SVEZIA (XXXIII, p. 40; App. I, p. 1041; II, 11, p. 933; III, 11, p. 877)
Al censimento del 1970 la popolazione della S. risultava di 8.076.930 abitanti, rivelando un incremento dell'8,1% rispetto al 1960 e un coefficiente di accrescimento medio annuo dello 0,7%. L'aumento non si è distribuito in maniera uniforme, ma si è polarizzato nella parte centro-orientale della penisola, accentuando il fenomeno dell'urbanesimo, mentre le contee settentrionali, e qualcuna anche della parte meridionale, accusano una certa flessione. In tal modo la popolazione urbanizzata è passata dal 77,4% nel 1965 all'81,4% nel 1970. L'agglomerazione di Stoccolma, in modo precipuo, è cresciuta da 807.909 abitanti nel 1960 a 1.344.750 nel 1970, a 1.374.922 nel 1979.
Secondo una stima del 1977, che dava 8.236.179 abitanti, la popolazione risultava distribuita, per contee, secondo quanto indicato nella tabella.
Condizioni economiche. - Per quanto riguarda il settore primario, che occupa ormai meno di un settimo della popolazione attiva, c'è da notare che, nonostante la progressiva riduzione della superficie coltivata, la quale tra il 1960 e il 1975 è passata dal 9% al 6,7% della superficie territoriale, la produzione agricola lorda vendibile è in crescente aumento, grazie all'adozione di tecniche molto progredite e a una moderna organizzazione delle aziende.
Rispetto al 1960, risulta aumentata di oltre il 50% la resa media per ettaro dei cereali più diffusi, come il frumento (376.000 ha e 15.620.000 q nel 1977), la segale (116.000 ha e 3.640.000 q) e l'orzo (604.000 ha e 19.920.000 q), mentre appare più che raddoppiata la resa dell'avena (446.000 ha e 13.990.000 q) e delle patate (48.000 ha e 13.460.000 q), che, però, insieme con la barbabietola da zucchero (54.000 ha e 22.140.000 q), accusano una certa contrazione della superficie occupata. Un sensibile progresso mostrano, soprattutto nella Scania meridionale, anche gli ortaggi e gli alberi da frutto, che vengono coltivati anche in serra.
L'allevamento del bestiame rivela un ridimensionamento dei bovini (1.876.000 nel 1977, contro una media di 2.500.000 degli anni 1960-63) a favore degli ovini (404.000) e dei suini (2.585.000), mentre sono in fase di estinzione i cavalli (48.000).
L'utilizzazione del bosco - che copre il 58,7% della superficie territoriale - è stata ulteriormente intensificata: nel 1977 sono stati ricavati 47,4 milioni di m3 di legno (36% legname segato, 58% polpa di legno, 6% legno da ardere) e sono state censite 900 segherie con oltre 5 addetti e 96 fabbriche di polpa. Sempre più marginale diventa, invece, l'attività della pesca (192.134 t di pesce nel 1977), cui si dedicano ormai poche migliaia di persone.
L'industria estrattiva, esercitata da 210 imprese, nel 1978 ha ricavato dal sottosuolo 13.432.500 t di minerali di ferro, per lo più dai giacimenti lapponi, 44.900 t di rame, 81.600 t di piombo, 128.300 t di zinco, 402.000 t di piriti, oltre a una quantità non trascurabile di tungsteno, manganese, oro e argento, raddoppiandone generalmente la produzione rispetto a un decennio addietro.
Più che raddoppiata risulta anche la produzione di energia elettrica (potenza installata 24.440.000 kW e 86.416 milioni di kWh, di cui quasi il 70% di origine idrica, nel 1976), essendo entrati in funzione nuovi impianti idroelettrici nelle regioni settentrionali, soprattutto sul fiume Lule, come pure reattori nucleari ad Agesta e a Oskarshamn (nel 1976 potenza installata 3.314.000 kW, produzione 15.993 milioni di kWh), prime realizzazioni di un importante programma elettronucleare in fase di svolgimento.
L'accresciuta produzione mineraria ed energetica è stata causa e conseguenza di un forte impulso dato dalla S. alla siderurgia e alla metallurgia di base (2.364.000 t di ghisa, 4.224.000 t di acciaio, 78.720 t di alluminio, 49.300 t di piombo di prima fusione nel 1978), cui si è accompagnato lo sviluppo delle industrie metalmeccaniche, soprattutto nei centri della Scania centro-meridionale, richiamandovi cospicue correnti d'immigrati dalle zone rurali più interne. Quasi metà del valore aggiunto dell'industria manifatturiera proviene dai prodotti metallici, macchinari e apparecchiature di vario genere, tra cui un posto di rilievo occupano gli strumenti di alta qualità e precisione, e attrezzature da trasporto (costruzioni navali e ferroviarie, autoveicoli e aerei). Il resto deriva maggiormente dall'industria di trasformazione del legno e dall'industria chimica, che mostra più spiccato dinamismo nel ramo dei fertilizzanti, in connessione con la crescente richiesta da parte dell'agricoltura.
Nel campo delle vie e dei mezzi di comunicazione c'è da segnalare un leggero ampliamento della rete ferroviaria (12.070 km, di cui 7484 elettrificati nel 1977) e stradale (97.500 km, di cui 1034 autostradali) e una sensibile contrazione della flotta mercantile (da 1211 a 728 navi dal 1960 al 1977), cui corrisponde, però, un aumento (+50%) della stazza lorda (7.429.394 t).
La bilancia commerciale, leggermente in deficit fino al 1970, tende ora all'attivo, in virtù di un nuovo corso di politica economica avviato dal governo per ridurre la passività della bilancia dei pagamenti. Tra le importazioni (91.119 milioni di corone nel 1978) prevalgono carbone e prodotti petroliferi, derrate alimentari, soprattutto frutta fresca, e beni manifatturati; all'esportazione (96.999 milioni di corone) dominano invece apparecchiature speciali, materie grezze, essenzialmente minerali, veicoli, pasta di legno e carta. Gli scambi più intensi si svolgono con la Rep. Fed. di Germania, la Danimarca, il Regno Unito e la Norvegia.
