Nome collettivo delle armi da fuoco pesanti. Con l’aggiunta di particolari denominazioni che ne determinano l’impiego, si indicano le varie specialità.
Le prime a., in senso proprio, sorgono con l’adozione della polvere pirica e lo sfruttamento, per il lancio dei proiettili, della sua forza deflagrante. Il primo impiego regolare dell’a. in battaglia risale al 14° sec.; verso la metà del 15° sec. vengono introdotti i primi rudimentali affusti e, successivamente, si cominciano a fondere le a. in bronzo, mentre i proietti di pietra vengono sostituiti con quelli metallici. Importanti perfezionamenti si hanno nella prima metà del 19° sec., con l’adozione di speciali granate a pallette munite di spolette a tempo (shrapnell), delle capsule fulminanti e dei cannelli a frizione, con l’allungamento degli obici ecc. Altre profonde modificazioni derivano dall’introduzione della rigatura interna della bocca da fuoco, suggerita da G. Cavalli, e dal sistema di caricamento dalla culatta (sistema a retrocarica), al quale segue l’adozione dell’affusto deformabile ( a. a deformazione) con gli organi di scorrimento (culla) e di frenamento del rinculo (freno e ricuperatore). Ulteriori progressi segnano l’invenzione della polvere senza fumo, l’impiego di acciai ad alta resistenza, l’adozione di speciali otturatori assicuranti la chiusura ermetica della culatta, la messa a punto di procedimenti di lavorazione dei bossoli di ottone e di acciaio, l’impiego di tubi d’anima sfilabili a freddo, il perfezionamento della forma dei proiettili, dei congegni e sistemi di mira ecc.
La classificazione tradizionale delle a. viene fatta considerando la loro lunghezza rispetto al calibro. Nei cannoni la lunghezza deve essere superiore a 22 calibri; gli obici hanno lunghezza compresa fra 12 e 22 calibri; i mortai hanno lunghezza inferiore a 12 calibri. Rispetto al calibro si hanno: a. di piccolo calibro (fino a 100 mm), di medio calibro (da 100 a 200 mm), di grosso calibro (oltre 210 mm). Questa classificazione tradizionale, tuttavia, è stata parzialmente superata dalla modernizzazione delle tecnologie e delle tattiche di impiego.
I metalli usati per le bocche da fuoco, dati gli sforzi grandissimi ai quali queste sono soggette durante lo sparo, devono rispondere a particolari caratteristiche di resistenza, tenacità, durezza e al tempo stesso, facilità di lavorazione. I materiali che meglio rispondono allo scopo sono acciai speciali, generalmente al nichel-cromo, al nichel-cromo-molibdeno ecc.
Le a. moderne, salvo quelle di piccolo calibro, sono costituite di più parti. Il pezzo principale è formato dal tubo d’anima intorno al quale sono disposti, a forzamento, tubi di minor lunghezza o manicotti. Realizzazioni del periodo compreso fra le due guerre mondiali sono il turbocannone, in cui i gas della carica non agiscono sul proietto per effetto di pressione ma per effetto di urto; il freno di bocca, che sfrutta i gas della carica che escono dalla volata del pezzo deviandone il corso e facendoli concorrere alla diminuzione del rinculo; i cannoni a canna troncoconica, nella quale il proietto trafilandosi acquista velocità iniziali molto elevate; i cannoni senza rinculo, nei quali parte dei gas, sfuggendo da appositi ugelli della culatta in direzione opposta a quella del proietto, eliminano totalmente il rinculo, e quindi permettono l’incavalcamento della bocca da fuoco su semplici supporti senza l’interposizione di organi frenanti; i cannoni con proietti decalibrati, che permettono il raggiungimento di velocità iniziali elevatissime senza aumentare il tormento dell’arma.
Gli eserciti moderni dispongono di complessi sistemi per l’individuazione dei bersagli (radar per la sorveglianza del campo di battaglia, sensori a visione termica in grado di rilevare bersagli in base alla loro temperatura, velivoli non pilotati), di apparati per il puntamento di precisione delle a., nonché di sistemi per l’individuazione delle a. nemiche (radar controfuoco). Inoltre, le batterie di a., o talvolta i singoli pezzi, dispongono di sistemi di puntamento automatico che permettono di attaccare e colpire il nemico fin dalle prime salve, senza necessità di tiri di aggiustamento. Infine, va sottolineato come l’a. operi sempre più spesso con la tattica ‘spara e fuggi’, alternando rapide azioni di fuoco a brevi spostamenti per sottrarsi al tiro di controbatteria.
