allevaménto degli animali Attività (e relative strutture) per la gestione, il mantenimento e la riproduzione di animali domestici (mammiferi, uccelli e pesci) al fine di sfruttamento economico (produzione di carne e grasso, di latte, di pelli, di pellicce, di uova ecc.). Il bestiame allevato appartiene per lo più ai Mammiferi e agli Uccelli, ma anche agli Insetti (ape, baco da seta).
L'uomo neolitico già allevava in domesticità alcune specie di animali. Vi sono elementi sufficientemente attendibili per ritenere che la prima specie addomesticata sia stata il cane. I romani allevavano quasi tutte le specie di animali domestici, ma soprattutto i bovini, e possedevano un vasto complesso di cognizioni, molte delle quali dovevano trovare sviluppo e conferma nella moderna scienza zootecnica. Nel Medioevo l'arte dell'a. del bestiame compì scarsi progressi. Il Rinascimento segnò un risveglio anche nell'a. del bestiame e in particolar modo del cavallo. Il periodo tra la fine del 18° e l'inizio del 19° sec. è particolarmente importante perché la produzione animale venne assumendo un'importanza crescente nell'economia dei paesi più evoluti: gli allevatori di questi paesi dedicarono al miglioramento delle varie razze di animali domestici cure che dovevano portare alla formazione delle più rinomate razze di animali oggi allevate.
Per far fronte all'accresciuta domanda di carne, i processi produttivi sono stati ammodernati e razionalizzati, traducendosi spesso in un'autentica industrializzazione del settore. Per es., sono nate le industrie dell'a. senza terra, in ambiente chiuso e al riparo dall'influenza dei fattori climatici. I notevoli progressi della meccanizzazione e dell'ingegneria agraria e l'introduzione dell'informatica hanno permesso gli a. intensivi in ambienti capaci di fornire elevate garanzie igieniche, con distribuzione degli alimenti effettuata automaticamente. Dopo un periodo di grande sviluppo degli a. intensivi, però, il maggiore interesse per le problematiche ambientali e il diffondersi di patologie correlate con questo tipo di a. hanno favorito l'orientamento verso modelli produttivi maggiormente rispettosi dell'ambiente e degli animali stessi (a. estensivi).
approfondimento di Gaia Seller
Da millenni gli animali rappresentano una risorsa alimentare ed energetica importantissima per l'uomo. Le prime zone interessate all'allevamento furono le stesse che videro la nascita dell'agricoltura ('). Essenziali ad assicurare la sopravvivenza dei villaggi di epoca neolitica, poichè garantivano il rifornimento di cibo, pelli e pellicce, con l'evolversi della civiltà gli animali divennero anche una merce di scambio. Importanti fornitori di materie prime per attività industriali e artigianali, come la lana e le pelli, gli animali da allevamento sono stati la più importante fonte di energia (dall'attività nei campi al trasporto di merci e persone) fino all'invenzione del motore a scoppio.
L'attuale distribuzione geografica dei capi di bestiame è in parte dovuta all'opera dell'uomo, che nel corso dei millenni ha allevato e selezionato determinate specie, in base alle condizioni climatiche e alle convenzioni alimentari e religiose.
Gli ovini sono particolarmente diffusi in Australia e Cina (paesi che detengono il primato mondiale degli allevamenti), mentre i caprini in Cina e India (sono infatti animali semplici da allevare, che non hanno bisogno di ricchi pascoli e si adattano a luoghi impervi e a climi rigidi). I bovini sono diffusissimi in India (dove questi animali sono considerati sacri e pertanto non fanno parte dell'alimentazione umana), Brasile, Argentina, Australia e negli Stati Uniti. I volatili (il cui allevamento non richiede cure particolari) sono serviti sulle tavole di tutto il mondo; nel continente africano sono spesso l'unico tipo di proteina animale. L'allevamento del maiale ha risentito di dettami e convenzioni religiose: è considerato impuro nell'Islam, sacro in Nuova Guinea e nelle Nuove Ebridi ed è largamente diffuso in Europa e Asia (particolarmente in Cina). Il cavallo, allevato in Europa, Asia e America Settentrionale, trova, nei paesi andini, degni sostituti nel lama e nell'alpaca, mentre in tutta l'Africa settentrionale nel Medio Oriente le sue funzioni sono svolte da cammelli e dromedari.