Bibl.: F. Fleischer, The new Sweden, New York 1967; THe Swedisch economy, 1971-75, and the general outlook up to 1990, a cura del Ministry of Finance, Stoccolma 1971; OCDE, Suède, Parigi 1972 e 1973.
Economia. - La struttura produttiva della S. è fortemente influenzata dalla ricchezza delle proprie risorse naturali. Infatti l'abbondanza di foreste, giacimenti di metalli ferrosi e corsi d'acqua hanno reso possibile lo sviluppo e la concentrazione dell'industria manifatturiera nel settore del legno e del ferro. L'industria manifatturiera è di vitale importanza in termini di valore aggiunto e di flussi di esportazione, mentre lo è un po' meno per quanto riguarda la forza occupata. Ciò spiega in parte il predominio del settore privato, anche se la quota della produzione ascrivibile al settore pubblico è passata dal 15% nel 1950 al 20-25% nel 1970.
Il settore pubblico è invece più importante nel lato della domanda; i consumi e gl'investimenti pubblici rappresentavano il 20% del prodotto nazionale lordo nel 1950 e il 30% negli anni Settanta. I redditi sotto forma di tasse, assicurazioni sociali, ecc., del settore pubblico ammontavano nel 1971 al 51% del prodotto nazionale lordo; quindi mentre il grado di nazionalizzazione dei mezzi di produzione è piuttosto ridotto, vi è un considerevole grado di nazionalizzazione nella formazione del reddito che ha comportato un aumento del ruolo pubblico nell'offerta del risparmio e del credito.
Il settore pubblico, inclusivo dei fondi di pensione semipubblici, nei primi anni Sessanta partecipava per circa il 34% alla formazione del risparmio lordo e per circa il 40% all'offerta di credito. Nel periodo successivo alla fine della seconda guerra mondiale la politica monetaria era stata relativamente accomodante, in seguito essa è stata più restrittiva soprattutto attraverso il controllo dei tassi d'interesse. La manovra dei tassi d'interesse è stata particolarmente utilizzata dopo il 1965 in seguito al sorgere di problemi di bilancia dei pagamenti al fine di favorire l'afflusso di capitali esteri. Questa più accorta politica monetaria ha anche permesso di avere un tasso d'inflazione moderato: l'indice dei prezzi al consumo è aumentato nel periodo 1960-72 in media del 4,7% l'anno.
Dopo il 1974 il tasso d'inflazione si è andato accelerando portandosi a un livello superiore a quello medio degli altri paesi dell'OCSE. Nel periodo seguente alla crisi del petrolio la S. è stato uno dei pochi paesi industrializzati che ha cercato di controbilanciare l'effetto deflazionistico espandendo la domanda interna sia privata che pubblica. Nel 1975 ha registrato un tasso di aumento del prodotto nazionale lordo dello 0,5% contro il -2,25% medio dei maggiori paesi OCSE. Le tensioni inflazionistiche che ne sono derivate hanno tuttavia causato la perdita di competitività per le esportazioni a cui si è cercato di rimediare tramite successive svalutazioni del tasso di cambio (nel 1977 il 15% rispetto al dollaro).
Bibl.: Some data about Sweden, a cura della Skandinaviska Enskilda Banken, 1972-73; A. Lindbeck, Swedish economic policy, Londra 1975; The nordic economic outlook, a cura della Federation of Swedish industries; OCDE, Études économiques (varie annate); The Europa Yearbook 1978: a world survey, Londra.
Storia. - Con la riforma delle pensioni del 1959, la costruzione del welfare state nella S. socialdemocratica era giunta al suo compimento: gli anni Sessanta non videro che la sua stabilizzazione con qualche ammodernamento (parità salariale per le donne, riforme scolastiche, ecc.). Le grandi linee rimasero immutate, con le spese sociali e della pubblica istruzione ai primi posti del bilancio (1970-71, 28,3 e 18,3%). Restò pure intatto l'assetto di economia privata e di mercato dell'apparato produttivo, ben funzionante supporto del costoso welfare state. La quota privata era superiore al 90% nelle industrie metallurgica, meccanica, cantieristica, tessile, nelle banche; l'espansione del settore pubblico era modesta, mentre le richieste di misure anti-concentrazione incontravano poco favore, nonostante l'alto grado di concentrazione economica (le "15 famiglie"). La permanenza di T. Erlander nell'ufficio di primo ministro dal 1946 fino alle sue dimissioni nel 1969 illustrava la straordinaria stabilità del sistema politico svedese. Tale sistema aveva il suo cardine nell'egemonia della socialdemocrazia, normalmente di poco inferiore alla maggioranza assoluta nel Parlamento e stabile partito di governo, monocolore o talvolta in coalizione, contrapposto a uno schieramento d'opposizione formato dai partiti "borghesi".
Il Centro (l'antico partito agrario), i liberali e i conservatori si presentavano divisi sulla politica economica e sociale, tradizionalmente incapaci di costituire uno schieramento unitario e inclini, come i liberali e specialmente gli agrari (già partners di governo dei socialdemocratici negli anni 1951-57), a valersi delle singole occasioni di partecipazione parziale al potere. Tale stato di cose aveva ridotto a ben poca cosa l'alternarsi dei partiti al governo, fornendo invece ampio spazio a una politica socialdemocratica che, oltre ogni preoccupazione di "purezza" ideologica, attribuiva priorità alla ricerca di un largo consenso sociale, specialmente fra i pressure groups. Dal 1964 il manipolo comunista assumeva, sotto il popolare leader Hermansson, posizioni più pragmatiche, di accettazione della democrazia parlamentare e di relativa indipendenza dall'URSS (condanna dell'aggressione alla Cecoslovacchia nel 1968). Il suo rifiuto di congiungersi ai partiti "borghesi" in una maggioranza negativa permetteva ai socialdemocratici di esercitare, anche senza maggioranza assoluta, un potere stabile e tranquillo: questo era avvenuto in modo esemplare dopo le elezioni del 1960 (114 socialdemocratici, 5 comunisti, 113 "borghesi"), quando peraltro Erlander aveva saputo giocare egregiamente sui contrasti che separavano liberali e agrari dai conservatori. Sempre dal 1964 si verificava una crescente pressione sui partiti non-socialisti perché costituissero uno schieramento unitario con programma di governo comune; ma la maggioranza assoluta raggiunta dalla socialdemocrazia nel 1969, sotto lo choc di Praga, rendeva per il momento inattuabile tale disegno che pure, adesso, sembrava favorito dallo spostamento a sinistra del Partito conservatore (dal 1968, "moderato". La riforma elettorale (1971), che ha accentuato il carattere proporzionalistico del sistema, ha potenziato anch'essa, favorendo il Partito comunista (che ha superato peraltro la barriera del 4%), gli elementi d'instabilità che emergevano all'inizio della nuova decade.
