Svezia
Stato dell’Europa settentrionale.
Della S. è fatta già menzione dagli autori latini: Tacito ricorda le stirpi degli svioni (suiones), più tardi Giordane e Procopio nominano genti di quella terra: gli svioni (svear) nella provincia di Uppsala; i gauti a sud del lago Vänern; gli skridfinni nella S. settentrionale. Popolata da diverse stirpi nel periodo delle migrazioni germaniche e suddivisa in vari piccoli regni indipendenti, la S. acquistò una certa unità nei secoli successivi, allorché i re degli svear estesero a poco a poco il loro dominio su tutta la S., sulle rive del Mar Baltico e sulle isole baltiche. A tale opera di unificazione contribuirono fattori di carattere religioso ed economico. A Uppsala vi era infatti un grande tempio pagano e su un’isola del lago Mälaren era sorta la città di Birka, importante centro di transito commerciale verso l’odierna Russia e l’Oriente arabo. Questa fioritura commerciale decadde intorno al 1000, con la fine delle spedizioni vichinghe. Legami sempre più intensi furono quindi stretti con l’Europa, e il cristianesimo cominciò a diffondersi nel Paese, dove si affermò definitivamente soltanto nel 1089, trionfando su un estremo tentativo di reazione pagana. Nel 12° sec. il potere dei re, già di per sé molto disorganico per l’estesa autonomia delle assemblee popolari (ting) delle singole province, si ridusse ancora di più per le continue lotte tra i pretendenti alla successione al trono: dalla metà del 12° sec. si contesero infatti la corona i discendenti del re Sverker e quelli di Erik IX il Santo. Tale stato di cose conferì una posizione sempre più importante alla dignità dello jarl, che, da comandante della flotta quale era in origine, assunse prerogative sempre più estese fino a diventare il vero e proprio responsabile della politica del regno. In massima parte gli jarl appartennero alla famiglia dei cosiddetti Folkungar e l’esercizio del potere regio rese loro facile la personale ascesa sul trono nel 1250 con Valdemaro (1250-75), il cui padre, Birger jarl, resse effettivamente il governo fino alla morte (1266). La dinastia dei Folkungar conservò la corona per un secolo. Valdemaro fu deposto dal proprio fratello, Magnus Ladulås (1275-90), che, appoggiandosi alla Chiesa da lui dotata di molti privilegi, lottò accanitamente contro gli aristocratici, ai quali peraltro concesse una più attiva partecipazione all’azione di governo mediante herredag (assemblee aristocratiche) e l’istituzione del Consiglio del regno. Morto Magnus, essendo ancora minorenne il figlio Birger, il governo fu retto da uno dei nobili, Torgils Knutsson. Gli aristocratici, nuovamente influenti, si fecero fautori di una politica di espansione territoriale, soprattutto verso la Finlandia. Giunto alla maggiore età Birger, Torgils Knutsson non volle cedere il potere e fu perciò rovesciato da una congiura, ordita nel 1305 dai fratelli del re legittimo, che successivamente esclusero dalla successione anche Birger. I due fratelli, Erik e Valdemaro, si spartirono il Paese, ma nel 1317 Birger riprese il sopravvento. I fautori dei due fratelli, ribellatisi, costrinsero Birger