Stato dell’America Meridionale, confina con il Brasile (a N e NE) e con l’Argentina (a O); a S e a SE si affaccia sul Río de la Plata e sull’Oceano Atlantico. Il confine con l’Argentina è segnato dal fiume omonimo.
Dal punto di vista morfologico, l’Uruguay si presenta come un ampio tavolato (l’altezza media è di 100 m) su cui si elevano, a tratti, bassi sistemi collinari, le cuchillas, che raramente superano i 500 m. Il basamento della regione fa parte del massiccio cristallino del Brasile. I due principali sistemi collinari sono la Cuchilla Grande, a SE, estesa quasi fino al Río de la Plata, e la Cuchilla de Haedo, a NO, digradante verso la valle dell’Uruguay. Da esse si diramano, in diverse direzioni, altre catene minori (Cuchilla del Durazno, del Daymán, del Belén, de Santa Ana ecc.). La costa presenta varie punte rocciose, fra le quali si sono ammassate, in lunghe serie di dune, le sabbie, che spesso, formando cordoni litoranei, hanno separato dal mare delle insenature trasformandole in lagune. La più ampia, la Laguna Mirim, prosegue oltre il confine brasiliano.
I fiumi principali, che scorrono da E verso O, sono l’Uruguay e il Río Negro, suo affluente, il cui bacino occupa circa metà del territorio dello Stato. Altri tributari dell’Uruguay sono il Cuareim e il Queguay Grande; il Río Negro, a sua volta, riceve il Tacuarembó e lo Yi.
Il clima è temperato-caldo costantemente umido, con temperatura media attorno ai 17 °C; le piogge (900 mm di media annua) sono distribuite molto regolarmente durante l’anno, con un massimo in corrispondenza dell’autunno australe.
Il popolamento dell’U., paese privo di risorse minerarie e di terreni adatti all’agricoltura di piantagione, avvenne piuttosto lentamente. I primi insediamenti stabili di coloni bianchi che praticavano l’allevamento del bestiame apparvero solo nel 17° sec. lungo il fiume Uruguay. La colonizzazione bianca portò alla progressiva marginalizzazione delle originarie tribù di amerindi stanziate lungo i principali fiumi, respinte verso l’interno e definitivamente estintesi già nel 1830. Nel 19° sec., grazie anche all’arrivo di consistenti flussi migratori dall’Europa (soprattutto spagnoli e italiani) e, in misura minore, dall’Argentina e dal Brasile, la popolazione, che alla fine del 18° sec. era stimata in sole 30.000 unità, cominciò ad aumentare in misura sostenuta, salendo a 520.000 ab. nel 1883 e a 1.043.000 nel 1908. La corrente migratoria subì una prima battuta d’arresto con la crisi del 1929 e, dopo la Seconda guerra mondiale, per le leggi restrittive imposte all’immigrazione, si arrestò quasi del tutto. La popolazione, tuttavia, ha continuato a crescere notevolmente fra gli anni 1950 e 1970, fino a un rallentamento conseguente all’inversione di tendenza registrata dal tasso naturale, che ha determinato valori di accrescimento più vicini a quelli europei che a quelli dell’America Latina.
L’attuale tasso di crescita (0,4% nel 2009) pone l’U. tra i paesi al mondo a minor incremento demografico. Il tasso di urbanizzazione è estremamente elevato (92%), ma la distribuzione della popolazione risulta irregolare: oltre un terzo di questa, infatti, è concentrato nella capitale, mentre le altre città (tra le maggiori, Salto, Paysandú, Las Piedras) non raggiungono i 100.000 abitanti. Rispetto al resto del continente sudamericano, l’U. si distingue per l’elevata durata media della vita (76 anni), per l’alto tasso di alfabetizzazione degli adulti (97%) e per la contenuta mortalità infantile (11,3‰).
La religione più diffusa è la cattolica (78,3%), con minoranze protestanti ed ebraiche.