Il nuovo ministro O. Palme (in carica dal 1969), collocato nettamente a sinistra del suo predecessore, cercò di riassorbire le spinte della "nuova sinistra" con una virata in senso socialista: verso una maggiore eguaglianza sociale ed economica (secondo il rapporto della commissione A. Myrdal, adottato dal partito per le elezioni del 1970), nel senso di una "democrazia industriale". Questa politica adottava la pressione fiscale come suo primo strumento, puntando sul binomio; elevamento dei salari più bassi - livellamento accentuato dei redditi. Essa provocava non solo la diffidenza del mondo imprenditoriale e dei conservatori, ma anche la dura avversione di white collars (sciopero dei due loro sindacati, fenomeno rarissimo in S., nel 1971), e di operai qualificati, gli uni e gli altri ostili al livellamento e declassamento. Alla politica di Palme i tre partiti non socialisti reagirono con un programma economico comune (1971), potenziale premessa alla formazione di un blocco di alternativa di governo. Le elezioni del 1973 indebolirono ulteriormente la socialdemocrazia, senza consentire tuttavia la costituzione di un governo di coalizione "borghese". Costrinsero Palme a venire a patti col Centro e coi liberali: egli si trovava nella necessità di evitare la dipendenza dai deputati comunisti, di contenere la propria sinistra e di riprendere la tradizione di centrismo e la ricerca di consenso, propria della socialdemocrazia svedese. Fra questi ultimi, il Centro, guidato dal 1971 da T. Fälldin, conquistò, a coronamento della sua decennale ascesa, quella netta preminenza che i liberali (scesi dal 25% che solevano raccogliere fino al 1956, al 9,4% delle ultimi elezioni) avevano persa nel 1968. L'antico partito agrario ha saputo penetrare nei ceti medi urbani, raccogliendone la protesta contro le concentrazioni di potere (slogan 1973: decentramento) ed evitando così alla S. esperienze poujadistes come il movimento Glistrup della vicina Danimarca. La menzionata riforma elettorale faceva parte di una vasta riforma della costituzione del 1809, in preparazione fin dal 1954 e realizzata per tappe successive; passaggio dal bicameralismo al monocameralismo (1970), riduzione della legislatura a tre anni, introduzione del voto di sfiducia e del diritto di scioglimento del Riksdag, preminenza del primo ministro ed eliminazione di quasi tutte le prerogative politiche del monarca, dopo la successione a Gustavo VI Adolfo di suo nipote Carlo Gustavo (una nuova costituzione è stata approvata dal Riksdag nel febbraio 1974 ed è entrata in vigore il 1° dicembre 1979). Fin dal 1968 era stato ristrutturato l'istituto degli Ombudsman (v. svezia, XXXIII, p. 49).
Le elezioni del settembre 1976 hanno interrotto la lunga egemonia socialdemocratica, risalente agli anni Trenta: lo spostamento dell'elettorato è stato lieve, ma sufficiente a inclinare la bilancia verso i partiti non socialisti, ancora caratterizzati da valutazioni diverse, ma convergenti su un'intesa provvisoria. La campagna elettorale era stata dominata dalla questione energetica: il Partito di centro, già agrario, aveva respinto l'alternativa nucleare (mentre Palme aveva sostenuto un vasto programma d'incremento delle installazioni nucleari); tuttavia il Centro aveva saputo trovare un compromesso coi liberali e coi moderati, sensibili, nelle condizioni della crisi petrolifera, al problema delle fonti di energia. Così i partiti non socialisti si erano battuti insieme contro ogni provvedimento che potesse minacciare l'economia di mercato fondata sulla proprietà privata (mentre Palme aveva accennato, sia pure con cautela, alla partecipazione dei ceti operai all'incremento del capitale aziendale). Sulla base dei risultati elettorali e delle intese raggiunte, fu dunque costituito un gabinetto di coalizione presieduto da Fälldin (Centro-liberali-moderati). Il suo programma ripeteva i temi dell'economia sociale di mercato, teorizzati nella Germania occidentale sul finire degli anni Quaranta; il piano energetico insisteva sul rispammio delle risorse e sullo sfruttamento dell'energia solare. Ma i problemi dell'energia nucleare, che fin dall'inizio dividevano la coalizione "borghese.", hanno poi determinato, nell'ottobre 1978, la caduta del gabinetto Fälldin. Si è sciolta l'intesa tripartita, ma non si è realizzata l'alternativa socialista: i liberali hanno formato un monocolore di minoranza presieduto dal loro leader O. Ullsten e confortato dall'appoggio esterno dell'area non socialista.