a lasciare la S. e il figlio minore del duca Erik, Magnus Eriksson, fu eletto re nel 1319. La sua politica antiaristocratica gli alienò le simpatie di coloro che l’avevano eletto. Una prima ribellione di suo figlio, Erik Magnusson, portò allo smembramento del regno in due parti, e successivamente, morto Erik, alla chiamata di Alberto di Meclemburgo, proclamato re nel 1363. In seguito alla rottura dei rapporti tra Alberto e l’aristocrazia, i nobili si rivolsero a Margherita, reggente della Danimarca e della Norvegia, vedova di re Haakon VI, figlio minore di Magnus Eriksson. Costei, vittoriosa in battaglia a Falköping (1389), divenne signora della S. e riunì nell’Unione di Kalmar i tre regni nordici, dei quali Erik VII di Pomerania, nipote di Margherita, fu eletto re. L’Unione, fin dall’inizio, non riuscì di particolare gradimento agli svedesi, perché Erik di Pomerania, in continua guerra contro le città anseatiche e i principi della Germania settentrionale, opprimeva fiscalmente ed economicamente il regno. L’interesse personale del sovrano era incompatibile con quello degli svedesi i quali, nel 1434, sotto la guida di Engelbrekt Engelbrektsson, si ribellarono. Nel 1435 Engelbrekt convocò il primo Riksdag, sorta di assemblea nazionale nella quale erano rappresentati i vari ordini della società svedese, e che lo proclamò reggente. Dopo l’assassinio di Engelbrekt (1436), la rivolta si esaurì e si trasformò da movimento popolare in lotta delle aristocrazie svedese e danese contro Erik. Il partito dell’Unione ebbe ancora il sopravvento quando, detronizzato Erik, Cristoforo di Baviera fu eletto re in tutti e tre i Paesi nordici (1440). Alla sua morte (1448) divenne re di S. il capo del partito contrario all’Unione, Carlo Knutsson, che dovette sostenere lunghe lotte con i fautori aristocratici dell’Unione. Nel 1457, questi lo cacciarono dal trono ed elessero re Cristiano I di Danimarca. L’Unione fu però di breve durata. Sorsero dissapori tra gli aristocratici e il nuovo re e Knutsson ne approfittò per ritornare al potere. Alla sua morte (1470), Cristiano I tentò di riprendere la corona, ma i suoi sforzi riuscirono vani a causa della dura sconfitta subita presso Brunkeberg (1471) da parte degli svedesi condotti da Sten Sture il Vecchio, reggente del regno fino al 1503, con un’interruzione dal 1497 al 1501, quando Giovanni, re di Danimarca e successore di Cristiano I, ebbe la corona svedese, illudendosi di essere riuscito a ricostituire l’Unione. Neppure la morte di Sten Sture favorì il ritorno di Giovanni, perché il Riksdag procedette subito all’elezione di un nuovo reggente nella persona di Svante Nilsson (1503-12) e, successivamente, di Sten Sture il Giovane (1512-20). Tra quest’ultimo e l’arcivescovo Gustav Trolle, schierato come gran parte del clero locale dalla parte dell’Unione e dei danesi, scoppiò un durissimo conflitto. La lotta si concluse con la sconfitta e la morte di Sten Sture nel 1520. Cristiano II di Danimarca, conquistata Stoccolma, celebrò la sua vittoria mandando a morte più di 80 persone, che avevano avversato l’arcivescovo (il «bagno di sangue di Stoccolma»).
