Il referendum rientra, insieme all’iniziativa legislativa popolare (Procedimento legislativo) e alla petizione, tra gli istituti di partecipazione diretta dei cittadini alla democrazia. In sede di Assemblea costituente, il relatore C. Mortati aveva presentato, sulla scia della Costituzione tedesca del 1919, una grande varietà di referendum, gran parte dei quali vennero però bocciati in sede di discussione nella Sottocommissione e poi in Aula. Ciò non toglie che l’ordinamento italiano preveda diverse tipologie di referendum: il referendum abrogativo (art. 75 Cost.); il referendum approvativo con funzione oppositiva nel procedimento di revisione costituzionale (art. 138 Cost.); il referendum relativo alla modificazione territoriale di Regioni, Province e Comuni (artt. 132 e 133 Cost.); il referendum sugli Statuti regionali (art. 121 Cost.; Statuto regionale); il referendum regionale in due diverse forme, abrogativo e consultivo (art. 123 Cost.); il referendum provinciale; il referendum comunale.
Il referendum abrogativo nell’esperienza repubblicana. - Tra tutti questi tipi di referendum, il più importante è sicuramente il referendum abrogativo ex art. 75 Cost. Al pari delle Regioni ad autonomia ordinaria, anche questo istituto ha dovuto attendere sino al 1970 per avere attuazione (l. n. 352/1970). Tramite un referendum si può abrogare (Abrogazione) in tutto o in parte (potendo essere abrogate delle singole disposizioni e, addirittura, delle singole parole) una legge o un atto avente forza di legge (Decreto-legge e Decreto legislativo), qualora lo richiedano 500 mila elettori o cinque Consigli regionali (Consiglio regionale). Il procedimento referendario disciplinato nella l. n. 352/1970 è diverso a seconda che il quesito sia proposto da 500 mila elettori o da cinque Consigli regionali. Nel primo caso, è necessario che si costituisca un Comitato dei promotori, un gruppo di almeno dieci cittadini iscritti nelle liste elettorali, che depositi presso la Corte di cassazione il quesito che intende sottoporre a referendum abrogativo e che raccolga entro i tre mesi successivi le firme richieste su appositi fogli vidimati (l. n. 352/1970). Nel caso di richiesta da parte dei Consigli regionali, il quesito referendario deve essere deliberato a maggioranza assoluta da ciascun Consiglio e viene poi presentato alla Corte di cassazione tramite dei delegati. Non possono essere depositate richieste di referendum nell’anno precedente la scadenza di una delle Camere, né nei sei mesi successivi alla data di convocazione dei comizi elettorali per l’elezione di una delle Camere (l. n. 352/1970).
Una volta presentate le firme (nel caso in cui il quesito sia proposto da 500 mila elettori) o la richiesta (quando il quesito sia proposto da cinque Consigli regionali), la Corte di cassazione svolge un controllo di legittimità (verifica che le firme siano autentiche o che le deliberazioni dei Consigli regionali siano avvenute in modo conforme alla legge; controllo che l’atto di cui si chiede l’abrogazione sia ancora vigente ecc.), terminato il quale la questione è di competenza della Corte costituzionale, che effettua un giudizio di ammissibilità della richiesta referendaria.
Infatti, l’art. 75 Cost. esclude esplicitamente la possibilità di presentare richieste referendarie nei confronti di leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e indulto e di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali. A questi limiti esplicitamente previsti all’art. 75, co. 2, Cost., la giurisprudenza costituzionale, a partire dal 1978, ha aggiunto tutta una serie di limiti e di vincoli ulteriori: in primo luogo, la Corte costituzionale ha richiesto che il quesito referendario sia omogeneo, chiaro e univoco; in secondo luogo, essa ha escluso che possano ritenersi ammissibili le richieste di referendum abrogativo che concernano leggi a contenuto costituzionalmente vincolato; infine, la giurisprudenza costituzionale ha escluso che le richieste di referendum abrogativo possano riguardare fonti atipiche o, comunque, leggi caratterizzate da una peculiare forza passiva, tale da non potere essere abrogate da altre leggi ordinarie.
Un capitolo a parte sono i referendum in materia elettorale, che costituiscono oggetto di leggi costituzionalmente necessarie. La giurisprudenza costituzionale ha più volte negato l’ammissibilità di quesiti referendari abrogativi delle leggi elettorali di un organo costituzionale, con la motivazione che si sarebbe potuto esporre l’organo al rischio di una paralisi istituzionale, mentre ha ritenuto ammissibili i quesiti referendari c.d. autoapplicativi, cioè tutti quei quesiti in virtù dei quali la c.d. normativa di risulta (ovvero la legge dopo il «taglio» operato dal referendum abrogativo) sarebbe stata immediatamente applicabile, senza bisogno di un intervento parlamentare: in questo modo, si è arrivati alla conclusione, criticata da una parte rilevante della dottrina, in base alla quale gli unici referendum ammissibili in materia elettorale sarebbero quelli c.d. manipolativi.