Negli anni Sessanta la S. ha continuato la sua tradizionale politica di neutralità, riconfermata nell'immediato dopoguerra e dopo la mancata costituzione di un'alleanza difensiva nordica nel 1949: una politica che persegue la neutralità in un confronto militare e vuole fin da oggi garantire la credibilità del suo potenziale difensivo. È perciò altamente armata: la difesa occupa il terzo posto nel bilancio (nel 1970-71 col 12,8%) e la spesa pro capite supera dell'85% quella del vicino paese-membro della NATO, la Norvegia; la difesa si appoggia, inoltre, su un'efficiente industria bellica nazionale (Bofors). Il governo ha declinato, a più riprese, suggerimenti di armamento nucleare oppure di misure atte a ridurre il tempo necessario a raggiungere la capacità nucleare, puntando invece su una politica di non-proliferazione nucleare, prima col piano Undén del club dei non-nucleari (1964), poi con l'adesione al trattato di non-proliferazione. La politica di neutralità svedese è tradizionalmente non-isolazionistica: sia nel diritto che usa rivendicare di prender posizione, generalmente in senso democratico o radical-liberale (condanna della politica sovietica, dal colpo di stato di Praga nel 1948 alla repressione dell'insurrezione ungherese nel 1956; condanna dell'Apartheid sudafricana, delle dittature iberiche e greca), sia con iniziative umanitarie e con largo apporto allo sviluppo del Terzo Mondo (decuplicazione degli aiuti statali dal 1960-61 al 1967-68; istituzione nel 1965 della Svedish international development authority), sia con l'attiva partecipazione a organizzazioni mondiali, regionali e, in misura crescente, europee. La vasta attività della S. all'ONU era stata riconosciuta con l'elezione a segretario generale di D. Hammarskjöld (1952), che aveva costituito pure il riconoscimento universale della sua neutralità. Messa a disposizione permanente - con Danimarca e Norvegia - di truppe richiamabili in breve tempo per i "caschi blu", distensione, disarmo e arms control, hanno costituito gli obiettivi centrali della diplomazia svedese.
L'area nella quale, per tradizione e geografia, si svolge precipuamente la politica svedese è quella scandinava. La politica di neutralità armata svedese s'inquadra nel sistema dell'"equilibrio nordico", che costituisce peraltro quel poco che poté sopravvivere nel sistema internazionale determinato dal contrasto Est-Ovest dell'originario disegno dell'alleanza nordica neutrale, proiezione della politica di neutralità armata svedese sull'intera regione. L' "equilibrio nordico" si regge, nel quadro del contrasto SUA-URSS, NATO-Patto di Varsavia, sui seguenti elementi: appunto la neutralità armata svedese, con lo scopo dichiarato di "rendere i sacrifici richiesti per soggiogarci sproporzionati ai vantaggi strategici che l'aggressore potrebbe conseguire" (secondo il comandante supremo, 1962) e, d'altra parte, la partecipazione della Norvegia e della Danimarca alla NATO, con alcune restrizioni: niente truppe o basi straniere in tempo di pace, salvo che nella Groenlandia, che è fuori del sistema, niente armamento nucleare o stocks di armi nucleari. Ulteriore elemento del sistema è la neutralità finlandese, condizionata e menomata dal trattato di assistenza imposto da Stalin nel 1948 e dalla perdurante necessità di tenere largo conto della politica estera sovietica; l'appartenenza della Norvegia e della Danimarca alla NATO e la politica restrittiva e distensiva che esse vi conducono sono premesse del mantenimento dell'indipendenza finlandese.
Essenziale alla politica svedese è anche la "cooperazione nordica". Il suo organo principale è il Consiglio nordico, costituito nel 1952 fra S., Norvegia, Danimarca e Islanda, con l'adesione della Finlandia nel 1955, mentre le isole Fāröer e Aaland hanno rappresentanze proprie fin dal 1970; le sue funzioni sono consultive (escluse la difesa e la politica estera). Esso è stato potenziato dal trattato di Helsinki (1962): pur senza raggiungere un livello paragonabile a quello della CEE, l'integrazione è cospicua, comprendendo un mercato del lavoro unico, l'armonizzazione del diritto, una "cittadinanza sociale" scandinava, l'integrazione in campi come la ricerca e gli aerotrasporti. Mentre l'EFTA aveva provocato un'integrazione senza precedenti fra le economie scandinave, la richiesta di adesione alla CEE della Gran Bretagna, Danimarca e Norvegia (1961) pose la S. di fronte alla prospettiva di una ristrutturazione del suo commercio estero; il 60% nella Comunità allargata contro il solo 12% nell'EFTA. Mentre industria e Partito conservatore favorivano l'ingresso nella CEE, il governo cercò l'associazione; alla rinnovata richiesta di adesione anglo-danese-norvegese, nel 1967, la S. si affiancò con una domanda di trattative, senza specificare il rapporto desiderato. Dal 1968 in poi era in discussione il progetto di unione economica e doganale nordica (NORDEK-SKANDEK), corrispettivo del sistema dell'"equilibrio nordico" e coronamento della cooperazione nordica; esso fallì, tuttavia, per il ritiro della Finlandia (1970), che non poté accogliere la sua trasformazione quale base per le trattative di adesione alla CEE, tentata da Norvegia e Danimarca. La chiarificazione della posizione svedese, originariamente molto vaga, provocata dalle trattative del 1970, sboccò nella rinuncia del governo Palme (1971) a perseguire l'adesione alla CEE, ritenendosi incompatibile con la neutralità l'obiettivo di unione politica (piano Davignon). Col 1° gennaio 1973 è entrato in vigore l'accordo di libero scambio con la CEE. I rapporti con le superpotenze erano caratterizzati, fra lo scoppio della guerra fredda e la fine degli anni Cinquanta, da clamorosi incidenti con l'URSS; ma poi il dissenso sulla politica statunitense nel Vietnam ha provocato gravi incidenti diplomatici.
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Letteratura. - Nel solco della produzione lirica teatrale e narrativa di P. Lagerkvist (1891-1974), il nordico Battista di tutti i movimenti di avanguardia, e, fino all'ultimo, tenacemente operoso (Ahasverus död, "La morte di Assuero", 1960; Pilgrim påhavet, "Pellegrino sul mare", 1962; Det heliga landet, "Terrasanta", 1964; Mariamne, 1967), prese le mosse il cosiddetto "modernismo" degli anni Quaranta.