Nello stesso 1520 Gustavo Eriksson Vasa diede inizio a una rivolta contro i danesi; il movimento si propagò celermente in tutta la S.: eletto re dal Riksdag il 7 giugno 1523, Gustavo Vasa (passato alla storia con il nome di Gustavo I) conquistò la capitale con l’aiuto di Lubecca e cacciò i danesi dal Paese. La guerra per l’indipendenza aveva ridotto la S. in condizioni disastrose e Gustavo diede l’avvio a un ampio programma di risanamento finanziario. Negli anni successivi si preoccupò di adottare misure dirette a impedire, alla sua morte, lo smembramento del regno tra i figli: raggiunse lo scopo con la proclamazione della monarchia ereditaria, secondo il diritto di primogenitura, nel Riksdag di Västerås nel 1544 e con il giuramento di fedeltà da parte degli ordini al principe ereditario Erik nel giugno 1560, pochi mesi prima della morte. Il nuovo sovrano, Erik XIV, nel 1561 estese la sovranità svedese su Reval e su parte dell’Estonia; in seguito, per motivi commerciali, scoppiò una guerra con la Polonia, la Danimarca e Lubecca (guerra nordica dei Sette anni, 1562-70), durante la quale il re diede segni sempre più evidenti di squilibrio mentale. Nel 1568 i fratelli Giovanni e Carlo, postisi a capo di un movimento di rivolta, rovesciarono il sovrano. L’ascesa al trono di Giovanni (Giovanni III) favorì la fine della guerra nordica dei Sette anni, essendo sua moglie Caterina Iagellone sorella di Sigismondo II re di Polonia. Un aspro conflitto confessionale scoppiò dopo la morte di Giovanni, con la successione al trono, nel 1592, del figlio Sigismondo, educato nella religione cattolica e re di Polonia fin dal 1587. Lo zio di Sigismondo, il duca Carlo, fervente protestante, approfittò subito della lontananza del nuovo sovrano per convocare nel 1593 un concilio a Uppsala, in cui fu abrogata la liturgia filocattolica fatta adottare nel 1576 da Giovanni III e fu riconosciuta la confessione augustana. Sigismondo promise di rispettare tale mutamento, ma la sua pretesa di voler governare la S. da Varsavia attraverso luogotenenti facilitò i piani di Carlo, che nel Riksdag di Söderköping (1595) si fece eleggere reggente. Scoppiata la guerra tra zio e nipote, quest’ultimo ebbe la peggio e fu dichiarato decaduto dal trono (1599). Nel Riksdag di Norrköping (1604) Carlo fu eletto re; alla sua morte, nel 1611, lasciò in eredità al proprio figlio e successore Gustavo II Adolfo un regno in condizioni assai critiche, in guerra con la Polonia e, dal 1611, anche con la Danimarca. Gustavo II Adolfo concluse nel 1613, con non lievi sacrifici economici, la pace con la Danimarca, quindi mosse guerra alla Polonia, occupò la Livonia e si insediò stabilmente nella Prussia orientale. Con l’armistizio di Altmark (1629) creò le premesse per assicurare alla S. l’egemonia sul Mar Baltico. Il conflitto svedese-polacco fu tuttavia solo una fase della lotta tra il cattolicesimo e il protestantesimo, che allora divampava nell’Europa centrale. La partecipazione della S. alla guerra dei Trent’anni divenne inevitabile dopo la vittoriosa campagna della Lega cattolica e degli imperiali contro la Danimarca. Sbarcato nel 1630 in Pomerania, Gustavo II Adolfo penetrò in Germania, assunse la direzione del protestantesimo tedesco e ottenne la vittoria nella battaglia di Breitenfeld (1631) e in quella di Lützen (1632), nella quale trovò però la morte; i frutti della sua azione militare e politica furono innegabili. L’aristocrazia cessò di essere una classe nello Stato, spesso in opposizione al monarca, per costituire invece l’intelaiatura fondamentale della pubblica amministrazione. Il Consiglio di Stato divenne un organo permanente, composto di esperti funzionari, con sede a Stoccolma. L’importanza di queste riforme interne apparve subito evidente alla morte di Gustavo II Adolfo, quando Axel Oxenstierna, cancelliere del regno e capo della reggenza, riuscì a mantenere intatto