Vena d’acqua a getto continuo e luogo da cui l’acqua scaturisce; anche getto d’acqua artificiale, architettonicamente configurato (➔ fontana). Per estensione, principio, origine, ciò da cui qualche cosa emana o proviene direttamente.
Per quanto riguarda le f. energetiche ➔ energia.
F. battesimale Bacino contenente l’acqua lustrale per il battesimo. Fu, nei primi secoli del cristianesimo, una vasca, rivestita di marmi o mosaici, di pianta ottagonale o poliloba, posta al centro del battistero, nella quale i neofiti ricevevano il battesimo per immersione. Tra i più antichi si ricordano quelli di S. Marcello a Roma; di Clupea (Tunisi, Museo del Bardo); della cattedrale di Aix-en-Provence. Con l’affermazione del battesimo per aspersione e la sostituzione del battistero con una cappella in ogni chiesa parrocchiale, il f. divenne un bacino poligonale o circolare, posto a terra o sostenuto da un piedistallo, con un coperchio, spesso sormontato dalla figura del Battista. Il f. era di marmo o di pietra; più raramente di metallo, come per es. il ‘pozzo’ di Saint-Barthélemy a Liegi (12° sec.) e il f. di Hildesheim (13° sec.). Notevoli anche i f. di Firenze (1370) e di Orvieto (15° sec.). Durante il Rinascimento e i secoli successivi il f. continuò a svilupparsi con varietà di forme e fu occasione di notevoli imprese scultoree (f. di Siena, con rilievi di L. Ghiberti, J. della Quercia, Donatello). Fastosi i f. barocchi (come quello di S. Pietro in Vaticano), anch’essi spesso sormontati dalla statua del Battista, come quello di Belluno, di A. Brustolon. Dal 19° sec. in poi il f. si è prestato a numerose variazioni simboliche, per lo più ispirate al cristianesimo primitivo.
Di solito, è collocato nella prima cappella a sinistra della chiesa, poiché una concezione simbolica lì pone le tenebre e il peccato scacciati dal battesimo; è sormontato dalla colomba simbolo dello Spirito Santo, e coperto con un panno di seta bianco.
Generalmente, per f. del diritto si intendono tutti gli atti o fatti capaci di innovare un ordinamento giuridico. L’espressione f. del diritto è una espressione metaforica quanto mai risalente: l’immagine naturalistica della sorgente da cui sgorgherebbe il diritto oggettivo si ritroverebbe, infatti, già nell’ambito del diritto romano. A prescindere dalla presenza (o meno) di questa espressione, la problematica delle f. del diritto è presente nella compilazione giustinianea, sia nelle Istituzioni che nel Digesto. Le f. del diritto, da oggetto di studio dei cultori del diritto civile (basti pensare che la loro disciplina era ed è tuttora contenuta in gran parte dei codici civili europei, ivi compreso lo stesso codice civile italiano del 1942) o anche dei filosofi del diritto, sono divenute ormai un tema «classico» del diritto costituzionale.
Le ragioni di questo cambiamento vanno cercate, da un lato, nell’affermazione del positivismo giuridico tedesco, in virtù del quale si è pensato alla legge come la manifestazione suprema della volontà statale e, dall’altro, nelle teorie di H. Kelsen, che identificano la Costituzione nelle «norme sulla normazione». Tuttavia, occorre dire che, rispetto alle trattazioni ottocentesche – imperniate sulla primazia della legge statale e sulla sua superiorità nei confronti di tutte le altre f. del diritto (in primis della consuetudine: Consuetudine. Diritto costituzionale), nonché sulla distinzione tra legislazione e giurisdizione – il tema delle f. del diritto appare oggi alquanto più articolato.