L’U., non possedendo risorse locali di petrolio, carbone o ferro, né industrie pesanti, è sempre stato fortemente dipendente dalle importazioni. L’esportazione di carne, pelli e lana, diretta prevalentemente verso gli USA e la Gran Bretagna, ha determinato nel paese, fino alla fine degli anni 1950, un periodo di benessere, interrotto solo momentaneamente dalla grande crisi economica del 1929. In quel periodo, la prosperità economica e un’avanzata legislazione in materia di diritti civili avevano reso l’U. uno dei paesi più ricchi e moderni del continente sudamericano. Alla fine degli anni 1950, la concorrenza di nuovi produttori di lana e bestiame, la crisi dell’industria della conservazione della carne (all’epoca una delle poche industrie del paese), il costo ormai insostenibile del wel;fare state cominciarono a scalfire la posizione economica del paese. Negli anni 1970, un complesso di avvenimenti interni (il terrorismo, il colpo di Stato militare, le continue svalutazioni della moneta, il mancato ammodernamento del comparto agricolo e zootecnico, la debolezza della struttura industriale) e internazionali (aumento del costo dei prodotti petroliferi e chiusura del mercato europeo alle importazioni dall’U.) acuirono i problemi esistenti, aprendo una lunga e profonda fase di recessione. Nel decennio successivo, con l’appoggio del Fondo monetario internazionale, il nuovo governo democratico intraprese un’azione di risanamento economico i cui punti forti erano la privatizzazione delle imprese statali, il contenimento della spesa pubblica, l’apertura al capitale straniero, l’avvio di grandi opere pubbliche e, soprattutto, di progetti di sfruttamento delle enormi potenzialità idroelettriche del paese. Gli anni 1990 hanno visto un notevole sviluppo dell’industria, grazie sia agli aiuti internazionali sia alla creazione di zone franche per i prodotti destinati all’esportazione. L’afflusso di capitali stranieri, attratti dalla tutela del segreto bancario, ha reso Montevideo un centro finanziario di primaria importanza. Tuttavia, nei primi anni del 21° sec. l’economia uruguaiana, coinvolta nella grave recessione di Argentina e Brasile, ha subito il radicale crollo delle esportazioni, la crescita dell’inflazione e l’impennata della disoccupazione. Gli sforzi compiuti dal governo negli anni 2003-07 per contenere la fase recessiva e rilanciare l’economia del paese sono stati in parte vanificati dagli effetti della crisi mondiale del 2008-09.
Le attività rurali, praticate in aziende di grandi dimensioni, occupano circa i 4/5 del territorio e assorbono il 9% della popolazione attiva, contribuendo al PIL per il 9,5% (2009). Le principali produzioni agricole sono rappresentate dai cereali, primo fra tutti il riso, cui seguono frumento, granoturco, orzo, sorgo e avena. In crescita la produzione delle colture oleifere (soia, girasole, olivo) e della canna da zucchero. Tra le altre colture, diffuse soprattutto nelle zone costiere, vanno ricordate quelle della vite, degli agrumi, delle patate. L’allevamento semibrado, imponente rispetto alle dimensioni del paese, nel 2007 contava 12 milioni di bovini e 11 milioni di ovini. In forte espansione l’allevamento dei volatili. La pesca (108.750 t di pesce sbarcato nel 2007) e le attività connesse si avviano a diventare una voce di rilevo dell’economia. Dal 1995 è attivo il MERCOSUR (Mercado Común del Sur) per favorire il libero scambio di prodotti agricoli fra U., Paraguay, Brasile e Argentina.
Dal sottosuolo si estraggono esclusivamente gesso, talco, quarzo, marmi e graniti. Di grande importanza la produzione di energia idroelettrica (5310 milioni di kWh nel 2006), ricavata soprattutto dagli imponenti sbarramenti costruiti lungo il Río Negro. L’industria concorre per il 22,5% alla formazione del PIL e occupa il 15% della popolazione. I settori più importanti sono: l’agroalimentare, in particolare la lavorazione dello zucchero e della birra, il tessile (lanifici e cotonifici), le fibre artificiali e sintetiche, la gomma (pneumatici), il tabacco e, in misura minore, la pasta di legno, la carta, l’acciaio.
Le più importanti attività terziarie (il settore dei servizi occupa il 76% della popolazione attiva e contribuisce al PIL per il 68%), in particolare quelle finanziarie, sono concentrate nella capitale. Un’elevata quota di addetti al terziario (il 60% circa) trova impiego nella pubblica amministrazione. Notevole il contributo del settore turistico nella formazione del reddito nazionale; molto praticato il turismo balneare (Punta del Este e Piriápolis), con forte presenza di Argentini e Brasiliani. La bilancia commerciale, per lungo tempo in attivo, è in passivo dagli anni 1990. Brasile e Argentina sono i principali partner commerciali, seguiti da Cina, Stati Uniti, Germania e Paraguay. I prodotti agroalimentari rappresentano la principale voce delle esportazioni seguiti da quelli tessili. Il paese importa soprattutto macchinari, mezzi di trasporto, prodotti chimici, combustibili e minerali.
La rete delle comunicazioni stradali e ferroviarie, incentrata sulla capitale, si apre a ventaglio fino ai confini dell’Argentina e del Brasile, raccordandosi alle reti dei due paesi. L’estensione della rete ferroviaria era di 3003 km nel 2006, quella della rete stradale di 8730 km. Montevideo è il porto più attrezzato del paese e gestisce la quasi totalità degli scambi.