e a rafforzare il prestigio politico della S., priva di un re maggiorenne. Durante la minorità della regina Cristina la guerra continuò in Germania, e nel 1645 (Pace di Bromsebro con la Danimarca) e nel 1648 (Pace di Vestfalia) il peso politico della S. negli affari europei venne definitivamente sanzionato. Cristina, convertitasi al cattolicesimo, abdicò nel 1654 in favore del cugino Carlo X Gustavo, le cui doti militari rifulsero particolarmente in nuove guerre contro la Polonia e la Danimarca. Per merito suo la Scania, fino allora danese, divenne parte integrante della S. con la Pace di Roskilde (1658). Dopo la sua morte prematura (1660), una nuova reggenza dovette concludere nuovi accordi con la Danimarca, che il sovrano aveva aggredito, poco prima della morte, con risultati parzialmente negativi: alcuni acquisti territoriali della Pace di Roskilde (Bornholm e parte della Norvegia) dovettero essere restituiti alla Danimarca. La Scania tuttavia rimase svedese, né la Danimarca poté recuperarla con una nuova guerra (1676-79). Carlo XI, raggiunta la maggiore età nel 1672, assunse il governo in una situazione poco piacevole per il pessimo stato delle finanze; mancando di denaro e crediti sufficienti, la Corona era stata infatti costretta, nel corso del 17° sec., a cedere la maggior parte delle terre demaniali e dei suoi beni ai nobili, che di conseguenza avevano visto crescere il loro potere politico a scapito di quello del re. Carlo XI ricorse a riforme radicali, che migliorarono la situazione finanziaria e attribuirono nuovamente alla monarchia un potere quasi assoluto: la cd. riduzione dei beni decisa dal Riksdag (1680) costrinse la nobiltà a restituire alla Corona tutti i beni ottenuti durante il 17° sec. per donazione o acquisto. Nel 1700, la comune opposizione di Russia, Danimarca, Sassonia e Polonia alla supremazia svedese nel Baltico portò allo scoppio della seconda guerra del Nord, nella quale il figlio di Carlo XI, Carlo XII, fu impegnato per quasi tutta la durata del suo regno (1697-1718). Dopo alterne vicende, la guerra volse nettamente a sfavore della S.: essa dovette infatti subire forti perdite territoriali, sanzionate dai trattati di Stoccolma (1720) con Danimarca, Sassonia, Brandeburgo e Hannover (questi ultimi due entrati nella coalizione antisvedese nel 1714) e da quello di Nystad con la Russia (1721), che segnarono il definitivo declino della preponderanza svedese nel Baltico.
La lunga guerra e la sconfitta comportarono anche la fine dell’assolutismo reale. Nel 1719 il Riksdag rifiutò di riconoscere la sorella di Carlo XII, Ulrica Eleonora, come monarca per diritto ereditario, eleggendola regina solo dietro promessa che avrebbe regnato secondo una Costituzione approvata dal Riksdag stesso. Nel 1720 Ulrica Eleonora abdicò in favore del marito Federico d’Assia, sotto il cui regno (1720-51) la S. si dotò di una forma di governo rigidamente parlamentare: le leggi costituzionali del 1720-23 privarono in pratica il sovrano di ogni potere a beneficio del Riksdag. Per circa un ventennio la vita politica fu dominata da A. Horn, presidente della cancelleria, che si adoperò per la ripresa economica del Paese, conducendo una politica estera prudente, soprattutto nei confronti della Russia. Incontrata una crescente opposizione da parte del partito dei cdd. hattar («cappelli»), che si organizzò a partire dal 1730 invocando una politica estera più decisa verso la Russia e un più rigido mercantilismo, Horn dovette dimettersi (1738); gli hattar giunsero al potere e nel 1741 dichiararono guerra alla Russia. Pur sconfitta, con la pace del 1743 la S. subì solo limitate cessioni territoriali in Finlandia, poiché l’anno precedente il Riksdag aveva accettato di eleggere come successore al trono Adolfo Federico di Holstein-Gottorp, favorito dell’imperatrice di Russia, Elisabetta. Mantenutisi al governo anche dopo l’ascesa al