Brasile
L'8 luglio del 1896, presso il civico 57 di rua do Ouvidor a Rio de Janeiro, si ebbe la prima proiezione cinematografica brasiliana. Sempre in rua do Ouvidor, il 31 luglio del 1897 fu aperta la prima sala cinematografica. Nello stesso anno, a opera di un proiezionista ambulante, l'italiano Vittorio di Maio, furono girate in B. le prime sequenze, soggetti alla Lumière di breve durata, capaci di un forte impatto emotivo sul pubblico. Tra i film risalenti alla fine dell'Ottocento vanno ricordate le riprese della famiglia del presidente P. de Moraes nel Palazzo del Catete, mentre nel 1900 le riprese del viaggio del presidente M.F. de Campos Salles nella capitale argentina varcarono i confini del B.; furono proprio i cinegiornali e i reportage infatti i primi documenti cinematografici che giunsero in Europa, annuncio di una bipolarità tra documentari (filmes naturais) e fiction (filmes posadas) che avrebbe caratterizzato l'intera storia del cinema brasiliano.La distribuzione regolare dell'energia elettrica, avviata nel marzo del 1907, consentì lo sviluppo del cinema (solo a Rio de Janeiro nacquero più di venti sale), i cui protagonisti furono imprenditori per lo più di origine italiana, al tempo stesso produttori, distributori ed esercenti. Il primo importante operatore cinematografico fu Antonio Leal, un fotografo portoghese che si dedicò sia alle cine-attualità sia alla realizzazione di film a soggetto. Si associò a tale scopo all'italiano Giuseppe Labanca per fondare la Fotocinematografia Brasileira, prima casa di produzione brasiliana, provvista di uno studio per le riprese e di una sala di proiezione a Rio de Janeiro. In un panorama fino ad allora limitato a soggetti naturali, Leal e Labanca realizzarono così una delle prime fiction cinematografiche, Os estranguladores (1908), diretto da Leal, ricostruzione fedele di un delitto avvenuto due anni prima a Rio de Janeiro. Lo stesso gruppo produsse molti altri film ispirati alla cronaca nera, tra i quali O crime da mala (1908) di Francisco Serrador e Alberto Botelho e Noivado de sangue (1909) diretto da Antonio Serra. Tra il 1907 e il 1910 altri distributori divennero a loro volta produttori: esemplare il sodalizio tra Serrador e A. Botelho, che produssero più di quaranta brevi film musicali. Il loro successo ebbe tra le conseguenze l'aumento della durata dei film: nel 1912 fu proiettato O Guarany di Paulo Benedetti, versione quasi integrale dell'opera di Antonio Carlos Gomes, della durata di circa due ore. Il maggior successo dei primi vent'anni del cinema brasiliano fu Paz e Amor (1910) diretto da Botelho e William Auler.
Nel maggio 1911 fu inaugurato il Cinema Avenida, una sala cinematografica dedicata alla programmazione dei film della società statunitense Vitagraph: fu l'inizio dell'invasione delle produzioni straniere, che vide le statunitensi Vitagraph, Paramount, Fox e Metro Goldwyn Meyer affiancate dalla francese Pathé frères, dalla danese Nordisk e dalle italiane Itala e Cines. Da quel momento si avvertirono i segnali di una crisi, con un considerevole calo della produzione annuale: non si produssero più di sei film per anno della durata massima di un'ora. La produzione tornò a concentrarsi quasi esclusivamente su documentari e cinegiornali, che soddisfacevano le curiosità del pubblico per gli avvenimenti più disparati, dal carnevale (Carnaval do Rio, 1913, di Alberto e Paulino Botelho), all'arrivo di personalità famose (Visita do rei Alberto da Bélgica, 1920, di Igino Bonfioli), alle parate militari (A grande parada militar do Centenario, 1922, di A. Botelho), al calcio (Paulista versus Cariocas, 1925, di P. Botelho), fino agli eventi politici (Washington Luis/Melo Viana, 1926, di Bonfioli). Un'altra fonte di rendita per il cinema nazionale fu in quegli anni la produzione di corto e mediometraggi su alcune delle più importanti famiglie brasiliane; segno che l'élite del Paese vedeva nel cinematografo un mezzo per promuovere sé stessa. Ulteriore indizio di un orientamento volto a costituire e celebrare embrioni di un'identità nazionale è il fatto che i pochi film di finzione girati in questi decenni furono soprattutto riduzioni di opere della letteratura brasiliana.