Popolata da indi Charrúa, visitata per la prima volta dallo spagnolo J. Díaz de Solís nel 1516, la regione posta tra l’Atlantico e la riva orientale del fiume Uruguay (chiamata per questo motivo dagli Spagnoli Banda Oriental) per molti anni non conobbe seri tentativi di colonizzazione. Durante il 17° sec. nel territorio, ricompreso nella provincia del Río de la Plata, fu introdotto l’allevamento di bovini e ovini; con la fondazione di Colonia del Sacramento da parte dei Portoghesi (1680), la Banda Oriental divenne oggetto di contesa tra questi e gli Spagnoli, che nel 1726 crearono il presidio di Montevideo e con la Pace di San Ildefonso (1777) videro riconosciuta la propria sovranità sulla regione. Parte del vicereame del Río de la Plata, la Banda Oriental fu sottoposta amministrativamente a Buenos Aires, nei confronti della quale sorsero presto dei motivi di risentimento; anche per questo la provincia rimase inizialmente fedele alla Spagna quando Buenos Aires depose il viceré e istituì un’autonoma giunta di governo (maggio 1810).
Nel febbraio 1811 un movimento indipendentista sostenuto da Buenos Aires e guidato da J.G. Artigas promosse un’insurrezione antispagnola; ben presto però gli insorti furono costretti a combattere non solo contro i realisti, asserragliati a Montevideo, ma anche contro i Portoghesi e contro le stesse truppe di Buenos Aires, che considerava la Banda Oriental una sua provincia e rifiutava i principi federalisti propugnati da Artigas. Riuscito a imporre la sua autorità sull’intero territorio orientale solo al principio del 1815, Artigas aprì i porti ai commercianti stranieri e distribuì le terre sottratte ai realisti ai suoi soldati. Un nuovo intervento portoghese lo costrinse però a una difficile guerriglia e nel 1821 la Banda Oriental fu incorporata all’Impero portoghese con il nome di Estado Cisplatino, divenendo l’anno seguente una provincia del Brasile indipendente.
Nel 1825 J.A. Lavalleja alla testa di pochi uomini entrò in territorio orientale e riuscì a sconfiggere i Brasiliani e a proclamare l’adesione della regione alle Province unite del Río de la Plata; ne seguì un conflitto tra queste e il Brasile, risolto con la nascita di uno Stato cuscinetto tra i due potenti vicini, la República Oriental del Uruguay.
I primi anni di vita dell’U. indipendente furono caratterizzati dal contrasto tra i caudillos J.F. Rivera (liberale, esponente del ceto mercantile e dell’alta burocrazia urbana, presidente nel 1830-35) e M. Oribe (conservatore, espressione dei grandi proprietari terrieri e allevatori dell’interno, presidente nel 1835-38), i cui seguaci furono detti rispettivamente colorados e blancos. La rivalità fra i due sfociò in una guerra (1838-51), cui parteciparono anche l’Argentina, a sostegno di Oribe, e Brasile, Francia e Gran Bretagna, schierati con Rivera. Conclusa con la vittoria dei colorados, la guerra lasciò il paese in condizioni economiche disastrose. Nel 1865 Brasile e Argentina aiutarono nella conquista del potere il colorado V. Flores in cambio dell’entrata in guerra dell’U. contro il Paraguay (1865-70). I presidenti che dal 1868 succedettero a Flores, tutti espressi dal Partido Colorado (PC), non seppero impedire la crescente influenza sulla vita pubblica di alcuni caudillos provinciali, alle cui violenze pose fine nel 1875 con un colpo di Stato l’esercito, che rimase al potere sino al 1890.
Nel periodo di governo dei colorados seguito alla parentesi militare si verificò una graduale ascesa dei ceti medi, delle cui esigenze si fece portatrice la corrente del PC che faceva capo a J. Batlle y Ordóñez, presidente nel 1903-07 e nel 1911-15. Questi promosse numerose riforme che fecero dell’U. uno dei paesi più avanzati del continente americano, lo svincolarono parzialmente dalla tutela economica britannica e tolsero parte del potere all’oligarchia allevatrice, finanziaria e commerciale. Nel 1919 una nuova Costituzione introdusse il suffragio universale e attenuò il tradizionale presidenzialismo.
Con la Prima guerra mondiale, nella quale si schierò a fianco degli Alleati, l’U. conobbe una fase di grande espansione economica, ma la crisi del 1929 determinò grandi difficoltà, accompagnate da una svolta autoritaria: nel 1933 G. Terra, presidente dal 1931, assunse la dittatura provvisoria. Proseguita con A. Baldomir (1938-43), la parentesi autoritaria terminò con la presidenza di J.H. Amézaga (1943-48), che nel 1945 ruppe le relazioni con la Germania e il Giappone. Dopo la Seconda guerra mondiale il paese conobbe una fase di sviluppo e di stabilità, cui alla metà degli anni 1950 seguì un periodo di recessione.