trono di Adolfo Federico (1750-71), gli hattar strinsero un’alleanza con la Francia, conducendo la S. nella dispendiosa guerra dei Sette anni contro la Prussia (1757-62) e trascinando il Paese al collasso finanziario. Se ne avvantaggiò il partito avversario dei cdd. mössor («berretti»), che nel 1765 riuscì a prevalere. A causa dell’aggravarsi della crisi economica, nel 1769 i mössor dovettero però cedere di nuovo il governo agli hattar. La lotta tra i due partiti aveva ridotto la S. a oggetto della politica europea; le due fazioni rappresentavano infatti nel Paese i contrastanti interessi delle potenze europee (i mössor quelli della Russia, della Gran Bretagna e della Danimarca, gli hattar quelli della Francia) dalle quali erano sovvenzionate. Nel 1772 il nuovo re, Gustavo III, riuscì a imporre una nuova Costituzione, che riaffermava l’autorità del sovrano rispetto al Riksdag; immancabile fu il formarsi di un’opposizione contro questa forma di autocrazia. Gustavo III credette di poter allontanare il malcontento mediante una vittoriosa guerra contro la Russia, ma molti ufficiali svedesi preferirono far causa comune con il nemico contro il proprio sovrano. Per venire a capo dell’opposizione, in massima parte formata dai nobili, il re si appoggiò agli altri ordini del Riksdag e nel 1790 riuscì a concludere con la Russia una pace che ristabilì lo status quo. Due anni dopo Gustavo III cadde vittima di una congiura di nobili; il figlio, Gustavo IV Adolfo, divenuto re al raggiungimento della maggiore età (1800), si fece promotore di una grande riforma agraria. Meno fortunata fu la sua politica estera, che sfociò in una nuova guerra con la Russia, conclusasi con una sconfitta (1808).
Ispirato dall’esercito, che sperava di ottenere dalla Russia condizioni di pace più clementi, il Riksdag detronizzò il monarca, eleggendo al suo posto lo zio, Carlo XIII (1809), e nominando principe ereditario il maresciallo francese J.B. Bernadotte (1810). Nel 1809 fu anche promulgata una nuova Costituzione, basata su una rigida separazione dei poteri. Il rivolgimento interno non alleviò tuttavia le condizioni di pace poste dalla Russia: la Finlandia divenne un granducato autonomo, soggetto alla sovranità dello zar. Il principe ereditario, assunto il nome di Carlo Giovanni, divenne ben presto il vero artefice della politica svedese; alla ricerca di un compenso per la perdita della Finlandia, promosse l’adesione del Paese alla coalizione antinapoleonica, con l’assicurazione dell’acquisto della Norvegia. Quest’ultima, riconosciuta regno indipendente, nel 1814 costituì un’unione con la S., dopo formale atto di cessione da parte della Danimarca, che vi aveva esercitato fino ad allora la propria sovranità. Carlo Giovanni ascese al trono con il nome di Carlo XIV nel 1818 e il suo tranquillo regno durò sino al 1844. Avanzate riforme liberali in politica interna e in economia furono introdotte da Oscar I (1844-59), che allentò i legami con la Russia e puntò ad assorbire nell’unione svedese-norvegese la Danimarca. Lo stesso disegno fu coltivato da Carlo XV (1859-72). Sotto il regno di Oscar II (1872-1907) fu abolita l’imposta fondiaria e si pose mano alla riforma dell’esercito. Dal punto di vista delle condizioni economiche, la fine del 19° sec. costituì per la S. un periodo di forte espansione, ma nelle campagne la crescita demografica verificatasi nel corso dell’Ottocento contribuì a creare un numeroso proletariato agricolo, cui non rimase altra risorsa che l’emigrazione in America. Alla crisi delle campagne il governo reagì con l’adozione di misure protezionistiche, mentre tra i contadini si diffondeva il movimento cooperativo, che contribuì, insieme ai sindacati operai, alla nascita del Partito socialdemocratico (1889). Nei primissimi anni del 20° sec. si ebbero anche l’unione elettorale delle forze liberali (1900) e quella delle forze conservatrici (1904).
