordinata e continuativa prevalentemente personale anche se non a carattere subordinato (art. 409, n. 3, c.p.c.). La composizione delle c. può essere tanto giudiziale, quanto stragiudiziale. Rientrano nella nozione di c. anche tutte le questioni nascenti in ambito previdenziale. Tali c. riguardano l’applicazione di norme su: assicurazioni sociali; infortuni sul lavoro e malattie professionali, assegni per il nucleo familiare e ogni altra forma di previdenza e assistenza obbligatorie, obblighi di assistenza e previdenza (cosiddetta volontaria) derivanti da contratti e accordi collettivi. In tali ipotesi non è obbligatorio l’esperimento del tentativo di conciliazione. Le c. collettive si distinguono in giuridiche ed economiche: le prime sono relative all’interpretazione e applicazione delle norme vigenti nelle discipline lavoristiche, le seconde alla modificazione e alla regolamentazione ex novo della disciplina del lavoro. Sia le une che le altre possono essere risolte attraverso il ricorso a organi appositi a ciò preposti (arbitri), ovvero con l’intervento dei normali organi giurisdizionali. Tra le c. collettive tipizzate si cita il procedimento per la repressione della condotta antisindacale del datore di lavoro di cui all’art. 28, l. 300/20 maggio 1970.
Nel diritto internazionale, una c. sorge quando due o più Stati si trovano ad avere un contrasto di atteggiamenti soggettivi in ordine a un determinato conflitto d’interessi. La c. internazionale non si identifica pertanto con il mero conflitto d’interessi, che ne costituisce il presupposto (sentenza della Corte internazionale di giustizia, 21 dicembre 1962, sugli affari del Sud-ovest africano). L’atteggiamento soggettivo di uno Stato può consistere in un atteggiamento della volontà, quando la parte afferma l’esigenza della composizione del c. mediante il prevalere del proprio interesse, o in un mero comportamento, quando la parte pone in atto il prevalere del proprio interesse.
Sulla base di tali elementi, si distinguono varie tipologie di c.: si parla di c. da pretesa contestata quando si manifesta anzitutto un atteggiamento della volontà (pretesa), cui si contrappone la resistenza alla pretesa, che può concretizzarsi in un atteggiamento della volontà (contestazione); la c. da pretesa insoddisfatta si ha quando la resistenza si concretizza nell’inadempimento della pretesa, e la c. da lesione-protesta laddove il comportamento di uno Stato sia lesivo dell’interesse di un altro Stato, che reagisce mediante un atteggiamento della volontà che può dirsi di protesta.
Si è soliti distinguere anche tra c. giuridiche e c. politiche. È giuridica la c. in cui gli Stati avanzano pretese e oppongono resistenze fondate su argomentazioni di diritto internazionale, mentre è politica la c. in cui le parti si avvalgono di criteri extra-giuridici (giustizia, equità, opportunità), per chiedere un mutamento della situazione di diritto. Vi sono poi c. che presentano carattere sia politico che giuridico (le cosiddette c. miste o c. complesse). Tale distinzione assume rilievo sia ai fini della scelta dei mezzi per regolare pacificamente le c., sia per la determinazione dei criteri cui deve attenersi il giudice nella sua decisione. Per es., secondo la Carta dell’ONU (art. 36, par. 3), «le c. giuridiche dovrebbero, di regola, essere sottoposte dalle parti alla Corte internazionale di giustizia in conformità alle disposizioni dello Statuto della Corte».
La c. internazionale si estingue nel momento in cui viene meno uno dei due atteggiamenti soggettivi di contrasto. L’estinzione della c. è un fatto storico che, al pari della nascita della c., può essere rilevante anche per il diritto internazionale, in quanto vi sono alcune norme che subordinano all’esistenza di una c. l’esperibilità di alcuni procedimenti o fanno sorgere obblighi per le parti. Diversamente, la soluzione della c. consiste in una valutazione giuridica risolutiva del conflitto d’interessi che è alla base della c. stessa.
Nel diritto internazionale, gli Stati hanno l’obbligo di risolvere pacificamente le c. internazionali (art. 2, par. 3, della Carta delle Nazioni Unite), ma sono liberi di scegliere i mezzi di soluzione che ritengono più appropriati. Tuttavia, il regolamento della c. può avere luogo solo per concorde volontà degli Stati che ne sono parti. I procedimenti di soluzione delle c. internazionali si distinguono in procedimenti diplomatici o non organizzati (negoziati diretti, mediazione, buoni uffici) e istituzionali o organizzati (conciliazione, inchiesta, arbitrato, processo di fronte alla Corte internazionale di giustizia). I primi mirano in vario modo a facilitare il raggiungimento di un accordo tra le parti per risolvere la c., tra i secondi solo i procedimenti arbitrali e giudiziari si concludono con una sentenza (o lodo arbitrale) che ha efficacia obbligatoria per le parti in lite.