Nel 1958 salirono al governo i blancos (o Partido Nacional, PN). Di fronte al perdurare della crisi, dilagarono gli scioperi che continuarono anche dopo il ritorno del PC al governo nel 1966. Il degrado delle condizioni di vita favorì la crescita del movimento di guerriglia urbana dei tupamaros (➔ Túpac Amaru) e nel 1972 il nuovo presidente M. Bordaberry decretò lo ‘stato di guerra interna’, affidando all’esercito la lotta ai tupamaros. Nel 1973 fu instaurato un regime militare, che nel 1976 sostituì Bordaberry con A. Méndez. La dittatura diede all’U. il triste primato mondiale della più alta percentuale di prigionieri politici in rapporto alla popolazione, mentre le condizioni economiche peggioravano ulteriormente. Il ritorno alla democrazia si ebbe con le elezioni del 1984, vinte dal colorado J.M. Sanguinetti, che dovette affrontare il difficile nodo della riconciliazione nazionale. Gli scarsi risultati colti dal PC in politica economica favorirono nel 1989 la vittoria del blanco L.A. Lacalle, ma nel 1994 si ebbe il ritorno alla presidenza di Sanguinetti. Le elezioni sancirono anche la fine del monopolio politico dei partiti tradizionali e l’affermarsi all’opposizione delle forze di sinistra, presentatesi sotto la denominazione di Encuentro Progresista (EP).
La crescita delle forze di opposizione emerse clamorosamente nelle elezioni del 1999, quando il Frente amplio-Encuentro progresista divenne il primo partito sia alla Camera sia al Senato. Nelle contemporanee presidenziali il candidato delle sinistre R. Tabaré Vázquez fu però sconfitto nel ballottaggio dal candidato colorado J. Battle. Tra il 2001 e il 2002 il paese conobbe una nuova crisi economica legata al tracollo dell’economia argentina e le elezioni del 2004 videro l’affermazione delle sinistre: Tabaré Vázquez divenne presidente con un programma basato sulla difesa del welfare e sull’inversione dell’indirizzo liberista degli anni precedenti. Nel 2010 gli è subentrato l’ex guerrigliero tupamaro J. Mujica. Alle elezioni presidenziali e legislative tenutesi nell'ottobre 2014, si è affermato come primo partito il Frente amplio, ponendo il suo candidato, l'ex presidente Tabaré Vázquez, in una posizione di vantaggio rispetto al candidato del Partido Nacional L. Lacalle Pou. Al ballottagio tenutosi nel novembre dello stesso anno Tabaré Vázquez, avendo ottenuto il 53,6% dei voti contro il 41,1% dello sfidante, è stato eletto nuovamente presidente, incarico che ricopre dal marzo 2015. Le consultazioni presidenziali svoltesi nell'ottobre 2019 hanno registrato l'affermazione al primo turno del candidato del Frente amplio D. Martín, che ha ottenuto il 38,6% delle preferenze contro il 28,2% aggiudicatosi dal candidato di centrodestra del Partido Nacional L.A. Lacalle Pou, risultato vincitore di stretta misura al ballottaggio e subentrato nella carica dal marzo 2020 a Tabaré Vázquez.
L’U. si offre come l’esempio più interessante di un paese nel quale la creazione di un senso di identità nazionale fu l’elemento determinante per lo sviluppo del romanzo storico. Già nel 1848 lo scrittore A. Magariños Cervantes pubblicò l’opera Caramurù, ambientata al tempo della battaglia di Ituzaingé, in cui furono sconfitti i Brasiliani. Molto più ambiziose furono le intenzioni del suo seguace E. Acevedo Díaz, che, con la sua trilogia di romanzi epici nazionali sul periodo della liberazione, si propose di dare inizio a una tradizione eroica, quella del gaucho, che contribuisse alla formazione di un sentimento nazionale. In seguito, mentre con J.E. Rodó nasceva la saggistica, si ebbe tra gli scrittori uruguaiani un risveglio d’interesse per la provincia. Due di essi, C. Reyles e J. de Viana, sono i cospicui rappresentanti di due diverse tendenze: con Reyles, un ricco possidente, si giunge alla idealizzazione della vita sana e pacifica dei campi; mentre in Viana se ne ha una realistica descrizione di povertà e sordidezza. La natura acquista notevole suggestione nelle narrazioni di H. Quiroga, nei cui racconti l’ambiente naturale è qualcosa di più di uno sfondo sul quale si compie il dramma umano.