È questa forse l'unica novità letteraria del secondo dopoguerra in Svezia. Di novità si parla, è chiaro, solo in riferimento alla situazione letteraria locale, perché, in realtà, ci si trova qui di fronte alle ben note idee politico-letterarie del rivoluzionarismo surrealistico, commiste, come altrove, ad altre suggestioni: dalla deserta visione del mondo evocata da Eliot, agl'incubi onirici di Kafka, dall'inventività linguistica di Joyce, al neorealismo dei prosatori americani.
Già intorno al 1934-35 G. Ekelöf e A. Lundkvist avevano tentato di acclimatare in S. il surrealismo francese pubblicando il periodico Karavan (fra i collaboratori stranieri figuravano lo stesso A. Breton e P. Èluard). Ma se il solo Ekelof (1907-68) è riuscito a esprimere, pur sulla linea di Eliot (del quale usa anche il blank verse), il suo mistico-musicale ideale di poesia dòtta (En Mölna-elegi, "Un'elegia di Mölna", 1960, che pare una reinterpretazione lirica di Ulysses e Finnegans Wake a un tempo), mentre l'orientaleggiante trilogia sul viaggio d'oltretomba, sull'amore e sulla morte, e cioè Diwan över fursten av Emgión, "Divano intorno al principe di Emgión", Vägvisare till underjorden, "Guida all'oltretomba", Sagan om Fatumeh, "La leggenda di Fatumeh", 1965-1967, si svolge nel quadro di note leggende bizantine greche e orientali; altri come E. Lindegren (1910-68) e K. Vennberg (nato nel 1910), pur con varie sfumature, non sono sostanzialmente che abili epigoni della tematica e della tecnica eliotiane (solipsismo e nichilismo esistenziale, esoterismo analogico e allusivo, alternarsi e compenetrarsi di piani temporali e psicologici, di toni lirici e prosaici, comici e tragici) non senza, almeno nel secondo, una vaga esigenza di fede religiosa.
Sovrasta ancor oggi tutti, per la profonda ispirazione, il massimo poeta del Novecento svedese, H. Gullberg (1898-1961), dotato di grande talento formale, nonché di mistico-panteistica visionarità, malgrado l'apparente gioco intellettuale e la maschera clownesca.
Anche nella narrativa come nel teatro sono stati i poeti degli anni Quaranta ad aprire, per riflesso, nuove vie ai giovani prosatori e drammaturghi, certo in concomitanza con gli esempi stranieri: a S. Dagerman (1923-54), a L. Ahlin (nato nel 1915) e a S. Arnér (nato nel 1909), che sia in romanzi sia in drammi hanno alternato e intrecciato ben noti temi dell'isolamento, dell'angoscia, dell'assurdo della condizione umana; a drammaturghi e critici teatrali, scriventi anche per la radio e la TV, come H. Grevenius (nato nel 1901), che per lo più tratta, in chiave popolareggiante, fatti e conflitti di povera gente della capitale, o a K.R. Gierow (nato nel 1904), che è scrittore più colto e forbito, alternante, nella sua vasta produzione, commedie e drammi in versi di tipo eliotiano, con sempre vivo senso per i problemi spirituali del nostro tempo.
Con questa generazione di poeti e prosatori, che si è affermata intorno al 1940, si ha l'impressione che una fase della letteratura svedese e nordica in generale si sia conclusa dopo aver toccato le punte estreme della sperimentazione linguistica. Gli scrittori odierni, che si muovono nel solco aperto da altri, esasperano i motivi più problematici e paradossali della poesia degli anni Quaranta in ricerche tecniche prive di ogni forma autonoma.
Malgrado l'assegnazione carismatica del Nobel (1974) ai due narratori "proletari", che non si possono non ascrivere alla moderna sperimentazione - H. Martinson, nato nel 1904, anzitutto per il suo epos fantascientifico in versi sulla fuga dell'uomo, su una nave spaziale, dalla terra contaminata (Aniara, 1956); ed E. Johnson, (1900-1976), per i suoi numerosi romanzi fortemente ideologici - queste due personalità artistiche permettono entrambe di misurare la distanza che le separa dai novissimi.
Giudicando dagli spericolati tentativi degli ultimi decenni e prescindendo da qualche saggio di sempre vegeto paesanismo (Å. Wassing, nato nel 1919; Dödgrävarens pojke, "Il figlio del becchino", 1958; S. Lidman, nata nel 1923, evocatrice di ambienti e costumi dell'estremo Nord, ma presto passata al romanzo-saggio, o meglio al romanzo-reportage: Jag och min son, "Io e mio figlio", 1961; Med fem diamanter, "Con cinque diamanti", 1964; Samtal i Hanoi, "Conversazioni a Hanoi", 1966; Gruva, "Miniera", 1968; B. Trotzig, nata nel 1929, En berättelse fran kusten, "Un racconto dalla costa", 1961), si può dire che la narrativa svedese ha oscillato tra l'imitazione del nouveau roman francese (per es. T. Ekbom, nato nel 1938: Signalspelet, "Il gioco dei segnali", 1965; P.O. Sundman, nato nel 1922: Expeditionen, "La spedizione", 1962) e la polemica ideologica.
Tra i romanzieri e saggisti impegnati nei problemi politico-morali dell'oggi ne vanno anzitutto segnalati due: L. Gyllensten (nato nel 1921), attento osservatore e accanito censore delle ideologie e dei dogmi intellettuali del nostro tempo in vista di una disponibilità purtroppo tutta astratta e velleitaria (Nihilistiskt credo, 1964) che appare invece più persuasivo quando si fa in concreto a difendere i valori dell'individuo dalle sopraffazioni della civiltà di massa (per es. in Juvenilia, 1965, e in Diarium spirituale, 1968); e L. Forssell (nato nel 1928), che, traduttore di Eliot e di Pound, è versatile scrittore di lirica, di narrativa, di teatro in chiave assurdista, e rappresenta una diffusa tendenza letteraria.
