Re di Germania e imperatore del Sacro romano impero (Goslar 1050 - Liegi 1106), figlio dell'imperatore Enrico III e di Agnese di Poitiers. Succedette al padre ancora bambino (1056); diventato maggiorenne, si dedicò con decisione al consolidamento del potere monarchico. Entrato in conflitto con papa Gregorio VII e dato avvio alla lotta per le investiture (dal 1076), fu scomunicato; costretto a riconciliarsi, nel 1077 si recò a Canossa per chiedere perdono al papa. La sua lotta con il papato e con i principi tedeschi si concluse quando fu vinto e deposto dal figlio, Enrico V (1104).
E. cinse bambino, nel 1054, la corona di re di Germania, essendo ancora vivo il padre. Alla morte di questo (1056) gli successe sotto la reggenza della madre, che considerò suo compito principale quello di assicurare al figlio l'appoggio e la fedeltà dei maggiori principi tedeschi. Ma invece di garantire la forza e la preminenza del potere regio, essa lo indebolì: restituì a Goffredo il ducato di Lorena, di cui Enrico III l'aveva privato; affidò il governo dell'Impero, insieme al ducato di Svevia, a Rodolfo di Rheinfelden, concesse a Bertoldo di Zähringen il ducato di Carinzia e a Ottone di Nordheim quello di Baviera. Il risultato fu un'accesa rivalità tra i principi, di cui alcuni si considerarono posti in svantaggio rispetto ad altri. Pertanto Ottone di Nordheim, in pieno accordo con Annone, arcivescovo di Colonia, decise d'impadronirsi della persona del giovane re per concentrare nelle proprie mani il governo effettivo dell'Impero. Il colpo riuscì: nel 1062 E. fu rapito e portato a Colonia, dove la sua educazione fu curata dall'arcivescovo, il quale assunse il governo dello stato, prima da solo, poi insieme ad Adalberto, arcivescovo di Brema. E., diventato maggiorenne nel 1065, assunse dopo qualche anno personalmente la direzione degli affari. Deciso, spregiudicato, mostrò chiaramente di voler seguire con energia le orme del padre e si accinse vigorosamente alla restaurazione del potere monarchico. La rivolta dei Sassoni, iniziata nel 1073 e alla quale diedero il loro appoggio anche principi laici ed ecclesiastici, fu da lui domata, dopo alterne vicende, nel 1075. In seguito a ciò rivolse a papa Gregorio VII la richiesta di deporre i vescovi ribelli. Il pontefice non solo non acconsentì, ma l'esortò a collaborare nella riforma dei costumi del clero tedesco e vietò agli ecclesiastici l'accettazione dell'investitura laica. Contro questa ingerenza che pareva privarlo di un'arma di governo tra le più potenti, egli reagì con energia: in un sinodo convocato a Worms nel genn. 1076 fece dichiarare dai vescovi e principi tedeschi Gregorio VII indegno della tiara. Il papa rispose con un provvedimento che dava la misura dell'insanabile contrasto tra la Chiesa, quale la concepiva Gregorio VII, e le strutture dell'Impero legate alla Chiesa feudale: E. fu scomunicato e interdetto dal governo dei regni di Germania e d'Italia, vide vacillare paurosamente il proprio trono: parecchi vescovi si allontanarono da lui, i Sassoni si ribellarono di nuovo, gli stessi principi tedeschi riuniti a Treviri lo sospesero dal potere. E. cercò allora abilmente di riconciliarsi col papa e nel gennaio 1077, in veste di penitente, a piedi scalzi, ne ottenne il perdono a Canossa. Non intesero tuttavia riconciliarsi con E. i principi, i quali elessero re il duca Rodolfo di Svevia. E., anziché conformarsi agli accordi di Canossa, dove aveva promesso di sottoporre la controversia con i principi all'arbitrato e alla mediazione del pontefice, affrontò in battaglia il pretendente, lo vinse a Merseburg e proclamò che la sua vittoria valeva come un giudizio di Dio. Nuovamente scomunicato nel 1080, E. replicò con una dichiarazione di deposizione del papa e in un concilio a Bressanone fece eleggere pontefice Guiberto, arcivescovo scomunicato di Ravenna, con il nome di Clemente III. La lotta riprese più accanita che mai. E., venuto in Italia nel 1083, occupò Roma, costrinse Gregorio VII a barricarsi in Castel S. Angelo, fece consacrare l'antipapa Clemente III e si fece da questo incoronare imperatore (1084). Ma mentre il normanno Roberto il Guiscardo riusciva a liberare il pontefice, in Germania gli era stato contrapposto un altro antiré, Ermanno di Lussemburgo. E., allora, rientrato in Germania, fece appello ai sentimenti della nazione tedesca, cercando l'appoggio soprattutto dei borghesi delle città. Diede la corona di Polonia (1086) al duca di Boemia Vratislao, per farselo amico; scomparivano intanto Roberto il Guiscardo, che lasciava una difficile successione, e Gregorio VII; ma E. ritrovò presto un deciso avversario in Urbano II, che neppure lo invitò a prendere parte alla prima crociata da lui bandita. Inoltre, col pretesto di scrupoli religiosi, gli si ribellò (1093) il figlio primogenito Corrado, già designato re di Germania. E. reagì privandolo del trono in favore del secondogenito Enrico, ma anche quest'ultimo si mise contro il padre (1104), dichiarò guerra aperta contro di lui e lo costrinse con la violenza a rinunciare a ogni potere. E., ritiratosi presso il vescovo di Liegi, a lui fedele, annunciò l'intenzione di riprendere la guerra contro il figlio per recuperare la corona, ma alla vigilia di uno scontro tra i due presso Visé, E. morì dopo breve malattia (7 ag. 1106). Cinque anni dopo, in seguito alla revoca della scomunica, ebbe sepoltura nella cattedrale di Spira. La sua lunga lotta, piena di gesti clamorosi, nonostante la tenacia dispiegata, si era conclusa in un insuccesso. Egli aveva difeso ostinatamente il prestigio della sua corona, le prerogative della Chiesa tedesca, ma non aveva capito che la riforma gregoriana, volendo spezzare le catene d'una gerarchia feudale-ecclesiastica, se chiedeva la libertà della Chiesa e l'eliminazione dei prelati corrotti, si poneva, anche su un piano di potenza temporale, in posizione concorrenziale sia per la centralizzazione della gerarchia ecclesiastica, sia per lo stabilirsi di rapporti diretti con le monarchie d'Europa.