Poeta tedesco (Ansbach, Franconia, 1796 - Siracusa 1835). Riaffermando l'autonomia del fenomeno artistico, considera l'arte la più alta espressione dell'attività creativa dell'uomo, e la vita un godimento della bellezza, pur riconoscendo la necessità di lottare per raggiungerlo. In ciò è insita l'affermazione della più ampia libertà, e da essa muovono l'esaltazione della rivoluzione polacca e dei moti italiani, e l'odio contro Napoleone. Soggiogato dalla brama di ricercare sempre nuove forme di bellezza, P. non sfugge a profondi scoramenti, quando deve riconoscere che la bellezza è la negazione della realtà; tuttavia nell'accettare il godimento che la vita può dare, senza volerne uno più alto, negato agli umani, egli sa ritrovare un'interiore armonia che è anche equilibrio morale. Un'idea morale è dunque per lui la bellezza, e il poeta, nello sforzo costante di chiarire agli uomini la verità, un sacerdote. P. non fu mai poeta popolare, eppure fu a tal punto apprezzato da essere persino considerato il maggior lirico tedesco dopo Goethe.
Educato nella scuola militare di Monaco; insofferente della disciplina militare, passò all'Istituto dei paggi, dove studiò, oltre al latino e al greco, il francese, l'inglese e l'italiano. Nel '14 fu nominato sottotenente e, con questo grado, partecipò alla campagna di Francia del 1815. Ottenuto poi un lungo permesso, soggiornò in Svizzera e nelle Alpi bavaresi, iniziando contemporaneamente lo studio dello spagnolo, dell'arabo e del persiano; frequentò per un anno, nel 1818, l'università di Würzburg e, negli anni successivi, quella di Erlangen, carezzando già il sogno d'un viaggio in Italia, che egli compì, la prima volta, nel 1824, fino a Venezia. P. viaggiò molto anche in Germania, ed ebbe occasione di conoscere, oltre allo Schelling, professore a Erlangen, A.W. Schlegel, Uhland, Arndt, Rückert, Jean Paul e lo stesso Goethe. Nel 1826 tornò in Italia, soggiornando in varie città e, più a lungo, a Firenze, Roma e Napoli; e in Italia, tranne una parentesi di pochi mesi che passò in patria, dopo la morte del padre, trascorse il resto della sua vita, sempre in affannosa ricerca di quiete, spesso angustiato da ristrettezze economiche, quasi dimenticato dai suoi connazionali, amareggiatissimo da mille contrarietà e soprattutto dagli attacchi dell'Immermann e dalla volgare accusa scagliatagli dal Heine. Nell'auturmo del 1835 fu di nuovo in Sicilia; a Siracusa, dove infieriva il colera, cadde gravemente malato. Qui, precocemente consunto nel fisico e psicologicamente disadattato a un mondo che disprezzava, morì il 5 dicembre dello stesso anno di colera e fu sepolto, poco lontano dalla città, in un fondo del marchese Landolina che l'aveva amorevolmente accolto e assistito.
Multiforme è l'attività letteraria e artistica di P., iniziata con grande fervore negli anni degli studi universitari. Già allora, cercando una strada sua, egli si entusiasmò per l'antico e per il moderno: e Omero, Orazio e Properzio, Guarini, Calderón e Pope furono di volta in volta i suoi poeti prediletti, come per gli studi storici prese a modello ora Tacito e Sallustio, ora Schiller. Ispirandosi alle idealità romantiche e adeguandosi alla moda della poesia di radice orientale, scrisse una serie di liriche (nelle raccolte Ghaselen, 1821; Lyrische Blätter, 1821; Neue Ghaselen, 1823), che gli valsero la stima di Goethe e lo rivelarono cultore aristocratico della forma, ciò che rimase sua saliente caratteristica e insieme suo limite. Delle sue straordinarie attitudini formali aveva già dato prova nelle prime delle sue numerose ballate, Der Pilgrim von St. Just (1819) e Das Grab im Busento (1820), in seguito assai note anche in Italia per la traduzione che ne diede Carducci, il quale trovava in P. un'affinità per la comune predilezione per le reminescenze storiche. In Italia il suo culto per la bellezza si specificò meglio in chiave classicistica antiromantica, con esiti per lo più raggelati nella loro stessa nobilitata stilizzazione, ma talora anche con autentiche acquisizioni poetiche. È il caso di alcuni dei Sonette aus Venedig (1825), testimonianze di un magistrale rigore compositivo e di rara ricchezza sentimentale, specie nella vena malinconica. Non riuscì a ripetersi nelle commedie satiriche in versi Die verhängnisvolle Gabel (1826) e Der romantische Ödipus (1828), concepite in polemica antiromantica, in particolare contro K. L. Immermann e H. Heine (il quale dal canto suo non gli risparmiò aspre censure). Più felice, per la nota malinconica e quasi già decadentistica che lo contrassegna, il dramma storico Die Liga von Cambrai (1833), legato a una pagina triste della storia della prediletta Venezia. Dettato più dall'amore per Napoli che da vera attitudine alla sintesi storica fu il volume Geschichten des Königreichs Neapel (post., 1838). Postuma apparve la raccolta di Polenlieder (1839), occasionati dalla sfortunata rivolta dei Polacchi contro lo zar di Russia.