Uno dei fattori che più hanno contribuito a questa complicazione è stato senza dubbio l’avvento delle costituzioni rigide e del sindacato di costituzionalità delle leggi (Corte costituzionale). In primo luogo, ciò ha comportato la perdita di centralità della legge, che ancora oggi continua ad essere chiamata f. primaria, ma che da parte di alcuni studiosi è ritenuta di contenuto non più libero, ma vincolato dai principi costituzionali. È certo, comunque, che la Costituzione italiana ha superato l’idea ottocentesca dell’esclusività della legge statale, istituendo, in molte materie, una serie di f. primarie a competenza riservata, sulle quali la legge non può più intervenire: basti pensare, ad esempio, ai regolamenti parlamentari (artt. 64 e 72 Cost.) o alle materie che il «nuovo» art. 117, co. 2, 3 e 4, Cost. attribuisce alla potestà legislativa regionale. In secondo luogo, come ha rilevato Paladin, il regime delle f. del diritto condiziona la giurisprudenza costituzionale, ma ne è, a sua volta, condizionato.
Un ulteriore fattore di complicazione del sistema delle f. del diritto è rappresentato dal ruolo sempre più incisivo che vengono ad assumere, nell’ambito dell’ordinamento italiano, le quelle dell’U.E. e, in particolare, le sentenze della Corte di giustizia dell’U.E. Di conseguenza, risulta oggi più problematica l’esclusione della giurisprudenza dall’ambito delle f. del diritto, con la motivazione che essa, a differenza di quel che accadre negli ordinamenti di common law, non apparterrebbe al momento «creativo» del diritto, ma soltanto a quello «applicativo».
Le odierne trattazioni italiane delle f. del diritto sono debitrici della fondamentale riflessione di V. Crisafulli. Una prima questione riguarda la distinzione tra le f. di produzione (gli atti e i fatti giuridici abilitati a creare diritto oggettivo) e le f. di cognizione (gli atti scritti, provenienti da pubbliche autorità, tesi a rendere conoscibile il diritto vigente, come nel caso della Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana): è opinione comune che queste ultime non siano vere e proprie f. del diritto. Una seconda rilevante distinzione è quella tra f. atto e f. fatto: mentre le prime sono atti volontari imputati a soggetti determinati e costituenti esplicazione di un potere loro conferito (tali sono, per esempio, le leggi statali o le leggi regionali o i regolamenti del singolo Ministro o dell’intero Governo ecc.), le seconde, pur potendo consistere in comportamenti umani, sono prese in considerazione dall’ordinamento giuridico senza alcun riferimento a circostanze soggettive e volontaristiche (tipica f.-fatto è, infatti, la consuetudine: Consuetudine. Diritto costituzionale). Lo stesso Crisafulli aggiungeva, però, che la linea di confine tra le due categorie è meramente convenzionale.
Collegato a quest’ultimo profilo è un ulteriore problema teorico circa l’esclusività del sistema legale delle f. del diritto, ovvero se sia ammissibile o meno l’esistenza di f. extra ordinem (e cioè di f. non previste dallo stesso ordinamento giuridico). Le opinioni sul punto sono varie: alcuni studiosi – è il caso di C. Mortati o di Romano – hanno teorizzato, in particolare, che la necessità è un’autonoma f. del diritto; altri, sulla base di una posizione normativista, l’hanno decisamente negato, sottolineando che il nostro sistema costituzionale delle f. del diritto è un sistema «chiuso»; altri ancora – è il caso, ad esempio, dello stesso Crisafulli – pur contestando sul piano dogmatico l’ammissibilità di f. extra ordinem e, in particolare, della necessità, l’ammettevano, però, sul piano teoretico; altri – è il caso, ancora, di Paladin – sottolineavano, infine, che la problematica delle f. extra ordinem attiene non alla fisiologia di un ordinamento giuridico, ma, piuttosto, alla sua patologia.
Per quanto riguarda, infine, l’elenco delle singole f. del diritto italiano, esse sono: la Costituzione (Costituzione italiana), le leggi di revisione costituzionale e le «altre leggi costituzionali» ex art. 138 Cost.; la legge statale e gli atti con forza di legge (il decreto-legge, il decreto legislativo e il referendum abrogativo); i regolamenti degli organi costituzionali (in particolare, i regolamenti parlamentari e quelli della Corte costituzionale); le leggi regionali (Potestà legislativa regionale); i regolamenti governativi e delle altre autorità pubbliche; le consuetudini.