Agli inizi del 19° sec. B. Hidalgo può essere considerato l’iniziatore della poetica ‘gauchesca’; più tardi la poesia si ispirò a quella spagnola, in particolare, dal 1830 al 1865, a quella romantica. Per influenza dei brasiliani e di alcuni argentini dell’epoca, che trassero ispirazione da argomenti locali e cercarono di riflettere nelle opere la natura dei propri paesi, il già citato Magariños Cervantes tentò un genere più nazionale. In seguito, J. Zorrilla de San Martín e altri più moderni accentuarono nella poesia la tendenza più indipendente, senza tralasciare di riflettere influenze delle letterature straniere contemporanee.
Alla fine dell’Ottocento il teatro vide la comparsa di un drammaturgo degno di nota, lo scrittore F. Sánchez, le cui commedie, composte in Argentina, furono rappresentate con grande successo a Buenos Aires grazie al fatto che vi si mettevano in luce problemi tipici dell’Argentina e dell’U. e, soprattutto, l’urto fra gli immigrati e il gaucho di vecchio tipo.
I romanzieri più interessanti appartengono tutti al 20° sec.: E. Amorim, J.C. Onetti, F. Hernández con i suoi racconti allucinati e fantastici, M. Benedetti e C. Martínez Moreno. In Benedetti la prosa è contraddistinta da una grande capacità di osservazione. Nei racconti e romanzi di Moreno si trova una cornice di violenza che contrasta con le vite banali dei personaggi. Di grande rilievo l’opera di E. Galeano, passato dal racconto alla denuncia morale e politica. Una voce originale è quella di C. Peri Rossi. Nel teatro del Novecento, notevoli V. Martínez Cuitiño e successivamente J. Langsner, A. Larreta, M. Schinca, C. Maggi, M. Rosencof, ai quali si sono aggiunti autori come J. Blanco, A. Paredes, O. Villegas ed E. Rodríguez Solís. Nella poesia uruguaiana il trapasso dal modernismo all’ultraismo e a tendenze posteriori è segnato da J.J. Casal, F. Silva Valdés, E. Oribe, ed è già completo in J. Herrera y Reissig e in C. Sabat Ercasty; e va ricordato un gruppo di poetesse tra cui le più note sono D. Agustini, J. de Ibarbourou e S. de Ibáñez; inoltre L. Luisi (Polvo de días, 1935), I. Vilariño (La suplicante, 1945), E. de Cáceres (Mar en el mare, 1947), D.I. Russell (Oleaje, 1951). F. Silva Valdés unisce un naturalismo regionalista originale con l’ultramodernismo, ottenendo la sua migliore espressione in Romances chucarros (1938) e Romances del Sur (1939); I. Pereda Valdés predilige il tema delle tradizioni dei neri (Raza negra, 1929; La guitarra de los negros, 1926). Mentre alcuni si tengono fedeli alla tradizione strofica; è anche presente nella poesia uruguaiana il fenomeno di un’aperta ribellione al gusto della forma dell’età precedente, come dimostra la produzione di I. Vitale (La luz de esta memoria, 1949; Cada uno en su noche, 1960).
Negli anni della dittatura, tra il 1973 e il 1984, la repressione, l’esilio e la resistenza interna influenzarono drammaticamente la vita culturale uruguaiana. Tra coloro che in quel periodo abbandonarono il paese, alcuni sono rimasti ancorati alla propria tradizione, come M. Benedetti (Andamios, 1997); altri, come C. Peri Rossi, si sono aperti a nuove suggestioni formali e tematiche (La nave de los locos, 1984; El amor es una droga dura, 1999); altri ancora, come H. Giovanetti Viola ed E. Estrázulas (El ladrón de música, 1983), hanno trasformato l’esilio in una sorta di esperienza iniziatica. L’esilio, inoltre, ha favorito la notorietà internazionale di non pochi autori, come lo stesso Galeano. La fine della dittatura ha portato con sé l’inevitabile risveglio delle coscienze e l’impulso a rileggere la cronaca di quel periodo in chiave di denuncia e testimonianza. Il tentativo di recuperare l’identità frantumata ha stimolato una nuova fioritura del romanzo storico: la conquista, l’epoca coloniale, l’indipendenza divengono oggetto di una riscrittura talora ironica o addirittura grottesca e irriverente, che spesso si apre alla commistione di generi letterari diversi e al pastiche. Di larga fortuna gode anche una narrativa realista e insieme simbolica, incline alla creazione di spazi mitici. Non mancano, inoltre, autori che prediligono la fusione di generi diversi, la contaminazione linguistica e l’amalgama di forme, fonti e temi eterogenei: tra i più significativi, H. Galmés, M. Levrero, R. Prieto, T. Carson, A. Migdal, e i più giovani J.C. Mondragón, H. Burel, F. Loustaunau, R. Courtoisie.