Un volta superato il vaglio dell’ammissibilità, il Presidente della Repubblica fissa la data della votazione in una domenica compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno (l. n. 352/1970). La votazione è valida se ad essa prende parte almeno la metà più uno degli aventi diritto (c.d. quorum strutturale o costitutivo). Nel caso di votazione valida, si calcolano i voti favorevoli e i voti contrari (c.d. quorum funzionale o deliberativo). Se la proposta di abrogazione ottiene la maggioranza dei voti validi, il Presidente della Repubblica proclama con proprio decreto l’esito della votazione del referendum abrogativo, dichiarando l’avvenuta abrogazione della legge (o di parte di essa). Resta salva sempre la possibilità del Parlamento di scongiurare il referendum abrogativo per mezzo dell’approvazione di una nuova legge. Tuttavia, quest’ultima dovrà essere innovativa rispetto alla precedente, perché altrimenti il quesito – come stabilito dalla stessa Corte costituzionale – si trasferisce sulla nuova normativa e il referendum abrogativo si svolge ugualmente.
Il referendum abrogativo viene fatto rientrare dalla dottrina maggioritaria tra le fonti del diritto e, più precisamente, tra gli atti equiparati alla legge. A prima vista, potrebbe sembrare paradossale che un atto con il quale si cancella qualcosa dall’ordinamento giuridico sia considerato una fonte del diritto, posto che le fonti del diritto hanno il carattere dell’innovatività; tuttavia, questa difficoltà scompare se solo si tiene presente l’osservazione di V. Crisafulli, secondo cui abrogare è sempre un modo di disporre diversamente.
Il referendum rientra, insieme alla iniziativa legislativa popolare e alla petizione, tra gli istituti di democrazia diretta. Da una parte, le decisioni prese per via referendaria configurano sempre una soluzione di tipo maggioritario. Dall’altra, esse richiedono, per ridurre i costi sia di efficienza sia di consenso, non solo un alto grado di partecipazione politica, ma anche un buon livello di conoscenza e di competenza circa le questioni trattate.
Il referendum ebbe origine nelle comunità montanare della Svizzera in cui delegati alle diete cantonali si pronunciavano con riserva ad audiendum et referendum nei confronti dei loro deleganti. Nel pensiero politico moderno il referendum trova il suo primo e più valido sostenitore in J.-J. Rousseau, che affermava la necessità che ogni legge sia ratificata dal popolo. A esso si opponeva C.-L. Montesquieu, secondo il quale, se la grande maggioranza dei cittadini è da ritenersi capace di scegliersi i propri rappresentanti, non è però in grado di compiere opera di governo, né di giudicare sui singoli progetti di legge. Il referendum, come altri istituti di democrazia diretta (diritto di petizione, potere di iniziativa popolare delle leggi ecc.), è stato applicato in tutti gli ordinamenti che si ispirano ai principi della partecipazione popolare al governo. In alcuni ordinamenti è da ritenersi un mezzo normale di autogoverno popolare: così nell’ordinamento svizzero e in molti Stati degli USA, dove è stato introdotto principalmente come mezzo per decentrare il potere politico e ritrasferirlo dalle assemblee politiche al popolo. Negli Stati che si ispirano ai principi liberali e democratici, elaborati sulla base delle idee affermatesi con la Rivoluzione francese nel 1789, il referendum, quale forma di autogoverno popolare, è stato generalmente previsto ed applicato solo in materia costituzionale. Però nelle più recenti costituzioni il ricorso al referendum è spesso previsto anche in materia di legislazione ordinaria, come forma di sindacato del popolo sull’attività del Parlamento.
Dal 1974, anno in cui si svolse il primo referendum abrogativo (quello sul divorzio, conclusosi con la conferma della legge), in Italia vi è stato un uso crescente dei referendum, soprattutto per iniziativa del movimento radicale. Tra i più importanti, vanno ricordati quelli sull’aborto (1981); sulla «scala mobile» (cioè sull’adeguamento automatico dei salari all’inflazione, 1985); sul nucleare (1987); sul sistema elettorale (1991, 1993). Alcuni referendum sono falliti per il mancato raggiungimento del quorum (è il caso di quello del 2005 sulla fecondazione assistita, di quello sulla legge elettorale del 2009, di quello sulla durata delle trivellazioni in mare del 2016 o di quello sulla giustizia del 2022). Per quanto concerne i referendum confermativi, in Italia se ne sono tenuti quattro: il primo (2001), che ha confermato la riforma del titolo V della Costituzione; il secondo (2006), che ha invece respinto la riforma della seconda parte della Costituzione; il terzo (2016), che ha respinto la riforma recante disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte seconda della Costituzione; il quarto (2020), che ha confermato la riforma sulla riduzione del numero dei parlamentari. I referendum abrogativi sulla privatizzazione dell'acqua, sul legittimo impedimento e sul nucleare, tenutisi il 12 e 13 giugno 2011, sono stati referendum a grande partecipazione popolare: i sì ai quattro quesiti, inoltre, hanno ottenuto una media del 95%, costituendo anche l’espressione della volontà della maggioranza assoluta degli aventi diritto al voto in Italia.
Il ritorno del nucleare in Italia di Fulvio Costantino