Sul piano dei ludi letterari e dei frettolosi programmi di giornalisti-scrittori di formazione accademica e di tendenza socialistoide si è perfino avuto il tentativo di reazione alla nebulosità del simbolismo surrealista da parte dei cosiddetti "neosemplici" (nyenkla) capeggiati da G. Palm (nato nel 1931) e L. Bäckström (nato nel 1925) e insieme dei "concretisti" (il termine è tolto all'arte afigurale di Kandinskij e ai fonomontaggi di P. Schaeffer) capeggiati da B.E. Johnson (nato nel 1936); ma con i risultati teorizzati da L. Gustafsson (nato nel 1936) di far naufragare cultura e arte nel caos del relativismo, dato il grande influsso di L. Wittgenstein.
Né hanno tardato a farsi sentire le conseguenze di questa situazione. A un polo sta nella prosa narrativa P.O. Enquist (nato nel 1934) con il romanzo-collage Hess (1966), che è una storia estremamente ambigua. Hess è sì il noto nazista tedesco, ma è anche qualsiasi altro individuo vero o fittizio; tutte le possibilità e tutte le impossibilità a un tempo, quasi come in una visione onirica. All'altro polo la lirica di M. Johansson (nata nel 1930), i cui componimenti ermetici si reggono spesso su puri giochi verbali asemantici.
Bibl.: E.N. Tigerstedt, Svensk litteraturhistoria, Stoccolma 19673; M. Gabrieli, Storia della letteratura della Scandinavia, Firenze-Milano 19692.
Architettura. - È nel 1930 che la S. si affaccia quasi all'improvviso con una straordinaria maturità sulle scene dell'architettura internazionale. In quell'anno infatti si apre l'esposizione di Stoccolma, ove G. Asplund (1885-1940) "che fino allora aveva prediletto un raffinato classicismo, come scrisse il Pevsner, trovò la strada di uno stile senza peso e trasparente... [fondato su uno] stretto intreccio fra lo spazio esterno ed interno... sulla delicata bellezza di elementi di acciaio lasciati scoperti". In realtà la stupita ammirazione che i padiglioni di Stoccolma suscitarono all'epoca dipendeva indubbiamente da una scarsa conoscenza dei precedenti che avevano consentito simili risultati.
L'architettura svedese, sin dalla fine del Settecento, aveva puntualmente interpretato, e tradotto in termini di spazio e di immagini delle funzioni, la dialettica, tipica della cultura nazionale, tra i poli contrapposti di un'amorevole attenzione alle esigenze della vita quotidiana e di una tensione ideale verso una ridistribuzione della fruizione del territorio in senso sociale. Non è qui possibile, neppure per sommi capi, rifare la storia delle vicende politiche ed economiche attraverso le quali la S. ha raggiunto una particolarissima condizione di equilibrio dinamico tra interessi privati, difesa delle libertà individuali e sicurezza sociale; tuttavia questo quadro dev'essere costantemente tenuto presente, se si vuole intendere correttamente il significato delle esperienze architettoniche susseguitesi nell'ultimo quarantennio. Solo così, nomi come quelli di Asplund, di S. Markelius (1889-1973), di R. Erskine (nato nel 1914), trovano per la propria opera una collocazione che ne spiega le motivazioni strutturali, e che consente pertanto di coglierne, anche al di là dei risultati strettamente formali, la lezione metodologica. La ricchissima attività di carattere urbanistico, che marca le vicende svedesi fin dall'inizio del secolo, e che culmina nella pianificazione di Stoccolma (1962) e nella sperimentazione dei cosiddetti "settori urbani" (Vällingby, Farsta, ecc.), coinvolge senza distinzioni le migliori forze della cultura architettonica; gli scopi di questi esperimenti condotti coerentemente su larga scala non vengono probabilmente raggiunti: se le città e i territori urbanizzati della S. attuale risultano indubbiamente ordinati ed efficienti, la gestione di essi sfugge comunque a quella partecipazione collettiva che era annunciata nei propositi. Tuttavia, l'impegno che un simile sforzo ha comportato lascia nell'elaborazione degli oggetti architettonici singoli una traccia irreversibile.
Se negli anni tra il 1930 e il 1955 circa l'architettura svedese aveva dato luogo a ciò che fu definito come "nuovo empirismo", a causa di un ritorno dalle impassibili stereometrie del razionalismo a un'attenzione per i dati della psicologia individuale, concretata nell'uso di materiali naturali, di tipologie edilizie variate e alternate, di inserti naturali nel tessuto costruito - questa, che era sembrata, soprattutto all'estero, e particolarmente in Italia, una strada per porre l'architettura al servizio di una politica di riforme, si rivela presto un modo di evadere dalla realtà per rifugiarsi in un romantico e decadente intimismo. Tuttavia, gli architetti svedesi, abbandonata l'esperienza neoempirica, ritornano ai grandi temi, che sono propri della migliore tradizione del Movimento Moderno, di una quantificazione della qualità e di una critica alle distorsioni sociali attraverso il linguaggio specifico dell'architettura. Troppo ricca e troppo articolata è la storia delle esperienze architettoniche svedesi dall'ultima guerra in poi perché sia possibile ripercorrerla, anche brevemente, in tutte le sue vicissitudini.
Rammenteremo pertanto le opere che in qualche maniera riassumano in sé i momenti-chiave di tale processo: l'ampliamento del Municipio di Göbeborg, di Asplund, del 1937; il crematorio di Enskede dello stesso, 1935-40; il padiglione svedese all'esposizione di New York, di Markelius, del 1939; le case a stella a Gröndal, di S. Backström e L. Reinius, del 1946; la sede dei sindacati di Stoccolma, di Markelius, del 1945-60; quella di Linköping, ancora di Markelius, del 1946-52; la chiesa di Björkhagen, di S. Lewerentz, del 1961; le abitazioni Barberaren a Sandviken, di Erskine, del 1962-72; le residenze universitarie Clare Hall a Cambridge, sempre di Erskine, del 1968-69. Se questi, ristretti agli esempi linguisticamente più rappresentativi, sono i contributi di maestri che esercitano l'architettura ancora in senso tradizionale, ma cercando di ricavarne i motivi dalle contraddizioni e dalle difficoltà della realtà socio-politica, una schiera di più giovani architetti, da M. Ahlgren a T. Olsson, da S. Silow fino ad Arton e ad altri giovanissimi, vengono tentando di trasformare definitivamente l'esercizio della disciplina in un servizio tecnico della comunità. Con esiti promettenti, e tuttavia da verificare. Vedi tav. f.t.