Le vicende politiche hanno influenzato anche la poesia: alla poetica dell’ambiguità, affermatasi negli anni della dittatura, ha fatto seguito una poesia più esplicitamente aperta ai temi dell’esilio e del ritorno in patria (Benedetti: Vientos del exilio, 1982; Las soledades de Babel, 1991) e alle questioni sociali (S. Cabrera). I problemi del proprio tempo si coniugano con tematiche esistenziali nei versi di H.E. Pedemonte (Los días y las sombras, 1987) e di S. Ibargoyen Islas (Historia de sombras, 1983; Cuaderno de Flavia, 1993). Di tono fortemente intimista è la lirica di M. Schinca, attivo anche come drammaturgo, mentre un soggettivismo intriso di temi familiari e quotidiani prevale nell’opera di H. Achugar e di un folto gruppo di poetesse: A. Berenguer, N. Bacelo, C. Maia e M. di Giorgio. Di particolare rilievo la pregnanza metaforica e il rigore stilistico di S. Puig e di Peri Rossi, così come il rifiuto della retorica tradizionale e l’acceso sperimentalismo di E. Fierro (La clave, el tono, 1991; Marcas y señales, 1996). Tra i poeti nati negli anni 1950 è da segnalare E. Milán.
Pochi e di scarso valore artistico sono i reperti sinora trovati in U., per la maggior parte modeste ceramiche d’uso rituale e utilitario, campanuliformi, zoomorfe o antropomorfe, manufatti in pietra ovoidali o biconvessi. I più antichi reperti sono litici; il Nord-Ovest è il centro di massima densità e irradiazione della cultura di Catalán, la cui origine risale a 9000-7000 anni fa. Nelle basse terre dell’U. orientale venne eretta una grande quantità di tumuli (Bañados de San Miguel, Rincón de los Indios, Potrerillo de Laguna Negra, sierra de los Ajos, Isla Negra), a partire da 4000 anni fa. L’insediamento di Cráneo Marcado (Laguna de Castillos) ha restituito una delle datazioni più antiche di ceramica (11°-10° sec. a.C.).
L’architettura del periodo della dominazione spagnola e portoghese ricalca modi europei: i primi progettisti furono ingegneri militari (fortezze portoghesi di San Miguel e di Santa Teresa, nell’Est; a Montevideo, quelle spagnole: La ciudadela, di D. Cardoso, 1742, distrutta; Cerro, di J. Del Pozo y Marquy, 1809) che realizzarono anche edifici religiosi (parrocchiali delle città di San Carlos, di Del Pozo y Marquy, e di Maldonado, di C. Saa y Faria). Al volgere del 18° sec. l’architetto spagnolo T. Toribio introdusse il neoclassicismo (Montevideo: facciata della cattedrale, iniziata da C. Saa y Faria nel 1790; Cabildo, 1804-11). Suo continuatore fu il figlio José (ala dell’ospedale San José y la Caridad, 1825, e casa dei Montero, 1831, sempre a Montevideo).
Con la Repubblica, l’ordinanza del 1829 di abbattimento delle mura di Montevideo (nata come città-fortezza nel 1726) segna un nuovo corso: l’italiano C. Zucchi, di formazione francese, progettò la Plaza Independencia (1837) che connette la Ciudad nueva, tracciata dal generale ingegnere J.M. Reyes nel 1832-33, e la Ciudad vieja, delineata dal capitano ingegnere Domingo Petrarca, il Teatro Solís (1841-56, terminato da F. Garmendia e C. Césari), la casa Elías Gil (1837), poi Palazzo di Giustizia. Dopo la fine della guerra grande (1851), dominò il neoclassicismo introdotto dagli svizzeri Poncini: tra 1857 e 1863 Bernardo portò a termine, a Montevideo, varie opere (cattedrale; ospedale; sistemazione di Plaza Independencia; Cappella della rotonda nel Cimitero centrale); Francesco costruì Nuestra Señora del Pilar (1862) a Paysandú. L’eclettismo è introdotto a Montevideo dal francese V. Rabu (San Francisco, 1865; Capella Jackson, 1871) e dagli uruguaiani I. Pedralbez (case di F. Gómez, 1875, e di A. Berro, 1880, poi Ambasciata d’Argentina) e J. Masquelez (ampliamento dell’ospedale, Caja de Pensiones Militares); vi si riallacciarono l’uruguaiano J.A. Capurro (case Morales, sede del museo J.M. Blanes, 1872; C. de Castro, 1870; A. de Castro, 1885; Ministero degli Affari esteri, 1884) e l’italiano L. Andreoni (Club Uruguay, 1888; ospedale italiano, 1890; stazione centrale, 1890). Con J. Tosi trionfò, sempre a Montevideo, l’art nouveau, primo passo verso il modernismo (quartiere Reus al Sur, progetto 1888; Palazzo Ser, 1888; Hotel Nacional, poi sede universitaria, progetto 1890).