Le f. del diritto dell’U.E. sono di due diversi tipi: f. primarie (o di diritto convenzionale) e f. secondarie (o di diritto derivato). Le f. primarie consistono nei trattati istitutivi dell’U.E. e nelle loro successive modificazioni e integrazioni. Secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’U.E., le f. primarie sono sovraordinate, da un punto di vista gerarchico, alle f. secondarie, dal momento che ne disciplinano la formazione, le competenze e gli effetti giuridici. Dal punto di vista del diritto costituzionale italiano, poi, le f. primarie hanno una notevole capacità derogatoria del nostro sistema costituzionale, trovando il proprio limite nei soli principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale e nei diritti inviolabili della persona umana, come affermato dalla Corte costituzionale.
Va detto che la Costituzione italiana non prevedeva sino alla l. cost. n. 3/2001 una disposizione esplicita riguardante i «vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario» (art. 117, co. 1, Cost.), a differenza di altre esperienze costituzionali (artt. 23 e 24 Legge fondamentale Germania 1949; artt. da 88-1 ss. Cost. Francia 1958; artt. 93 ss. Cost. Spagna 1978). Ciò non vuol dire, però, che la partecipazione italiana alle Comunità europee (prima) e all’U.E. (poi) sia rimasta priva di copertura costituzionale: sia la dottrina maggioritaria che la giurisprudenza costituzionale hanno infatti individuato il fondamento costituzionale dell’integrazione europea nella seconda proposizione dell’art. 11 Cost., laddove si prevede che l’Italia consente «alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni».
Per quanto riguarda le f. derivate, le più importanti sono i regolamenti, le direttive e le decisioni (ad esse vanno aggiunti i c.d. atti non vincolanti e cioè le raccomandazioni e i pareri). Per quanto riguarda le prime due tipologie di atti, la loro differenza sta nel fatto che, mentre i regolamenti hanno una portata generale (si rivolgono a tutti) e sono direttamente applicabili in ognuno degli Stati membri, le direttive si indirizzano solo agli Stati e non sono in linea di principio direttamente applicabili, ma necessitano dell’intervento dello Stato membro, che resta vincolato quanto al termine e al risultato da raggiungere, ma è libero circa la scelta delle forme e dei mezzi attraverso cui giungervi. Tuttavia, a partire dal 1970, la giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, per sanzionare il comportamento omissivo di alcuni Stati membri rispetto ad alcune direttive, ha esteso l’area della diretta applicabilità anche a queste ultime, qualora siano sufficientemente dettagliate e precise. Le decisioni, infine, pur avendo portata obbligatoria ed essendo direttamente applicabili, non hanno portata generale, ma sono rivolte a destinatari specifici. Sulla loro collocazione nell’ambito delle f. del diritto italiano la dottrina è divisa: secondo un primo orientamento, esse vi rientrerebbero senz’altro, ma vi è anche chi nega tale loro qualifica, che ricomprenderebbe, perciò, soltanto regolamenti e direttive.
Il recepimento del diritto dell’U.E. non immediatamente applicabile avviene in base ad un meccanismo stabilito dapprima con la l. n. 86/1989 (c.d. La Pergola) e, successivamente, con la l. n. 11/2005: ogni anno, le Camere, su proposta del Governo, approvano una legge (c.d. comunitaria), con la quale si dettano le disposizioni necessarie per dare esecuzione al diritto dell’U.E. Tre sono le modalità individuate nella l. n. 11/2005: direttamente da parte della stessa legge comunitaria o tramite il conferimento di deleghe legislative o attraverso l’adozione di regolamenti, anche di delegificazione (l. n. 11/2005).
