In letteratura, uno degli aspetti del comico, che nasce da uno squilibrio, da una sproporzione voluta fra gli elementi rappresentativi (per es., la morte di Morgante nel poema di L. Pulci), o dal contrasto fra la drammaticità, la grandiosità della rappresentazione obiettiva di un personaggio e lo spirito parodistico o satirico nel quale lo scrittore lo immerge o con cui risolve inaspettatamente una situazione non comica (come in alcuni episodi del Don Chisciotte, dei poemi cavallereschi italiani ecc.). Teatro del g. si chiamò, nel primo dopoguerra, per estensione del sottotitolo dato da L. Chiarelli alla sua fortunata commedia La maschera e il volto (1916), tutto un genere di lavori teatrali inteso a ironizzare certi aspetti o situazioni della vita borghese, e del teatro che a questa si era ispirato; ma non tanto per un’esigenza di rinnovamento morale e sociale, quanto per un gioco o divertimento intellettualistico, per un amaro piacere di épater le bourgeois (e a tal fine si valse di motivi e modi propri del futurismo). Sicché il teatro del g., pur presentando alcune affinità con quello di L. Pirandello, di G.B. Shaw e di J.M. Synge, non andò oltre posizioni paradossali, o scivolò verso soluzioni farsesche; e il suo significato, nella storia del teatro italiano, va cercato soprattutto nell’azione negativa, di rottura delle convenzioni sceniche, e nel tentativo di fare tabula rasa del repertorio tradizionale. Oltre la citata commedia di Chiarelli, e altre sue, si ricordano come tipiche di questo teatro: L’uomo che incontrò se stesso (1919) di L. Antonelli, L’uccello del Paradiso e Quella che t’assomiglia (1920) di E. Cavacchioli.