Sturm und Drang Movimento culturale e letterario tedesco della seconda metà del 18° sec. (1760-85 ca.) che, con il suo programma di un’integrale rivalutazione dell’irrazionale nella vita e nell’arte in opposizione all’intellettualismo illuministico, rappresenta l’ultima fase del preromanticismo. Preparato dal naturalismo di J.-J. Rousseau, dal pietismo, dalla riabilitazione del sentimento e della fantasia nell’estetica inglese e svizzera, dall’opera rinnovatrice di G.E. Lessing, dalla lirica di F.G. Klopstock, lo S. (letteralmente «sconvolgimento e impeto», dal titolo di un dramma di F.M. Klinger) si annuncia fin dalle sue origini (negli scritti teorici di J.G. Hamann, J.G. Herder, Klopstock) come un ritorno alle fonti della tradizione spirituale tedesca, in polemica con il predominio della cultura francese in Germania. Il mito della natura, già celebrato da A. Haller, E.C. von Kleist, Klopstock, nel nuovo clima spirituale si determina da una parte come sentimento della divinità della natura, quale natura naturante, creatrice inesauribile, senza freno né regola; dall’altra come concetto dell’inevitabilità degli istinti e delle passioni quali necessarie manifestazioni della natura. Motivo dominante dello S. fu appunto il diritto dell’uomo a dare soddisfazione alle sue intime aspirazioni. Lo S. vagheggia così individualità potenti che rompono i vincoli delle leggi e delle convenzioni, le figure dell’uomo di natura, del titano, del superuomo.
In conformità con l’interpretazione deterministica che Herder dà del mondo shakespeariano, fine ultimo del nuovo dramma (il genere letterario cui più frequentemente ricorsero gli Stürmer) non è più l’azione ma la pittura dei caratteri e l’evento provvidenzialmente preordinato da Dio per l’eroe. E come il poeta non è più il sereno artefice del proprio mondo, ma rivive la passione del proprio eroe, l’arte è intima compenetrazione con l’oggetto, è Einfühlung; sola forma adeguata alla nuova visione tragica appare il rapido, incalzante succedersi di situazioni senza uscita, ciascuna in sé conchiusa, eppure tutte precipitanti verso la catastrofe; e il linguaggio si fa esclamazione, grido, imprecazione, o assume nei momenti di alto pathos l’andatura solenne dello stile profetico.
Nel teatro degli Stürmer così concepito si restava inesorabilmente chiusi nel ferreo cerchio del divenire naturale. Per trascendere questo mondo tenebroso e tragico tre vie si aprivano al poeta: la lirica soggettiva; l’idillio e il ritorno alle fonti della poesia popolare e primitiva; la raffigurazione comico-satirica come superamento del tragico attraverso il riso. E appunto in queste direzioni s’incontrano le conquiste più durevoli e più feconde dello S.: i Lieder e gli inni di J.W. Goethe e di J.M.R. Lenz, alcune delle prime liriche filosofiche di J.C.F. Schiller, gli Idyllen di F. Müller e i Volkslieder di Herder, i frammenti dell’Ewiger Jude di Goethe, alcuni caratteri e alcune situazioni delle commedie di Lenz.
Ma su tutto tre opere emergono quale ultima sintesi e integrale espressione del mondo spirituale e poetico dello S.: il Prometheus, il Werther, l’Urfaust di Goethe. D’altronde, con la rappresentazione goethiana di un’umanità tesa fra l’aspirazione titanica verso i cieli vietati e la consapevolezza che l’infinita bellezza e armonia dell’universo è presente e operante nell’uomo, è già in atto il trapasso alla nuova intuizione umanistica e neoclassicistica dell’uomo. In Italia il movimento non ebbe diretti seguaci; ma molti intellettuali nella seconda metà del 18° sec. parteciparono, variamente e in varia misura, della spiritualità di cui esso era l’espressione, soprattutto, ma con una sua personalissima fisionomia, V. Alfieri.