I rapporti tra le f. del diritto dell’U.E. e le f. dell’ordinamento italiano. - Per quanto riguarda, infine, il rapporto tra le f. del diritto dell’U.E. e le f. dell’ordinamento italiano (in particolare, la legge e gli atti ad essa equiparati), occorre sottolineare che questi rapporti si sono evoluti ad opera della giurisprudenza della Corte costituzionale italiana e della Corte di giustizia delle Comunità europee. In un primo momento (1964), la Corte costituzionale ha impostato la questione delle possibili antinomie (Criteri di risoluzione delle antinomie) utilizzando il criterio cronologico. La giurisprudenza costituzionale nel 1973 ha poi rimesso in discussione questa costruzione, quando, pur riaffermando la netta separazione di competenze tra l’ordinamento interno e l’ordinamento comunitario, ha finito con l’ammettere, in accoglimento della giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, il primato dei regolamenti comunitari sulle leggi statali e la loro applicabilità diretta. Infatti, in quell’occasione la Corte costituzionale è giunta ad ammettere la capacità dei regolamenti comunitari di abrogare leggi statali anteriori e di resistere all’abrogazione da parte di leggi successive, affermando, però, l’incostituzionalità di una legge statale contrastante con un regolamento comunitario precedente per violazione indiretta dell’art. 11 Cost., da far valere essa stessa.
Il passo in avanti decisivo si è poi avuto nel 1984, quando la Corte costituzionale, facendo proprio l’orientamento della Corte di giustizia delle Comunità europee, ha sostenuto non già il proprio ruolo necessario nel dichiarare costituzionalmente illegittima una legge successiva per contrasto con un regolamento comunitario, ma, al contrario, il potere-dovere di ciascun giudice di procedere alla disapplicazione (più correttamente: alla non applicazione; Disapplicazione. Diritto costituzionale) del diritto interno contrastante con le norme comunitarie immediatamente applicabili.
In questa categoria vengono poi fatte rientrare non soltanto le suddette direttive autoapplicative, ma anche le sentenze interpretative e quelle di inadempimento della Corte di giustizia dell’U.E. Proseguendo su questa linea, la Corte costituzionale ha mantenuto ferma la sua competenza in ordine alla sindacabilità di leggi regionali contrastanti con il diritto dell’U.E. impugnate nel corso di un giudizio in via principale ed è persino giunta ad affermare l’idoneità dei regolamenti comunitari a derogare a disposizioni costituzionali, fermo restando il rispetto dei soli principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale e nei diritti inviolabili della persona umana, che costituiscono i c.d. controlimiti costituzionali alle limitazioni di sovranità.
F. del reddito Con riferimento alle economie individuali, qualsiasi ricchezza o attività che fornisca a chi la possiede un reddito monetario effettivo o presunto (quindi anche un cosiddetto capitale lucrativo) e, con riferimento all’economia nazionale, ogni ricchezza investita nella produzione, che concorra cioè a produrre il reddito reale nazionale (e quindi, accanto ai capitali fondiari e mobiliari, anche i cosiddetti capitali personali). Nel linguaggio fiscale la locuzione è intesa nel primo dei due suddetti significati.
Tassazione alla f. Forma di tassazione che colpisce il reddito nella sua manifestazione originaria, e non indirettamente.
Nel mondo antico le acque delle sorgenti, che sgorgano dalle profondità della terra, partecipano del valore sacrale sia dell’acqua sia della terra, concepita quale madre e origine. Hanno così origine molteplici associazioni delle f. con figure mitiche e divine, vuoi collettività di esseri superumani (per es., le ninfe) vuoi vere e proprie divinità personali interamente connesse con la fonte. In tali culti, accanto all’energia catartica, è sempre presente l’aspetto terapeutico; spesso presente è anche la capacità oracolare: si attribuiva potere divinatorio, tra le altre, alle f. Castalia e Cassotide a Delfi, di cui la Pizia gustava l’acqua prima di profetare. Le f. termali erano particolarmente sacre a Eracle.