Nel 1905 fu sancita l’indipendenza della Norvegia. Durante il regno di Gustavo V (1907-50) la crisi della Prima guerra mondiale raggiunse solo di riflesso il Paese, rimasto neutrale. Al potere con il sostegno dei socialdemocratici (1920-26), quindi dei conservatori (1926-32), i liberali non poterono impedire il crollo delle esportazioni e l’aumento della disoccupazione conseguenti alla crisi del 1930; dopo le elezioni del 1932 il governo fu pertanto assunto dal Partito socialdemocratico. Neutrale anche nella Seconda guerra mondiale, dopo la conquista tedesca di Norvegia e Danimarca la S. dovette concedere il diritto di transito alle truppe del Reich dirette in Norvegia. Nel 1946 la guida del partito e del governo fu assunta da T.F. Erlander, che proseguì l’opera di consolidamento dello Stato sociale; dopo essere entrata nell’ONU (1946), nell’OECE (1948) e nel Consiglio d’Europa (1949), la S. non aderì alla NATO. Negli ultimi anni di regno di Gustavo VI Adolfo (1950-73) e nei primi di Carlo XVI Gustavo furono realizzate importanti riforme: nel 1970 il Riksdag fu trasformato in un’assemblea unicamerale; nel 1975 entrò in vigore una nuova Costituzione; infine nel 1979 fu permessa la successione al trono in linea femminile. Guidato dal 1969 da S.O. Palme, il governo socialdemocratico dovette fronteggiare un crescente malcontento per l’elevato livello della tassazione e la crescita di inflazione e disoccupazione; il declino elettorale culminò nella sconfitta nelle elezioni del 1976. Dopo due coalizioni di governo guidate rispettivamente dal centrista T. Fälldin (1976-78; 1979-82) e dal liberale O. Ullsten (1978-79), le persistenti difficoltà economiche e la scarsa coesione delle forze della maggioranza favorirono il ritorno al potere dei socialdemocratici, vittoriosi nelle elezioni del 1982, 1985 e 1988; sostenuto esternamente dai comunisti, un nuovo governo Palme riuscì a contenere l’inflazione e a favorire una certa ripresa economica, senza trascurare la politica di sviluppo dei pubblici servizi e di lotta alla disoccupazione. Ucciso in un attentato di oscura matrice nel 1986, Palme fu sostituito dal vicepremier I. Carlsson, che impresse una svolta moderata alla tradizionale politica del suo partito, introducendo misure per ridurre la spesa pubblica e l’intervento statale in economia. Le elezioni del 1991 videro però l’affermazione di una coalizione a guida conservatrice. Il governo, presieduto da C. Bildt, procedette alla privatizzazione delle imprese statali, alla riduzione del prelievo fiscale e a una serie di tagli alle spese sociali, senza tuttavia riuscire a migliorare le condizioni economiche del Paese. Nel 1994 Carlsson costituì un esecutivo di minoranza, sostenendo una politica di austerità economica. Sul piano dei rapporti internazionali, nel 1996 la S. entrò a far parte dell’Unione Europea, ma non dell’Unione economica europea. L’operato del nuovo premier G. Persson, che nel 1996 aveva sostituito Carlsson, mirava essenzialmente al risanamento del bilancio attraverso una linea di austerità. Nonostante l’indubbia efficacia, la strategia adottata da Persson implicava un progressivo ridimensionamento del welfare svedese che mise in discussione un modello sociale fino ad allora apparso inattaccabile, trovando nell’opinione pubblica del Paese una forte opposizione. Nel 1998, i socialdemocratici subirono il peggior risultato elettorale in 70 anni circa, ma riuscirono comunque a formare un governo di coalizione con i Verdi e il Partito della sinistra, sempre sotto la guida di Persson. Sul piano economico, la congiuntura favorevole consentì al governo di adottare, tra il 1999 e il 2000, una politica di tagli alle imposte sul reddito accompagnati da un incremento delle spese nella sanità, nell’educazione e nei servizi sociali. Il dibattito sulla riforma e su un ripensamento del welfare state è rimasto al centro della vita politica anche nei primi anni del 21° sec., finché le elezioni del 2006 hanno fatto registrare il successo della coalizione di centrodestra, guidata da F. Reinfeldt (confermato nel 2010).