Nelle arti figurative, francescani e gesuiti introdussero opere di soggetto religioso, prevalentemente sculture lignee. Alla fine del 18° e agli inizi del 19° sec. risalgono disegni e acquerelli, eseguiti da artisti giunti in U. al seguito di spedizioni scientifiche o militari, che documentano paesaggio, flora, fauna, usi, costumi, tipi somatici: il francese Dom A.-J. Pernetty; gli inglesi A. Earle e C. Martens; il tedesco A. d’Hastrel; l’italiano F. Brambilla; il franco-brasiliano J.-L. Pallière e il tedesco J. M. Rugendas; nel volume Buenos Aires and Montevideo in a series of pictoresques illustrations taken on the spot (1820) vi sono incisioni di acquerelli di E. Essex Vidal (in U. 1816-18 e 1826-28); il francese A. Ollivier si stabilì in U. nel 1844. Lo spagnolo M. Besnes e Irigoyen e l’italiano C. Gallino introdussero in U. l’arte europea. La prima personalità artistica di spicco fu J.M. Blanes, autore di quadri storici e scene locali. Oltre ai figli Juan Luis e Nicanor, tra i primi scultori nativi, si ricordano E.D. Carbajal e H. Espondaburu. Dopo l’indipendenza (1825) il sentimento nazionale si espresse in opere evocative delle battaglie patriottiche e nei ritratti degli eroi. Con l’immigrazione italiana si diffuse l’interesse per il Rinascimento. Alla fine dell’Ottocento, reagì all’accademismo C.F. Sáez, formatosi in ambiente romano; la scultura del 19° sec. fu dominata da artisti italiani.
C.M. Herrera favorì l’apertura dell’U. all’arte moderna; fu fondatore e primo direttore (1905) del Círculo Fomento de Bellas Artes. Si riscontrano influenze di movimenti europei, prevalentemente francesi, con connotazioni locali e motivi regionali. P. Blanes Viale e M. Beretta contribuirono alla formazione del planismo, che diventò movimento nazionale verso gli anni 1930. L’Associazione Teseo fu centro propulsore di questa corrente, che si espresse con grandi campiture di colore; tra gli esponenti, J. Cúneo (che si firmò Perinetti nelle successive esperienze astratte) e C. de Arzadum. Accenti cubisti si trovano, alla fine degli anni 1920, nelle opere di C. Prevosti, C. Rivello, G. Bellini. Tra i pittori figurativi, R. Barradas, R. Aguerre e A. De Simone. Personalità di rilievo è P. Figari, docente universitario, politico, saggista: fondatore della scuola di Artes y Oficios (poi Universidad del Trabajo), pubblicò Arte, Estética, Ideal (1912) e El arquitecto (1928), dipinse opere dense di contenuti sociali e locali. Dopo il viaggio di D.A. Siqueiros a Montevideo nel 1933, si dedicò al muralismo N. Berdía. I primi sintomi di autonomia nel campo della scultura si manifestano nell’uso di materiali locali: J.M. Ferrari è il primo scultore di rilievo (Monumento all’armata di liberazione del generale San Martín, 1914, montagne argentine di Mendoza); si ricordano poi J.L. Zorrilla de San Martín, J. Belloni e B. Michelena. Con la creazione del Salón nacional de bellas artes (1937) hanno inizio le grandi mostre e si formano diversi gruppi di artisti. Con J. Torres García, tornato dall’Europa nel 1934, la ricerca dell’autoctono trova sincronia con il suo universalismo constructivo (1944) in una sintesi di concreto e astratto, di passato precolombiano e contemporaneità. Nel suo Taller si formano molti artisti: il figlio Augusto, J. Gurvich, E. Ribeiro e suo fratello Alceu, J.U. Alpuy, G. Fonseca, pittore e poi scultore. Anche nell’ambito della scultura rilevante è l’insegnamento di Torres García (Monumento cosmico, 1938, nel parco Rodó di Montevideo). Nella scultura astratta, con la sperimentazione di materiali diversi lavorano G. Cabrera, dal 1946, e M. Freire, attiva anche come pittrice. E. Díaz Yepes e P. Serrano (in U. 1933-54) sono due artisti di notevole importanza. A una generazione più giovane appartengono M. Rabellino e P.C. Costa, scultori che continuano nel campo astratto; A. Alamán fa uso di materiali non convenzionali nella figurazione. Conducono ricerche nell’astrazione i pittori J.P. Costigliolo, pioniere dell’astrattismo geometrico, A. Llorens, J. Verdié, A. Nieto, M. Espínola Gómez, A. Spósito, W. Barcalá, J. Damiani, J. Gamarra, M. Mortarotti, L. Novoa che nel Club Atlético Cerro di Montevideo (iniziato nel 1962) combina pittura, scultura e architettura. Nella pittura figurativa, sulla tradizione di temi e motivi locali, si muovono L.A. Solari, A. Frasconi, che si dedica alla xilografia, C. Páez Vilaró, che dal 1965 lavora alla Plac art (nell’integrazione tra le arti).
