Poeta tedesco (n. 1170 circa - m. 1220 circa). Autore di componimenti epici e di alcune liriche, W. è ricordato soprattutto per il Parzival (1200-10), romanzo cavalleresco, nel senso di fornire con generosità di dettagli interessanti e colorati storie avventurose e anche gioiose, ma soprattutto romanzo filosofico-religioso d'una simbolica edificazione personale, in un itinerario profondamente sentito dallo spirito tedesco, che ha così trovato in W. uno dei suoi autentici interpreti.
Si hanno di lui scarse notizie biografiche, desunte dalle sue stesse opere. Si presume nato in quella che, da lui, oggi si chiama Wolframs-Eschenbach, nella Franconia centrale. Certamente era un laico, forse un "ministeriale", non molto abbiente e costretto quindi a cercare i favori di vari signori, fra i quali di sicuro il langravio Hermann I di Turingia. Pare non abbia avuto un'educazione sistematica, comunque polemizza con poeti "colti" quali, in particolare, Hartmann von Aue e Goffredo di Strasburgo. Rispetto specie a quest'ultimo, poeta dalla forma elegante e scorrevole, predilige uno stile robusto e fantasioso, non discosto dal popolareggiante e dal dialettale esplicito, non scevro neppure da irregolarità, con effetti comunque insoliti e, a quanto pare, assai felici, stando alla gran quantità di manoscritti delle sue celebrate opere epiche. Fra queste il primo posto, non solo in senso cronologico, spetta al Parzival, composto probabilmente fra il 1200 e il 1210. La fonte dichiarata da W. è un misterioso poeta provenzale Kyot, mai documentato e forse quindi sua fittizia invenzione; fonte autentica è invece il Conte dou Graal di Chrétien de Troyes, da cui peraltro W. si discosta notevolmente per l'importanza che assegna alla comunità sacra del Gral, cui accedono solo cavalieri eletti da Dio a custodire la prodigiosa reliquia e a diffonderne nel mondo le virtù santificanti. Centrale è il filone che segue le vicende della vita esemplare di Parzival, che da fanciullo "folle" e ignaro giunge alla dignità di cavaliere del re Artù e a quella somma di re del Gral. Parallelo a questo scorre però anche il filone della vicenda di Gawan, cavaliere anch'egli arturiano ma nel risvolto mondano e cortese. In tal modo si intrecciano e si alternano le due prospettive aperte allo spirito medievale, onde la sapidità e la concretezza d'un poema che esalta le virtù virili della costanza e della fedeltà, con esito infine felice e anzi esaltante della dura battaglia interiore che Parzival deve sostenere per armonizzare l'ideale del vero cavaliere col più alto ideale d'una missione religiosa. Seconda opera epica, scritta probabilmente fra il 1217 e il 1220 e stilisticamente più omogenea, è il Willehalm, che si riallaccia all'epica eroica francese delle chansons de geste, in special modo all'Aliscans che appartiene al ciclo sulle gesta di Guglielmo d'Orange, eroe dell'epoca di Carlomagno, ma poi ritiratosi in un convento e considerato santo. W. descrive la doppia battaglia che il suo eroe conduce contro i Mori avanzanti dalla Spagna, la prima perduta rovinosamente, la seconda invece vinta. La poca chiarezza sul destino di alcuni personaggi fa presumere che il Willehalm sia rimasto incompiuto; oltremodo esplicita rimane però ugualmente l'idea che per intero lo traversa, quella d'un eroe esemplare nell'amore coniugale (ha sposato una saracena battezzata, onde il furore dei non-fedeli) e altrettanto esemplare nei suoi sentimenti di cavaliere cristiano, che combatte per il regno di Dio cui accedano anche gli infedeli in quanto creature di Dio. E se la guerra, che egli pur deve sostenere, comporta uccisioni e sangue, l'ammaestramento che egli ne trae è quello di un'apertura compassionevole. Dello stesso periodo del Willehalm, o di poco successivo, e sicuramente incompiuto, è il terzo poema epico, il Titurel, storia di Sigune, cugina di Parzival, e del suo amato Schionaturandel, che muore nel tentativo di compiere un'impresa al fine di ottenere le grazie della sua bella. Opera relativamente minore, e soprattutto non facilmente decifrabile data la sua frammentarietà, intende forse criticare il codice cavalleresco, che impone al cavaliere sottomissione a ogni volere della sua dama, espressione quindi ancora una volta d'un sentire autonomo di W., tanto più che non si conoscono fonti estranee a questa sua terza e ultima fatica. Accanto a quella epica, minore fu la produzione lirica di W., il quale tuttavia assume anche in questo campo una posizione di rilievo e di modello specie tramite i suoi Tagelieder, in cui arriva anche a parodiare le manifestazioni più tipicamente cortesi e "colte" della lirica del suo tempo. Anche in ciò W. assume una posizione inconfondibile, come figura isolata che grandeggia nel panorama della poesia medievale tedesca nell'epoca della sua massima fioritura.