Poeta tedesco (Glogau, Slesia, 1616 - ivi 1664); per la poliedricità della sua produzione (fu infatti lirico, epigrammatico, innografo, soprattutto drammaturgo), è l'autore più significativo dell'epoca determinata dalla guerra dei Trent'anni. Centrali nelle sue tragedie sono i temi dell'eroismo e del martirio (Leo Armenius, 1646; Katharina von Georgien, 1647). Nel corso di più generazioni la sua tragedia non trovò seguito: Cardenio und Celinde (1647), per alcuni il suo capolavoro, è il primo, e rimase fino a Lessing, il solo dramma borghese della letteratura tedesca. Scrisse anche commedie e molte liriche, classiche nella struttura e ingegnose nell'uso delle figure retoriche.
Rimasto prestissimo orfano di padre e, poco dopo, anche di madre, riuscì a compiere buoni studî umanistici, da ultimo nel ginnasio di Danzica. Nel 1636 entrò al servizio del conte di Schönborn in qualità di precettore, e trovò in lui un mecenate che, morto nel 1637, gli fornì per volontà testamentaria i mezzi per perfezionare la sua formazione in università straniere. Così, nel 1638, fu prima ad Amsterdam e quindi a Leida, dove poi egli stesso insegnò. Fece ulteriori viaggi in Francia (Parigi) e in Italia (Firenze e Roma), risiedette successivamente a Strasburgo, Stettino e Fraustadt prima di stabilirsi nel 1650, definitivamente, nella natia Glogau quale "sindaco" del locale principato, e si dedicò con impegno all'opera di ricostruzione dopo le tante distruzioni della guerra.
Iniziò, in latino, con due poemetti biblici, Herodis furiae et Rachelis lachrymae (1634) e Dei vindicis impetus et Herodis interitus (1635), premesse per la migliore prova in latino fornita in Olivetum (1648), incentrato sulla lirica drammatizzazione del contrasto Cristo-Giuda. In tedesco esordì con traduzioni (fra l'altro il dramma sulla martire cristiana Felicitas del gesuita Nicolaus Causinus, 1635), ma ben presto anche con proprie composizioni liriche (Sonette, 1637), premessa a una notevole produzione (Sonn- und Feiertagssonette, 1639; Epigramme, 1643; Kirchhofsgedanken, 1656), ov'è ricorrente il componimento concettoso e solenne, classico nella struttura e ingegnoso nella copia di figurazioni, similitudini, antitesi. Il tono fondamentale, specie nei Kirchhofsgedanken, è di desolazione, anzi di orrore, con ricorrenti rilievi insanabilmente pessimistici e anche con aperture di consapevole disposizione a mete trascendenti. Su questa traccia tanto più insiste G. tragediografo, che è anche il G. migliore. Apprendendo da Seneca, da Corneille, dal nederlandese Vondel, anche e più direttamente dai gesuiti, lui che pur era e volle rimanere protestante, formò un suo personale stile drammatico, adeguato ai grandi temi prescelti e all'alta lezione di rassegnata saggezza per loro tramite impartita. Scrisse così il già citato Leo Armenius, riprendendo la storia della rivolta di palazzo ai danni dell'imperatore bizantino Leone V (820); Bewährte Beständigkeit oder Katharina von Georgien (1647), esaltazione dell'attaccamento alla fede oltre ogni più crudele prova; Ermordete Majestät oder Carolus Stuardus (1649), celebrazione della morte del re inglese concepita come martirio; infine, su tutte le sue tragedie rilevante per la conseguita maturità di stile e di ideazione, Grossmütiger Rechtsgelehrter oder Sterbender Ämilius Paulus Papinianus (1659), crudele esaltazione della su blimità del sacrificio in nome di un principio superiore. Anche come commediografo G. fu un isolato, lasciando opere di schietta vivacità e di acuta caratterizzazione, cosa che non contrasta bensì completa la sua tetra concezione dell'esistenza, rilevata ora nei risvolti comici che la caduca umanità presenta: in Absurda comica oder Herr Peter Squentz (1657) schernisce le buffonesche esibizioni di una compagnia di filodrammatici; nei due intermezzi incrociati Das verliebte Gespenst e Die geliebte Dornrose (1661) riprende squarci di vita agreste; in Horribilicribrifax oder Wehlende Liebhaber (1663), suo capolavoro nel genere, aggredisce impietosamente difetti umani emblematici.