La condizione di nobiltà ontologica e morale in cui l’uomo è posto dalla sua natura umana, e insieme il rispetto che per tale condizione gli è dovuto e che egli deve a sé stesso. La d. piena e non graduabile di ogni essere umano (il suum di ciascuno), ossia il valore che ogni uomo possiede per il semplice fatto di essere uomo e di esistere è ciò che qualifica la persona, individuo unico e irripetibile. Il valore dell’esistenza individuale è dunque l’autentico fondamento della d. umana.
Secondo Tommaso d’Aquino e la concezione cristiana, la d. dell’uomo sta nel suo essere creato a immagine e somiglianza di Dio e nella sua capacità di orientare le proprie scelte in una continua tensione etica verso Dio. Per I. Kant, la d. dell’uomo sta nel suo essere razionale e capace di vita morale, ed è ciò che gli impone di agire sempre «in modo da trattare l’uomo, così in te come negli altri, sempre anche come fine e mai solo come mezzo».
Sotto il profilo giuridico-ordinamentale, emerge un riferimento alla d. della persona come titolarità organica di interessi intrinsecamente legati alla natura umana, ossia come riconoscimento di un diritto costitutivo e inviolabile corrispondente alla qualità di uomo in quanto tale, dal concepimento alla morte naturale. Nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 si legge che «l’unico e sufficiente titolo necessario per il riconoscimento della d. di un individuo è la sua partecipazione alla comune umanità». Il principio di uguaglianza e non discriminazione, fondato sul riconoscimento della pari d. ontologica di ciascun uomo, costituisce, infatti, il cardine della moderna civiltà giuridica e dello stato di diritto. Ogni persona, pertanto, è tutelata dal diritto in maniera diretta e immediata in virtù del valore autonomo e intrinseco della sua dignità. Per questo una società giusta può essere realizzata solo nel rispetto e nella promozione della d. di ogni persona, fine e valore in sé.
Lo Statuto dei lavoratori, per quanto riguarda la d. e riservatezza del lavoratore (l. 300/1970), ha disciplinato l’esercizio dei poteri di controllo da parte del datore di lavoro con una serie di divieti, al fine di salvaguardare la personalità fisica e morale del dipendente. Sotto questo profilo, occorre ricordare in particolare il divieto di servirsi, per il controllo dell’attività lavorativa, di guardie giurate, delle quali devono essere preventivamente comunicati i nominativi e le specifiche mansioni (art. 2); il divieto di effettuare controlli a distanza sui lavoratori mediante impianti audiovisivi (art. 4); il divieto di compiere accertamenti sanitari, da parte del datore di lavoro o di un medico di sua fiducia (art. 5); il divieto di compiere visite personali di controllo sulla persona del lavoratore e sulle sue immediate pertinenze, salvo le eccezioni previste (art. 6). Gli art. 1 e 8 riconoscono inoltre al lavoratore il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero e vietano al datore di effettuare indagini sulle opinioni politiche, religiose o sindacali ai fini dell’assunzione del lavoratore stesso. La tutela della riservatezza, invece, è affidata al codice della privacy (d. legisl. 196/2003), secondo il quale il trattamento dei dati personali del lavoratore, di cui il datore venga a conoscenza nel rapporto di lavoro, deve avvenire nel rispetto della d. e della riservatezza del soggetto; più in particolare, il datore di lavoro deve rispondere a quattro adempimenti fondamentali (art. 37-41): a) informare il lavoratore circa le finalità e il trattamento dei dati personali; b) richiedere il consenso al trattamento; c) richiedere l’autorizzazione al Garante per la privacy; d) notificare il trattamento al Garante nei casi e secondo le modalità previste.
Diritti fondamentali europei di Alberto Vespaziani