tassa Tributo di vario tipo, a carattere di t. vera e propria, di imposta ecc. Il termine è stato anche usato nel senso di multa, prezzo fissato dall’autorità, retribuzione di ufficiale pubblico.
Compenso, talora inferiore al costo, pagato dal privato a un ente pubblico per un servizio a lui reso dall’ente stesso dietro sua domanda. A differenza dell’imposta (➔), la t., pur essendo fissata dall’autorità (e quindi in questo senso coattiva), non è obbligatoria per il contribuente, che è tenuto al pagamento solo nel caso in cui intenda usufruire del relativo servizio. La t. rappresenta dunque una forma di tributo legato a una controprestazione che rientra nell’ambito delle funzioni istituzionali di un’amministrazione pubblica. Sotto questo profilo la t. presenta qualche affinità con il prezzo pubblico (➔ prezzo), che è anche esso un compenso per un servizio reso dallo Stato o da altri enti pubblici su domanda del contribuente, ma con la differenza che il suo ammontare viene stabilito in modo da coprire il costo di produzione complessivo, mediante opportuna discriminazione dei prezzi.
La definizione economico-finanziario di t. trova scarsa applicazione nel campo giuridico, in cui non ha rilevanza il fatto che la t. sia un prezzo destinato a coprire parte del costo del servizio pubblico, ma solo il fatto che la t. sia un compenso, stabilito a norma di legge, per un’attività dello Stato o di altro ente pubblico che riguarda direttamente l’obbligato. Sotto questo profilo, la differenza tra imposta e t. consisterebbe nel fatto che la prima forma di entrata ha carattere contributivo (è cioè legata alla capacità contributiva del soggetto colpito) in quanto a essa non corrisponde una specifica prestazione, mentre la t. ha carattere commutativo, poiché è il corrispettivo di una prestazione. Sulla base di questa impostazione, alcuni studiosi hanno ritenuto di non ravvisare nella t. la caratteristica della coattività, essendo la prestazione a cui il compenso è collegato subordinata alla domanda dell’interessato. Questa tesi appare tuttavia inaccettabile, in quanto la libertà di scelta del soggetto riguarda la decisione di usufruire o meno del servizio pubblico, mentre il tributo gli è imposto dalla legge. Inoltre si tende anche a escludere che il soggetto debba necessariamente ricavare un vantaggio dall’attività pubblica di cui la t. è corrispettivo, dato che almeno in alcuni casi (per es., tasse in applicazione della legge penale) non sembra che esso possa riscontrarsi. Si può quindi concludere che dal punto di vista giuridico la t. può essere definita come una prestazione pecuniaria, corrispondente a un’attività dell’ente pubblico nei riguardi (ma non necessariamente a favore) di un individuo che ne ha fatto domanda.
Le t. possono essere fisse o variabili e queste ultime proporzionali, progressive o scalari a seconda che il loro ammontare complessivo cresca proporzionalmente, più che proporzionalmente o secondo una data scala con il crescere del numero delle unità del servizio consumate. A seconda della loro natura le t. si possono ulteriormente distinguere in: t. industriali, corrispettivo di servizi forniti dallo Stato e da imprese pubbliche che si propongono il raggiungimento di fini extraeconomici (t. per i servizi postali, telegrafici, telefonici; t. per l’applicazione del marchio sui lavori d’oro e d’argento; t. di monetazione, nella ipotesi in cui il costo della coniazione non sia integralmente supportato dallo Stato né completamente rimesso ai privati che portano metallo alla zecca ma suddiviso tra i due); t. amministrative, ossia le cosiddette t. sugli affari civili (sulle concessioni governative, sulle licenze, sulle autorizzazioni, sui certificati di nascita, di matrimonio ecc.), le t. relative alla vita intellettuale (t. scolastiche, di ingresso nei musei ecc.), le t. relative alla vita economica (t. per l’occupazione di aree pubbliche, per la concessione di fiere e mercati ecc.); t. giudiziarie (t. sugli atti della giustizia civile).
Secondo alcuni autori, i quali definiscono la t. come «controprestazione coattiva pagata allo Stato da chi fruisce in modo particolare dei servizi giuridico-amministrativi la cui prestazione è inerente alla sovranità dello stesso», t. dovrebbero essere dette appunto soltanto queste ultime, le t. sulle concessioni governative e le t. fisse di registro e bollo. T. per capita Forma di prelievo fiscale che viene esercitata su ogni cittadino indipendentemente dal reddito, dalla proprietà e dal pagamento di altre tasse, detta anche Poll tax. Si tratta di una forma coattiva di imposizione non progressiva che è stata utilizzata in Gran Bretagna dal 1377 al 1698. La sua versione moderna è stata utilizzata dal Primo ministro britannico M. Thatcher nel 1989; l’imposizione fu talmente anti-popolare da essere definitivamente abrogata nel 1993.