Bibl.: E. Cornell, Ny Svensk Byggnadskonst, Stoccolma 1950; G.E. Kidder Smith, Sweden Builds, New York-Stoccolma 1950, Londra 1957 (con bibl.); S. Ray, L'architettura moderna nei paesi scandinavi, Bologna 1965 (con bibl.); L'architecture d'aujourd'hui, 134 (1967); S. Ray, Il contributo svedese all'architettura contemporanea e l'opera di Sven Markelius, Roma 1969 (con bibl.); id., Itinerario nell'architettura di Ralph Erskine, in L'architettura, 229 (19747.
Arti Figurative. - La visione ottimistica della vita che aveva caratterizzato il cromatismo romantico degli anni Trenta, perdurò fino alla fine della guerra in artisti come, tra gli altri, C. Kylberg (1978-1952), e I. Ivarson (1900-1939) con le loro colorate immagini primitive. La S. infatti non era stata direttamente investita dalla guerra. Ma il paese si era come chiuso in sé stesso, vi si respirava un'atmosfera d'isolamento e di preoccupazione. E così l'arte affabile di B. Hjorth (1894-1968) si caricò di pathos, il culto del colore di S. Erixon (1899-1970) si fece più profondamente complesso, l'impasto cromatico di A. Amelin (1902-1975) e l'arte umanitaria di S. Derkert (1888-1973) e V. Nilsson (1888-1979) vennero sviluppando significati più chiaramente politici.
Anche le tendenze surrealiste si fecero strada in S.: in questa direzione si mossero E. Olsson (n. 1901), le cui figure oniriche si fondono con gli spazi; M.W. Svanberg (n. 1912), le cui opere erotiche, dalla ricca ornamentazione, sono un'esaltazione della donna; C.-O. Hultén (n. 1916), nel cui immaginismo sono presenti sia il realismo che la fantasia metafisica. Durante la guerra si stabilì in S. l'ungherese E. Nemes (n. 1909) portando con sé un linguaggio simbolico quasi barocco e il gusto di una decorazione fastosa con surrealistica esaltazione dei toni.
Ma ciò che caratterizzò maggiormente gli anni Quaranta in S. fu la serietà, la ricerca di qualcosa in cui credere, e, insieme, la ricerca di nuove forme artistiche. R. Sandberg (1902-1972), lo spirituale colorista di un tempo, si volse a forme espressive sempre più classiche, e artisti che in precedenza avevano privilegiato i contenuti descrittivi e narrativi si applicarono a una più rigorosa ricerca formale. Già negli anni Venti e Trenta, V. Eggeling (1880-1925), O.G. Carlsund (1897-1948), e G. Adrian-Nilsson (1884-1965), con il loro purismo e il loro cubismo sintetico, avevano anticipato una visione sperimentale e geometrica. Ma il tentativo, fatto da Carlsund con l'Esposizione di Stoccolma nel 1930, d'introdurre in S. le tendenze post-cubiste internazionali (J. Arp, P.C. Mondrian, F. Léger, ecc.) andò incontro alla più completa incomprensione. Si sarebbe dovuto attendere fino agli anni successivi alla guerra perché il linguaggio delle forme geometriche venisse compreso e le teorie di Carlsund trovassero nuovi seguaci.
Gli anni dell'immediato dopoguerra furono, in campo artistico, estremamente fecondi. Dal generale clima di democrazia che contraddistinse questo periodo, trassero beneficio anche le arti: importante fu, in questo senso, l'approvazione di una legge tesa a promuovere la presenza di opere d'arte negli edifici pubblici. E va ricordata un'esposizione presso il Museo nazionale, con la quale venne incoraggiata l'idea che la produzione artistica "di qualità" - compresa la grafica e soprattutto le litografie policrome - dovesse, anzi potesse, divenire accessibile all'intera nazione. Le associazioni artistiche operarono in questa direzione permettendo al grande pubblico di accostarsi all'arte e di riunirsi intorno ad essa.
Nel dibattito su questi temi, che tenne il campo per un considerevole numero di anni, s'imposero rapidamente i giovani concretisti: citiamo, tra gli altri, L. Rodhe (n. 1916), O. Bonnier (n. 1925), K.A. Pehrson (n. 1921), L. Lindell (n. 1920) e lo scultore A. Jones (1914-1976). La fonte della loro arte era la natura, di cui essi analizzavano gli elementi per astrarli in figurazioni ritmiche che, prestandosi anche a composizioni di grandi dimensioni, ben si adattavano alle esigenze dei "Progetti di arte pubblica". L'arte così scopriva di avere una funzione sociale. Tra gli scultori, E. Grate (n. 1896) utilizzava surrealisticamente emblemi mistici, B. Hjorth si rifaceva alle origini popolari e naïves, mentre B. Marklund (1907-1977) realizzava opere di forte drammaticità. Vi era, in questo periodo, un generale interesse per la psicologia della Gestalt e per i problemi spaziali: gli artisti erano alla ricerca, nel campo della visione, di un'arte concreta pura da porre in interrelazione con la musica, l'architettura, ecc.
Soltanto all'inizio degli anni Cinquanta critica e pubblico scoprirono l'esistenza di un espressionismo pittorico. Nei lavori di E. Lundquist (n. 1904), l'impasto conferiva dimensioni monumentali a oggetti quotidiani e a particolari del mondo naturale. Gli stessi motivi ricorrevano nell'opera di T. Renqvist (n. 1924), trattati però con un'intensità cromatica e lineare. In entrambi gli artisti vi è il senso di un potere spirituale intrinseco agli oggetti rappresentati, una sorta di mistica concentrazione. Ciò è evidente anche nell'opera di S. Hallström (1914-1976), mentre con A. Lindberg (n. 1905) ci si trova di fronte a un artista alla ricerca della pura fisicità dell'oggetto e, allo stesso tempo, di contenuti intellettuali.
