La revisione costituzionale si lega strettamente all’idea di Costituzione rigida, anche se, a rigore, si può parlare (e si è parlato) di revisione costituzionale anche nel caso di Costituzioni flessibili (in questo caso, le modifiche formali e/o le deroghe al testo costituzionale avvengono tramite il procedimento legislativo ordinario). Le Costituzioni rigide, a loro volta, possono prevedere aggravamenti procedurali diversi, più o meno laboriosi, al fine di rallentare il procedimento di revisione costituzionale: basti pensare alla lunghezza delle procedure previste dalla Costituzione francese del 1795, la cui durata minima era perlomeno di nove anni, o dalla Costituzione federale statunitense (art. V Cost. U.S.A. 1787), un emendamento della quale (il XXVII) ha dovuto attendere circa duecento anni per entrare in vigore.
In alcuni casi, la revisione costituzionale può essere utilizzata per superare le censure di incostituzionalità da parte degli organi di giustizia costituzionale: basti pensare, con riferimento agli U.S.A., all’approvazione del XIII, del XIV, del XVI o del XXVI emendamento, ovvero, con riferimento all’Italia, al «nuovo» art. 111 Cost. (introdotto con la l. cost. n. 2/1999), teso a superare alcune pronunce della giurisprudenza costituzionale. Va detto, però, che, in Italia, anche una legge di revisione costituzionale può essere sindacata dalla Corte costituzionale non solo per vizi di procedura, ma anche per vizi sostanziali, dal momento che la revisione costituzionale non può essere in contrasto con i principi supremi dell’ordinamento costituzionale. Diversa è, invece, la soluzione scelta dal Consiglio costituzionale francese, che ha esplicitamente negato la sindacabilità delle leggi di revisione costituzionale.
In alcuni ordinamenti costituzionali (artt. 44 ss. Cost. Austria 1920; artt. 166 ss. Cost. Spagna 1978; artt. 192 ss. Cost. Svizzera 1999) si suole distinguere tra revisione costituzionale parziale e revisione costituzionale totale. Questa distinzione, però, non rileva tanto sul piano quantitativo, quanto, piuttosto, sul quello qualitativo, nel senso che, a prescindere dal numero di articoli sottoposti a revisione, occorre verificare se la revisione costituzionale viene ad intaccare i principi fondamentali dell’ordinamento o meno. A tale proposito, è emblematico il caso dell’Austria, dove la revisione costituzionale del 1929 (che ha modificato in profondità il testo costituzionale, ad esempio, con l’introduzione dell’elezione a suffragio universale del Presidente della Repubblica) è stata approvata con la procedura di revisione costituzionale parziale, laddove nel 1995 (per consentire all’Austria di aderire all’U.E.) si è proceduto ad una revisione costituzionale totale.
La revisione costituzionale nell’esperienza repubblicana. - Per quanto riguarda l’Italia, il procedimento di revisione costituzionale è disciplinato all’art. 138 Cost., che prevede la distinzione tra leggi di revisione costituzionale e «altre leggi costituzionali». La differenza, in linea di massima, è data dal fatto che mentre le leggi di revisione costituzionale intervengono sul testo della Costituzione, modificando, integrando o abrogando alcune disposizioni di esso, le altre leggi costituzionali si collocano al di fuori del testo della Costituzione e servono a conferire rango costituzionale alla disciplina ivi contenuta (ad esempio, gli statuti delle Regioni ad autonomia differenziata, ai sensi dell’art. 116, co. 1, Cost. sono approvati con legge costituzionale, proprio in virtù della speciale autonomia loro conferita; Statuto regionale).
Allo scopo di garantire che la revisione costituzionale sia frutto di una deliberazione ponderata e non di una scelta estemporanea o della volontà delle sole forze di indirizzo politico di maggioranza, l’art. 138 Cost. prevede che sia necessaria un doppia deliberazione di ciascuna Camera, con un intervallo minimo di tre mesi tra la prima e la seconda deliberazione. Inoltre, la seconda deliberazione deve avvenire almeno a maggioranza assoluta (ovvero con la metà più uno dei componenti). In caso di raggiungimento della maggioranza assoluta, ma non di quella dei due terzi nella seconda votazione, il progetto di revisione costituzionale viene pubblicato nella Gazzetta ufficiale –trattandosi, in questo caso, di una pubblicità a fini meramente notiziali – poiché entro tre mesi entro 500 mila elettori, cinque Consigli regionali o un quinto dei componenti di ciascuna Camera possono chiedere un referendum confermativo con funzione oppositiva (la richiesta è presentata da chi, essendo stato battuto nel Parlamento, è contrario al progetto di revisione costituzionale e intende appellarsi al corpo elettorale per ribaltare la decisione presa).
