Dottrina che si caratterizza per la totale negazione dei valori e dei significati elaborati dai diversi sistemi filosofici.
Il termine (nella forma ted. Nihilismus) comparve in Germania negli ultimi anni del 18° sec. nel corso di polemiche sull’esito della filosofia kantiana ed entrò ampiamente in circolazione con il Sendschreiben an Fichte di F.H. Jacobi del 1799, dove è usato per indicare la conclusione necessariamente assurda e distruttiva di ogni filosofia della pura dimostrazione. Più tardi il termine fu utilizzato per indicare una totale corrosione e caduta dei valori e, di conseguenza, un atteggiamento di disperazione e di rivolta totale. Caratteristica specifica del n., a differenza delle forme di pessimismo o di ateismo consistenti nella negazione di Dio e dei valori, è quella di presentarsi come consapevolezza dell’esito di un processo storico nel corso del quale le certezze e i valori tradizionali si sono andati lentamente, ma inesorabilmente, consumando. In questo senso sono stati ritrovati spunti nichilistici nell’età romantica.
L’insistenza sulla mancanza assoluta di senso della realtà si fa sempre più forte nei primi decenni del 19° sec. tedesco: dall’allucinante quadro della Nachtwachen von Bonaventura (1804, di autore incerto), dove l’uomo è rappresentato come un’inconsapevole marionetta nelle mani di un ‘creatore folle’, alla filosofia di A. Schopenhauer, dove alla negazione kantiana della possibilità della metafisica si sostituisce una metafisica del nulla, fino ai paradossi di M. Stirner; senza contare la diffusione di motivi nichilistici nella poesia e nella letteratura dello Junges Deutschland, il gruppo di scrittori e poeti tedeschi che dopo la rivoluzione del 1830 sentì sempre più l’arte come impegno politico, al quale apparteneva anche K. Gutzkow, autore, nel 1853, di una novella-romanzo intitolata Die Nihilisten.
Nella seconda metà del secolo, mentre il n. si diffondeva ampiamente in Russia, assumendo il carattere di un vero e proprio programma di azione e di vita, in Occidente il n. era posto da F. Nietzsche al centro della problematica filosofica. Da Nietzsche il n. è considerato in una prospettiva assai più ampia e originale delle precedenti. Le radici del n. sono ritrovate nella svolta avutasi in Grecia con Euripide e con Socrate, quando l’aspetto dionisiaco della vita fu sopraffatto e occultato da quello apollineo e si pretese di trovare nell’intelligenza, nella dialettica e nella morale il principio della liberazione dal dolore. Il n. insomma nacque, per Nietzsche, quando l’uomo cominciò a ‘dire di no’ alla vita in nome di criteri razionali ai quali sottoporla, in nome di ‘valori’ contrapposti alla realtà. Platone, il cristianesimo, Kant, lo storicismo hegeliano, il positivismo, il materialismo edonistico e utilitaristico, la democrazia, il socialismo non sono altro che forme storiche attraverso cui si sviluppa e si consuma l’esperienza nichilistica della civiltà europea. Tuttavia, l’annuncio del n. è, per Nietzsche, già un segno di un suo possibile superamento o, più esattamente, si deve distinguere tra un aspetto negativo e uno attivo del n.; il n. infatti non è solo un sintomo di decadenza, ma, nella misura in cui viene alla luce e diventa consapevole, può essere anche un segno di forza, a indicare che l’energia dello spirito è cresciuta a un punto tale che i fini sinora perseguiti sembrano inadeguati, e inizia un ‘contro movimento’ rispetto alla decadenza.
Occorre ricordare come per Nietzsche il possibile superamento del n. avvenga soltanto con un’attività di tipo estetico, inventivo; ogni altra forma di superamento non fa che obbedire a quei motivi moralistici che hanno causato il nichilismo. Questo permette di comprendere i legami profondi tra il n. e l’espressionismo, legami che hanno trovato la formulazione forse più esplicita e significativa negli scritti critici e filosofici di G. Benn. Ma a parte questi sviluppi del n. attivo, sempre in campo estetico, non si può sottovalutare il fatto che senza il n. negativo, come sintomo della decadenza, non si potrebbe comprendere gran parte dell’arte e della letteratura contemporanea, dove il senso della fine di una civiltà millenaria è spesso tematizzato o, comunque, costituisce una componente essenziale.
Più difficile è invece definire i rapporti tra il n. e la filosofia del 20° secolo. Per un verso, infatti, è incontestabile che la nozione di ‘nulla’ ha avuto grande importanza nelle filosofie esistenzialistiche, da K. Jaspers a M. Heidegger a J.-P. Sartre. Per altro verso, però, il pathos apocalittico e la funzione di giudizio storico concernente un destino millenario propri del n. nietzschiano si possono ritrovare efficacemente forse solo in Heidegger e nella sua interpretazione della storia della metafisica, fino a Nietzsche compreso, come progressiva manifestazione del n. derivante dall’oblio dell’essere.
Nella Russia della seconda metà del 19° sec., travagliata da gravi conflitti politici e sociali, il n. fu inizialmente, più che una dottrina ben precisa e definita, uno stato d’animo, un modo di vivere e di sentire delle giovani generazioni, soprattutto di studenti, che aspiravano a un profondo rinnovamento della vita e della società. Caratteristica distintiva di questo tipo di n., divenuto poi largamente noto nella cultura europea attraverso opere come Padri e figli di I.S. Turgenev e I Demoni di F.M. Dostoevskij, è l’entusiastica fiducia nella scienza e l’accettazione del materialismo e del positivismo come strumenti polemici contro ogni forma di cultura tradizionale. Tutto ciò che non può essere verificato sperimentalmente, tutto ciò che non si può trascrivere in termini di ‘forza’ e di ‘materia’ (come diceva il titolo di un famoso libro di L. Büchner, divenuto una sorta di Vangelo per i giovani nichilisti) deve essere relegato nel campo di un ‘romanticismo’ sterile, sorpassato e perfino ridicolo. Si accentuava così anche nel campo dell’arte, soprattutto con D.I. Pisarev e I.G. Černyševskij, la polemica contro ogni estetica che concepisca l’arte come fine a sé stessa e l’affermazione della funzione pedagogica, politica e sociale dell’arte stessa; il n. russo per questo verso si collegava a un ‘realismo’ volto a contrapporre i ‘fatti’ ai valori e agli ideali che avevano sorretto, e illuso, le generazioni precedenti.
Ateismo, cinismo e un immoralismo spesso più teorizzato che vissuto furono le caratteristiche della gioventù nichilista russa, che non tardò a tradurre il suo credo in un’azione politica rivoluzionaria, per lo più di tipo anarchico, non senza perseguire, talvolta, un disegno più vasto e meditato di formazione di un’élite rivoluzionaria critica e illuminata. Questo non significa però che nel n. russo non abbia avuto posto notevole anche l’approfondimento dei problemi morali e religiosi in senso specifico; basti pensare ai Fratelli Karamazov di Dostoevskij, in cui la problematica nichilistica è portata all’estremo, in campo etico-religioso, con la tesi ben nota: se non c’è Dio, tutto è lecito, anche il delitto.