La riscossione delle t. può avvenire: a) per esazione diretta generale, ossia mediante versamento del tributo nelle tesorerie, negli uffici del registro, negli uffici postali ecc., i quali sono tenuti a rilasciare al contribuente la relativa quietanza necessaria per ottenere poi la prestazione richiesta dall’ufficio competente (per es., t. scolastiche); b) per esazione diretta specializzata, ossia mediante pagamento allo stesso ufficio incaricato della prestazione del servizio (per es., t. per la verifica dei pesi e misure); c) per esazione indiretta, mediante il bollo, quando il servizio richiesto dia luogo alla creazione di atti scritti o la domanda per ottenere la prestazione del servizio debba essere presentata per iscritto.
Nella teoria economica, viene detta tassazione ottimale la struttura tributaria che riesce ad armonizzare l’efficienza economica e la giustizia distributiva. Il problema di questa armonizzazione si pone perché l’introduzione di una qualsiasi imposta provoca inevitabilmente una perdita di benessere economico e può anche creare inefficienza nell’allocazione delle risorse (venendo ad alterare il meccanismo di funzionamento automatico del mercato). J. Dupuit fu il primo economista che nella sua analisi grafica individuò la perdita provocata dall’applicazione di un’imposta e, nel 1912, E. Barone diede un’ulteriore analisi sistematica del concetto di ‘eccesso di pressione’ di un’imposta e della distorsione provocata nel sistema (giungendo a preferire l’imposta diretta sul reddito all’imposizione indiretta sui consumi). Allo scopo di evitare le distorsioni, gli economisti classici ritenevano che la soluzione fosse nell’imposizione a somma fissa: le lump sum taxes che, essendo neutrali rispetto alla posizione soggettiva del singolo, avrebbero prodotto un effetto reddito, ma non avrebbero modificato il sistema di uguaglianze marginali alla base dell’allocazione efficiente delle risorse. Tuttavia si è riconosciuta l’oggettiva impossibilità di applicare delle imposte a somma fissa in un sistema capitalistico avanzato senza tener conto delle divergenze di reddito e delle esigenze di equità distributiva. Ciò ha spinto gli economisti a ricercare soluzioni di applicazione del carico tributario che, sebbene potessero provocare distorsioni creando un allontanamento dalla situazione ottimale di efficienza paretiana (di first best, che soddisfa tutte le condizioni richieste dal principio paretiano di efficienza), rendessero minima la perdita di benessere (fossero cioè soluzioni di second best, ossia di «secondo ottimo») e realizzassero principi di giustizia fiscale. Il problema prioritario non consisteva tanto nel ridurre il numero di distorsioni introdotte nel sistema economico dal carico tributario, quanto nel formulare delle politiche economiche che tenessero nel dovuto conto le distorsioni ineliminabili del sistema stesso. Non avrebbe dunque senso preferire un’imposta sul reddito da lavoro evitando di tassare il reddito da interesse, con la motivazione che quest’ultima può introdurre nel sistema un’ulteriore distorsione, poiché ciò che conta sono le giustificazioni alla base. Lo Stato deve dunque trovare un sistema ottimale di tassazione tenendo conto di grandezze direttamente osservabili (quali il reddito, il patrimonio ecc.). Da queste ipotesi sono state sviluppate alcune regole di ‘ottima tassazione’.
La regola di Ramsey-Samuelson (1927) propone la necessità di applicare una riduzione percentuale della domanda ‘compensata’ (uguale per tutte le merci tassate): un’interpretazione di questa regola ritiene che se si ha imposizione ottimale, la riduzione percentuale della domanda deve essere la stessa per tutti i beni. La regola di Corlett-Hague sostiene invece la necessità di tassare con un peso maggiore i beni che rivelano un più forte rapporto di complementarità con un numerario prefissato. La regola della tassazione uniforme ottimale propone un sistema di aliquote proporzionali uguali per tutti i beni (le cui elasticità incrociate sono uguali, rispetto al numerario). Secondo J. Rawls, la collettività dovrebbe scegliere quel valore dell’aliquota di imposta che rende massimo il benessere dell’individuo più povero. Tuttavia si ritiene che in molti paesi avanzati si sarebbero raggiunti livelli delle aliquote che, se non lo hanno oltrepassato, sono vicini al livello massimo compatibile con il concetto di efficienza paretiana. Questa posizione è stata resa popolare dalla cosiddetta curva di Laffer (➔ Laffer, Arthur), che mette in relazione il gettito e l’aliquota dell’imposta evidenziando che, oltre un dato punto, ulteriori incrementi dell’aliquota producono in realtà una diminuzione del gettito (ma per convalidare questa interpretazione occorre tener conto di numerosi fattori del sistema economico). In realtà, soltanto l’applicazione di principi di progressività sia delle imposte sul reddito sia sugli altri tipi di imposta può rappresentare un avvicinamento ai principi di ottimalità della tassazione.