Nell’ambito della storia costituzionale italiana, la procedura referendaria in materia di revisione costituzionale è stata utilizzata solo quattro volte: nel 2001, nel 2006, nel 2016 e nel 2020 (la prima e la quarta con esito positivo, la seconda e la terza con esito negativo). Si tratta di un referendum diverso da quello abrogativo previsto all’art. 75 Cost.: in primo luogo, sono diversi i soggetti che possono richiederlo; in secondo luogo, esso ha ad oggetto non un atto normativo vigente, ma solo un progetto di legge di revisione costituzionale che non è ancora in vigore; in terzo luogo, il quesito non è soggetto a un giudizio di ammissibilità da parte della Corte costituzionale; in quarto luogo, il referendum previsto all’art. 138 Cost. non è soggetto a un quorum costitutivo o strutturale e dunque prescinde da quanti vi partecipano (nel 2001, al referendum costituzionale sulla proposta destinata a diventare la l. cost. n. 3/2001 ha partecipato solo un terzo degli aventi diritto). Se, invece, le Camere hanno approvato il progetto di legge di revisione costituzionale con una maggioranza dei due terzi o superiore, non si fa luogo al referendum, ma il testo approvato viene ordinariamente promulgato dal Presidente della Repubblica e poi pubblicato nella Gazzetta ufficiale.
I limiti della revisione costituzionale. - Per quanto riguarda i limiti alla revisione costituzionale, la dottrina distingue tra quelli c.d. espliciti e quelli c.d. impliciti. Limite esplicito è l’art. 139 Cost., che dichiara esplicitamente sottratta alla revisione costituzionale la forma repubblicana dello Stato (Repubblica). Questo limite non è altro che la positivizzazione nel testo costituzionale del risultato del referendum-plebiscito del 1946, che ha sottratto la scelta a favore della Repubblica alla stessa Assemblea costituente. Oltre a tale limite, vi sono poi, secondo la dottrina maggioritaria, ulteriori limiti impliciti. In primo luogo, collegando l’art. 139 Cost. con l’art. 1 Cost., è stata ritenuta sottratta alla revisione costituzionale non solo la forma repubblicana, ma anche quella democratica dello Stato (Forme di Stato e forme di governo). Oltre a ciò, la giurisprudenza costituzionale ha ritenuto che siano insuscettibili di revisione costituzionale i principi supremi dell’ordinamento, cioè tutti quei principi che «appartengono all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana», tra i quali vanno annoverati il principio di sovranità popolare (art. 1 Cost.), quello di unità della giurisdizione costituzionale, quello di unità e indivisibilità della Repubblica, quello di laicità dello Stato (Laicità dello Stato) ecc.
Diversa dalla revisione costituzionale è, invece, la c.d. rottura della costituzione, oggetto di specifica attenzione nel corso dell’esperienza costituzionale tedesca tra le due guerre mondiali e, in particolare, di C. Schmitt. Per leggi di rottura della costituzione si intendono quelle leggi, approvate con il procedimento di revisione costituzionale, che derogano alla Costituzione, ma non introducono una modificazione stabile del testo costituzionale (che rimane, perciò, in vigore). Di tali rotture della costituzione si avvalse Hitler per concentrare su di sé tutti i poteri nel 1933, pur mantenendo formalmente inalterata la Costituzione del 1919. Per evitare il rischio di rotture della costituzione, l’art. 79 della Legge fondamentale tedesca del 1949 – ma non la Costituzione italiana, che anzi indica all’art. 138 l’esistenza di «altre leggi costituzionali», diverse dalle leggi di revisione costituzionale – prevede che questa possa essere modificata soltanto da una legge che ne modifichi o integri espressamente il testo.