Gli anni della dittatura (1973-84) determinarono il rallentamento del dibattito e della ricerca, poi rivolta con maggior libertà a tendenze internazionali, pur nella permanenza di connotazioni regionali; molti artisti proseguirono il loro lavoro all’estero. Tra gli allievi di Torres García si ricordano ancora F. Matto e C. Arden Quin (attivo in Francia); notevoli anche lo scultore W. Díaz Valdéz e il pittore M.A. Battegazzore. A Montevideo, nei giardini ove si trovano l’Edificio Libertad (sede della presidenza della Repubblica) e il monumento a Luis Battle Berres (1966, arch. R. Fresnedo Siri) è il Parque de esculturas (1996), con opere di G. Fonseca, G. Cabrera, S. Pintos, F. Matto, il duo Silveira-Abbondanza (E. Silveira e J. Abbondanza). Determinanti nella ripresa della ricerca artistica sono state a Montevideo la ristrutturazione (1970-86) del Museo nacional de artes visuales (già Museo nacional de bellas artes; arch. C. Testa e L. Delgado) e l’apertura (1988) del Museo della Fondazione Torres García.
L’accentramento della popolazione e della vita nazionale a Montevideo fa sì che si riscontrino nella capitale le problematiche urbanistiche e architettoniche dell’U.; il movimento razionalista ha nell’architetto M. Cravotto uno dei suoi divulgatori e nel Plan regulador di Montevideo (1930-39) la sperimentazione più significativa. Personalità di rilievo è J. Vilamajó, per la sua ricerca neoempirica. Dagli anni 1950 alla scuola razionalista si è contrapposta una tendenza sensibile alle nuove ricerche internazionali, influenzata da F.L. Wright; si ricordano, tra l’altro, N. Bayardo (Cimitero settentrionale di Montevideo, 1962), E. Dieste (Chiesa di Atlantida, 1958; stazione degli autobus di Salto, 1972; centro commerciale a Montevideo, 1982), M. Payssé Reíes (Banco de la Republíca, Punta del Este, 1962). La ricerca architettonica e urbanistica degli ultimi decenni del 20° sec. e dei primi anni del 21° si è volta al recupero e alla conservazione di impianti storici, all’incremento delle aree verdi e alla costruzione di edifici secondo criteri funzionalisti (Hospital Policial di H.E. Benech, M. Marzano, T. Sprechmann, A. Villaamil, 1975-83; Casa Estrázulas a Punta Ballena di H.A. Cagnoli, A. Valenti, A. Silva Montero, 1982) o alla progettazione derivata dai linguaggi e dalle ricerche tecnologiche degli anni 1980 e 1990 (C.A. Ott, Torre delle Telecomunicazioni, Montevideo, 2002; ecc.).
Il sostrato folclorico più antico, legato alle popolazioni dei gruppi Chana-Ciarrua e Tupi-Guaraní, è quasi scomparso con l’insediamento europeo; l’attuale musica popolare è in prevalenza di origine spagnola. Tra le forme di danza sono la mediacaña, il cielito e il vivace pericón (la danza nazionale dell’U.); forme vocali sono il triste, la cifra, la milonga e la vidalita, tutte per voce sola, talora con accompagnamento di chitarra. Un tamburo, diffuso in quattro misure, già utilizzato dalla popolazione nera di Montevideo per una pantomima con musica (candombe) si usa per accompagnare i balli di carnevale. La storia della musica colta comincia in U. dalla seconda metà del 17° secolo. Largamente dipendente dalle contemporanee esperienze europee (importate in particolare da autori come l’austriaco S. Thalberg e lo statunitense L.M. Gottschalk), si sviluppò in particolare grazie all’opera di T. Giribaldi (1847-1930), che compose il primo melodramma uruguaiano, La parisina (1878), L. Ribeiro (1854-1931), autore dell’opera Liropeya (1912), L. Sambucetti (1860-1926), direttore dell’Orchestra Nazionale e autore dell’oratorio San Francisco de Asís, A. Broqua (1876-1946), ricordato per la cantata Tabaré e per l’opera La Cruz del Sur. L. Cluzeau-Mortet (1889-1957), V. Ascone (1897-1979), A. Soriano (1915) e altri svilupparono uno stile di forte impronta nazionale. E. Fabini (1882-1950), C. Cortinas (1890-1918), C. Estrada (1909-1970), B. Reyes, M. Maidanik, R. Storm, L. Campodonico e C. Metrogiovanni figurano tra le personalità più importanti nel panorama della musica contemporanea uruguaiana.