Nel linguaggio giuridico-finanziario, l’operazione di prelevare beni materiali, titoli o documenti dal luogo in cui sono custoditi. Nel linguaggio bancario, l’operazione di ritiro dalla banca di una somma depositata in precedenza.
L’ammontare degli oneri dovuti e versati dai contribuenti allo Stato a titolo di imposta, tassa o contributo speciale (si identifica con il complesso delle entrate di natura tributaria dello Stato).
Con riferimento a organizzazioni economiche internazionali, il termine prelievo indica sia l’addebitamento da parte delle organizzazioni stesse a carico dei paesi membri e a favore del fondo comunitario di determinate somme in particolari circostanze sia il ricorso al fondo comunitario da parte dei singoli paesi, con modalità e entro limiti rigidamente stabiliti.
Nell’ambito della politica agricola comune in Europa, il prelievo costituisce un’imposta analoga al dazio doganale, in quanto si applica ai prodotti agricoli importati nel mercato comune e provenienti da Stati terzi. Tuttavia, esso viene applicato e calcolato in modo profondamente diverso dal dazio doganale: questo, infatti, rappresenta una percentuale prestabilita del valore delle merci importate, mentre il prelievo è variabile, essendo finalizzato ad annullare le differenze tra i prezzi più bassi vigenti all’esterno del mercato comune e quelli fissati, per i singoli prodotti agricoli, dagli organi comunitari per le merci in libera circolazione all’interno del mercato comune (il prelievo è in genere uguale alla differenza tra il prezzo che la Comunità vuole assicurare per il mercato interno e il prezzo del mercato mondiale). Nel caso di derrate importate in dumping, inoltre, il prelievo ha la funzione di coprire anche il margine di dumping e per tale quota assume la natura di un vero e proprio dazio antidumping.
Fin dall’istituzione dell’FMI, per preservare un carattere rotativo al suo funzionamento, fu stabilito che i prelievi valutari presso il Fondo (detti anche, in gergo tecnico, tiraggi) non potessero superare annualmente un quarto della quota attribuita a ciascun paese richiedente e nel totale il 200% della quota stessa. Il loro rimborso in oro (o in valute convertibili su autorizzazione del Fondo) doveva avvenire entro un periodo di 3-5 anni, e fu consentito anche di stipulare, in caso di necessità, aperture di credito per i prelievi futuri di durata prestabilita. Salvo deroghe in casi singoli, questa situazione si è protratta fino alla fine del 1969. Nel 1970 sono entrati poi in vigore i diritti speciali di prelievo, o SDR (special drawing rights), istituiti in seguito alla ratifica da parte di 69 paesi rappresentanti l’80,89% dei diritti di voto (quorum previsto: 67 paesi rappresentanti l’80% dei diritti di voto) del progetto messo a punto nell’aprile 1968 a Stoccolma e all’accordo di massima sull’entità dei diritti stessi, realizzato a Parigi dal Gruppo dei dieci nel settembre 1969. Con la creazione di tali diritti speciali si è tentato di creare strumenti di liquidità internazionale non legati alle vicende particolari di una data valuta. Gli SDR vengono assegnati annualmente ai vari paesi in proporzione alle rispettive quote (calcolate in base ad alcuni parametri quali: reddito nazionale, riserve monetarie, bilancia commerciale ecc.) presso il Fondo Monetario, attraverso accreditamenti contabili (visto che non si concretano in biglietti, assegni o simili) e, di norma, per periodi quinquennali. Attraverso tali assegnazioni il paese membro viene a disporre di un potere d’acquisto che entra a far parte delle riserve valutarie. Infatti i paesi con bilance dei pagamenti in deficit possono cedere gli SDR a quelli in surplus, ottenendo in cambio dollari o altre valute con cui effettuare pagamenti internazionali o interventi sul mercato dei cambi. D’altro canto, appositi accordi sanciscono l’obbligo per i paesi in surplus di accettare, entro certi limiti, diritti speciali di prelievo dando in cambio dollari o valute convertibili. Inizialmente il valore di un diritto speciale di prelievo è stato fissato equivalente al contenuto aureo di 1 dollaro del 1934. Successivamente il criterio di valutazione è stato sottoposto a ulteriori modifiche. A partire dal 1° luglio 1974 è stato basato su un paniere composto dalle monete dei 16 paesi a economia di mercato più importanti; in seguito, dal 1981, le monete di riferimento sono state ridotte a 5, quelle dei principali paesi esportatori: Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna e USA. Nel gennaio del 1991 tale criterio è stato nuovamente rivisto al fine di riflettere le variazioni del peso relativo (in termini di commercio internazionale e di finanza) dei paesi considerati. Dal 1° genn. 2001 è stato adottato un nuovo metodo di valutazione dei diritti speciali di prelievo e del tasso di interesse relativo. Si è deciso, infatti, che la selezione delle monete da inserire nel paniere e i pesi assegnati a ognuna di esse debbano essere rivisti per tener conto dell’introduzione dell’euro come valuta comune per alcuni paesi europei e del ruolo crescente dei mercati finanziari internazionali. Le esportazioni di beni e servizi provenienti dai paesi dell’euro considerano l’unione monetaria come un soggetto unico ed escludono i flussi scambiati all’interno dell’Unione. Come ulteriori criteri di selezione delle valute si sono inoltre adottati quello dell’ampio utilizzo della valuta per i pagamenti nelle transazioni internazionali. L’FMI ha così individuato le 4 valute che per il periodo 2001-05 sono inserite nel paniere (dollaro statunitense, yen, euro, sterlina inglese) e ha assegnato a ognuna di queste i pesi relativi calcolati in base al valore delle esportazioni di beni e servizi dei membri o delle unioni monetarie e all’ammontare delle riserve denominate nelle rispettive valute detenute dagli altri membri del Fondo. Le stesse 4 valute, con una revisione dei pesi relativi, sono state confermate per il periodo 2006-10.