Lo sviluppo dell'allevamento intensivo di bovini è stato per lungo tempo ostacolato dalle caratteristiche del clima e del terreno. In molte zone agricole mediterranee, la prolungata siccità estiva limitava considerevolmente la disponibilità di pascolo naturale, né era possibile integrarlo con granaglie e foraggio, a causa delle basse rese agricole. Diversa era la situazione di ovini e caprini, più piccoli e facili da gestire, e con minori esigenze nutrizionali. Particolarmente difficile era l'allevamento del cavallo, che richiedeva grandi quantità di cibo e di spazio, e la cui presenza nell'economia agricola dei paesi dell'Europa del Nord era indice di un maggiore sviluppo tecnico e di migliori rese agricole. La bonifica di terreni paludosi, i nuovi metodi di allevamento di stalla e l'uso di mangimi chimici ridimensionarono, nella prima metà del Novecento, la fame di terreni da adibire al pascolo, consentendo una rapida crescita del settore. L'allevamento intensivo, adottato negli ultimi cinquant'anni dalla maggioranza dei paesi industrializzati, ha determinato una costante riduzione del prezzo della carne e dei prodotti caseari, entrati ormai, almeno in Occidente, a far parte della dieta quotidiana di un'ampia fetta di popolazione. Questi successi hanno a lungo messo in secondo piano i danni arrecati all'uomo e all'ambiente. Come l'agricoltura, anche l'allevamento intensivo richiede un'elevata quantità di energia (sotto forma di elettricità e di combustibili) e di acqua (necessaria ad abbeverare le mandrie) e contribuisce ad accrescere l'inquinamento. I farmaci di sintesi somministrati agli animali (necessari per accelerare la crescita, curare le malattie e inibire i comportamenti violenti) e i prodotti chimici usati per incrementare le produzioni foraggiere inquinano l'ambiente: una volta sparsi sui campi (sotto forma di deiezioni) come fertilizzanti, entrano a far parte della nostra catena alimentare.
A partire dal 1996, l'interesse dell'opinione pubblica si è focalizzato sulla salute dei capi di bestiame e sul funzionamento dei grandi allevamenti. Proprio in quell'anno, in Gran Bretagna gli scienziati rivelarono che l'encefalopatia spongiforme bovina (la cosiddetta malattia della mucca pazza, i cui primi casi certi risalivano al 1985) poteva trasmettersi anche all'uomo, attraverso la manipolazione e l'ingerimento di carne infetta. I paesi più colpiti sono stati l'Inghilterra (157 casi) e la Francia (14), mentre in Italia si sono registrati due casi. Le misure precauzionali introdotte dai governi europei e statunitensi e volte a esercitare un controllo sulla carne prodotta (eliminazione di milioni di capi bovini, embarghi doganali verso i paesi maggiormente a rischio, divieto di alimentare il bestiame con farine animali e ormoni e introduzione di sistemi di tracciabilità dell'origine dei prodotti immessi sul mercato) hanno ottenuto un certo successo. La relativa tranquillità indotta da tale buona riuscita è stata però interrotta dal sopraggiungere di una nuova malattia altamente contagiosa e diffusiva: l'influenza aviaria. I principali focolai sono stati individuati nel Sud-Est asiatico nel 2003. La malattia, portata dagli uccelli migratori, si è diffusa anche in Europa, Sudafrica e Stati Uniti, contagiando in totale 150 milioni di volatili. Lo spettro dell'epidemia (che ha colpito soprattutto gli allevatori) ha nuovamente generato il panico nei consumatori e un crollo delle vendite, che hanno persuaso i ministeri della Salute dei paesi interessati a prendere provvedimenti precauzionali, quali l'introduzione di vaccini, la segregazione dei volatili d'allevamento dagli uccelli migratori e il rigoroso rispetto delle norme igieniche.