In particolare, l’a. campale si è standardizzata sugli obici-cannone, con calibro compreso fra i 105 e i 155 mm e lunghezza pari o superiore ai 25 calibri. I calibri superiori ai 155 mm, infatti, sono stati ormai pressoché abbandonati per la maggiore efficacia dei razzi e dei missili. Di questi, i primi vengono normalmente lanciati in salve e sono in grado di saturare in poco tempo aree vastissime oppure di disperdere agenti chimici o mine; i secondi, con portate variabili da poche decine a centinaia di chilometri, possono avere precisioni notevoli e utilizzare testate singole, anche nucleari, oppure contenere submunizioni intelligenti o di saturazione. Rispetto al calibro da 105 mm, il 155 mm è in grado di sparare proiettili con un contenuto d’esplosivo 4 volte superiore, grazie alla realizzazione di obici ultraleggeri caratterizzati dall’esteso utilizzo del titanio e di leghe d’alluminio, come lo statunitense XM 777. Tali moderni pezzi di a. possono sparare a tiro teso o curvo, utilizzando cariche di lancio di diversa potenza, in funzione delle esigenze tattiche e dell’orografia del campo di battaglia. L’adozione di lunghezze di 45 e 54 calibri, nonché di proiettili a razzo, consente agli obici da 155 mm di raggiungere i 40 km di gittata. Per l’attacco di precisione di bersagli di elevato valore si ricorre a proiettili a guida terminale, oppure dotati di testate intelligenti, capaci di scoprire la presenza di un mezzo corazzato e di colpirlo dall’alto con proiettili autoforgianti. Per le forze d’intervento rapido si ricorre a pezzi di a. più leggeri, capaci di essere paracadutati o trasportati con elicotteri.
Circa l’a. in dotazione ai carri armati (➔ carro), i pezzi costituenti l’armamento principale hanno raggiunto i 120 125 mm di calibro e, grazie all’adozione di acciai di elevata robustezza, sono in grado di sparare proiettili a velocità superiori ai 1300 m/s. Le munizioni controcarro più efficaci sono quelle sottocalibrate, aventi cioè un elemento penetratore più sottile della munizione di cui fanno parte, e un involucro che si stacca mentre il proietto è in volo verso il bersaglio (fig.). L’asservimento a elaboratori balistici e a telemetri laser rende le a. dei carri armati estremamente precise, consentendo l’attacco di bersagli in movimento a distanze superiori ai 2000 m.
L’a. contraerea è costituita essenzialmente da pezzi di piccolo e medio calibro, a tiro rapido e puntamento radar. È efficace contro gli aeromobili in volo a bassa quota e, se dotata di sistemi di puntamento sofisticati e spolette intelligenti, contro i missili da crociera. Per le quote più elevate si ricorre invece ai sistemi missilistici, che possono utilizzare la guida radar o termica. Per la difesa delle unità di fanteria si fa affidamento sui missili leggeri autoguidati, trasportabili a spalla. Le unità corazzate hanno in genere reparti organici di contraerea, dotati di cannoni e missili, asserviti a radar. Per la difesa di grandi unità terrestri, di installazioni strategiche o di aree del territorio, la contraerea utilizza sistemi missilistici a grande gittata, talvolta con capacità antimissile, integrati da a. contraeree per le quote più basse.
Deve avere altissima precisione, forte capacità perforante e distruttiva, grande celerità di caricamento (‘tiro rapido’). Per questa ragione le a. navali sono assai più lunghe di quelle terrestri, hanno congegni di caricamento e di manovra (brandeggio, elevazione) più complessi, generalmente meccanizzati, affusti più robusti. Le forti velocità iniziali producono rapide, profonde erosioni nei tubi d’anima, il che impone l’impiego di speciali materiali e di speciali esplosivi.
L’a. navale è largamente impiegata a scopi antimissilistici, contraerei, per l’attacco antinave o contro bersagli terrestri. L’a. antimissile ha calibri compresi fra i 20 e i 76 mm, cadenze di tiro molto elevate e può utilizzare proiettili perforanti, per far detonare la testata dei missili in arrivo, oppure esplosivi, per danneggiarne il motore o il sistema di guida. Per l’a. antinave si fa ricorso a pezzi di medio calibro, asserviti a sistemi di puntamento ottico o radar, anche se l’adozione generalizzata dei missili antinave ha ridotto il ricorso all’a. in tale funzione ai soli casi di attacco a breve distanza di unità di scarso valore. Per l’a. contraerea si utilizzano in genere le a. antimissile, oppure quelle di medio calibro, se opportunamente dotate di sistemi di puntamento. L’impiego del fuoco d’a. navale contro bersagli terrestri è oggi ostacolato dall’adozione di difese costiere dotate di missili antinave, nonché dalla scomparsa di a. navali di grosso calibro. Si ricorre pertanto ai pezzi da 127 mm di realizzazione italiana o statunitense, oppure a quelli di calibro inferiore adottati dalle forze britanniche e da quelle francesi, e a proiettili con gittata incrementata, a testata singola o con submunizioni.
Le a. installate sui velivoli hanno impiego antiaereo oppure possono servire ad attaccare bersagli terrestri. Le prime hanno calibri compresi fra i 20 e i 30 mm e cadenze di tiro elevatissime; le seconde possono avere calibri superiori e utilizzare proiettili esplosivi oppure anticarro, con nucleo in uranio impoverito: un esempio è il velivolo statunitense AC 130, che utilizza cannoni da 40 e 105 mm per l’attacco al suolo.