La scultura degli anni Cinquanta tendeva spesso a un'astrazione espressionistica avente come punto di partenza la forma umana. Le sculture di A. Arle erano spesso giocate su membra umane e sfere, quelle di M. Holmgren (1921-1969) su relazioni spaziali tra figure, mentre quelle di K.-G. Bejemark (n. 1922) si potrebbero descrivere come bande di ferro simili a figure erette. W. Örskov (n. 1920) si dedicava alla ricerca e alla sperimentazione di forme e qualità fondamentali (spazio, volume e movimento); altrettanto faceva P.O. Ultvedt (n. 1927), ma attraverso la costruzione di mobili, assurdi meccanismi. S. Derkert continuava a sviluppare un linearismo espressivo nei suoi spogli, intensi disegni. Si può osservare, in generale, che, per gli espressionisti degli anni Cinquanta, sono gli stessi media, la pennellata, la trama del dipinto ad avere un'importanza centrale. L'arte informale che da questa tendenza prese l'avvio, pose, in larga misura, come proprio oggetto, lo stesso atto creativo. Nel corso degli anni Cinquanta gran parte della pittura espresse un "caos controllato". Le opere di E. Brand (n. 1922) e di R. Jansson (n. 1918) erano fatte di luce, di aria e di forme fluttuanti, la pittura di "simboli" di R. Hagberg (n. 1924) s'ispirava alla calligrafia dell'Estremo Oriente. L'elegante, ironico C.F. Reuterswärd (n. 1934) e Fahlström (1928-1976) avevano in comune un mondo d'immagini e un procedimento di tipo cinematografico. Alla fine degli anni Cinquanta anche E. Nemes conglomerava figure e segni in forme ambigue e sfaccettate. Questi elementi, all'inizio degli anni Sessanta, si fecero sempre più realistici: i dipinti, in questo periodo, erano spesso composti di contraddittori elementi di realtà. Nel 1962 la Pop art americana fu esposta, per la prima volta, al Museo di arte moderna di Stoccolma: con essa, gli oggetti della vita quotidiana facevano il loro ingresso nell'arte. Pur non dando impulso al formarsi di un equivalente svedese della Pop art, questa agì, comunque, come elemento di rottura delle rigide compartimentazioni delle varie forme d'arte - sotto forma di happenings, di composizioni che riunivano elementi visivi, testuali e sonori - e come stimolo a un dibattito su cosa fosse veramente l'arte. Artisti che avevano precedentemente operato in uno spirito spontaneistico-espressionistico, si sentivano ora autorizzati alla creazione di divertite opere d'arte, capaci di far ridere o sorridere lo spettatore, cosa davvero insolita nell'arte svedese.
Questo momento ludico e, con esso, un certo ottimismo nei confronti del futuro, furono seguiti, verso la metà degli anni Sessanta, da un atteggiamento critico nei confronti del mondo artificiale della società consumistica. Molti artisti vollero fornire qualcosa di alternativo rispetto a un'arte divenuta status symbol o bene d'investimento. L'arte - se si poteva ancora usare tale termine - doveva divenire un atto creativo che "chiunque" potesse realizzare. Anche per influenza del Maggio parigino del 1968, l'arte sviluppò un più tangibile contenuto politico.
Quando questi artisti scoprirono che, al di fuori della realtà delle ricche nazioni industriali, ne esisteva un'altra, quella di un mondo oppresso e sfruttato, fu tutto un susseguirsi di esibizioni di radicalismo politico, dirette soprattutto contro il cosiddetto imperialismo statunitense. Molti artisti non cercavano più di esprimere, con i loro dipinti, vaghi e astratti sentimenti ma, nella persuasione di poter contribuire a cambiare il mondo, si davano alla creazione di opere di "protesta", spesso con l'ausilio della fotografia come rappresentazione esatta della realtà. J. Franzén (n. 1942) individuava i feticci della nuova era americana nell'automobile e nella motocicletta. O. Billgren (n. 1940) utilizzava fotografie di realtà apparentemente banali, che copiava meticolosamente con la tecnica virtuosistica degli antichi maestri. R. Friberg (n. 1934) disegnava interni ed esterni come terribili visioni da "giorno del giudizio", mentre l'opera di J. Hȧfström (n. 1937) era fatta di stratificazioni del passato, in forma di monumenti, reminiscenze e associazioni. Artisti grafici come P. von Schantz (n. 1928) e N. G. Stenquist (n. 1934) praticavano un realismo ambiguo. Il confine tra pittura e scultura, intanto, si faceva sempre meno netto. Alla fine degli anni Sessanta, T. Renqvist (n. 1924) cominciava a realizzare sculture in legno cariche di contenuto mitologico. Altri, come per es. S. Lindblom (n. 1931), U. Samuelsson (n. 1935) ed E. Höste (n. 1930), creavano ambienti di "esperienza" globale, che erano, in parte, frutto di commesse pubbliche.
All'inizio degli anni Settanta, sono ricomparsi sulla scena i pittori "soggettivi". L. Cronquist (n. 1938) e numerosi altri hanno dipinto i propri autoritratti e i propri sentimenti più intimi, rendendosi conto che la verità non sta solo nel documento fotografico. vedi tav. f.t.
Bibl.: G. Lilja, Svenskt måleri under 1900-talet, Stoccolma 1968; E. Wretholm, Moderna svenska Konstnärer, ivi 1969 (1973); R. Söderberg, Den svenska Konsten under 1900-talet, ivi 1970; Beate Sydhoff, Bildkonsten i Norden, V, 1973; O. Granath, Konsten i Sverige efter 1945, ivi 1975.