La consuetudine costituisce la fonte del diritto non scritta per eccellenza. Secondo la dottrina tradizionale, essa consta di due elementi: uno di tipo materiale (l’usus o diuturnitas) e un altro di tipo soggettivo (l’opinio iuris ac necessitatis), ancorché oggettivamente verificabile. Per usus o diuturnitas si intende la reiterazione di un determinato comportamento da parte di una collettività. L’opinio iuris ac necessitatis è, invece, la convinzione diffusa che quel comportamento sia non solo moralmente o socialmente, ma giuridicamente obbligatorio. La consuetudine ha rivestito una grande importanza sia nell’ambito della esperienza giuridica romana, sia nell’ambito di quella del ius comune. Il suo declino progressivo coincide con la nascita e lo sviluppo dello Stato moderno, a seguito della rivendicazione del monopolio della produzione normativa da parte del Monarca (superiorem non recognoscens), monopolio che costituiva, secondo la tesi enunciata da Hobbes e da Bodin, uno degli attributi tipici della sovranità.
Per quanto riguarda la collocazione attuale della consuetudine sul piano delle fonti del diritto, parte della dottrina, basandosi sulla formulazione dell’art. 8 disp. prel. c.c. – secondo cui, nelle materie disciplinate dalla legge o dai regolamenti, gli usi hanno efficacia solo in quanto sono richiamati da questi – ritiene che la consuetudine abbia una rilevanza limitata: in quest’ottica le uniche consuetudine ammissibili sarebbero solo quelle richiamate dalle leggi scritte (c.d. secundum legem) essendo vietate, invece, quelle che disciplinano materie non disciplinate da leggi scritte (c.d. praeter legem) e, a maggior ragione, quelle che disciplinano alcune materie in difformità con le leggi scritte (c.d. contra legem).
Sul piano costituzionale, la Carta repubblicana, anche in ragione della sua rigidità (art. 138 Cost.; Revisione costituzionale) non fa menzione della consuetudine; per cui anche in questo caso, la dottrina non è concorde sul valore da attribuire alle c.d. consuetudini praeter constitutionem – e alla loro eventuale distinguibilità dalle prassi e dalle convenzioni costituzionali (Convenzione costituzionale) – nonché alle c.d. consuetudini contra constitutionem, che possono integrare, secondo alcuni autori, delle vere e proprio modificazioni tacite della Costituzione.