Nello stesso periodo cominciò tuttavia a delinearsi un cinema diverso da quello prodotto a Rio e a San Paolo, i due maggiori poli cinematografici. Un cinema nato negli anni Dieci e destinato a svilupparsi sensibilmente negli anni Venti, organizzato in 'cicli regionali' centrati sui temi e sulle problematiche delle diverse realtà locali; tra essi il più famoso fu il 'ciclo di Cataguases', iniziato nel 1925 con O cratera e terminato nel 1929 con Sangue mineiro, entrambi diretti da Humberto Mauro, primo regista portatore di un'autentica poetica brasiliana.
Attorno al 1930 nacquero i primi classici del cinema brasiliano, ovviamente muti. I titoli principali sono Braza dormida (1928) e Ganga bruta (1933) di Mauro, film che mostrano come il cinema nazionale si strutturasse sempre più a partire da una matrice narrativa. Dopo la svolta del sonoro con The jazz singer di Alan Crosland (1927), in B. nel 1930 Mário Peixoto girò il suo unico film, Limite, fortemente influenzato dalle avanguardie europee, e in particolare dal Surrealismo, e unanimemente considerato una pietra miliare nella storia del cinema brasiliano.I due principali studi allora attivi erano il Brasil Vita Filmes e la Cinédia, fondata nel 1930 da Adhemar Gonzaga e organizzata secondo il modello verticale delle majors statunitensi che riuniva la produzione, la distribuzione e l'esercizio sotto il controllo di un unico soggetto. Gonzaga, una delle figure più interessanti del cinema brasiliano degli anni Trenta, scritturò nomi di prestigio come Mauro e Almeida Fleming e produsse film di successo, firmando di alcuni anche la regia (Alô, Alô, Brasil!, 1935, insieme a Wallace Downey, Alô, Alô, carnaval!, 1935). Ma soprattutto è da ricordare A voz do carnaval (1933), diretto da Gonzaga e da Mauro, primo film interpretato da Carmen Miranda e prima commedia che aprì le porte alla chanchada, commedia popolare caratterizzata da una comicità rozza e dall'inserimento di numeri musicali. Successi che non evitarono tuttavia alla Cinédia gravi difficoltà finanziarie.La società Brasil Vox Filmes fu fondata nel 1933 dall'attrice Carmen Santos. Nel 1935 cambiò nome in Brasil Vita Filmes e divenne il secondo studio cinematografico brasiliano. Uno dei suoi primi film, Favela dos meus amores (1935) di H. Mauro, fu un grande successo, come anche Cidade-mulher (1936) e Argila (1940), entrambi diretti da Mauro e interpretati da Carmen Santos, e Inconfidência mineira (1948) interpretato e diretto dalla Santos stessa. Anche la storia della Brasil Vita Filmes conobbe vicende alterne.Il problema principale era naturalmente quello del dominio esercitato sul mercato dalle produzioni straniere: nel 1935 Gonzaga partecipò alla fondazione della DFB (Distribuidora de Filmes Brasileiros), che associava i principali produttori per evitare un'inutile concorrenza che danneggiava il cinema nazionale a favore soprattutto della cinematografia statunitense. Nel 1932, durante il governo provvisorio di G. Vargas, entrò in vigore la prima legge sul cinema, che intervenne sulla programmazione nelle sale prevedendo che a ogni lungometraggio straniero venisse abbinato un cortometraggio di produzione nazionale. Fu necessario attendere il 1939 perché fosse varata una legge che stabilisse il numero minimo, uno per anno, di lungometraggi nazionali da proiettare in sala, numero elevato a tre all'anno nel 1946.
Nel 1941 fu fondata una nuova compagnia cinematografica che avrebbe dominato l'intero decennio, l'Atlântida Cinematográfica. Nata per impulso di varie personalità del mondo cinematografico brasiliano, l'Atlântida riuscì a mettere insieme i capitali necessari per costruire uno studio e per equipaggiarlo con un'attrezzatura tecnica di seconda mano, e a produrre documentari e cinegiornali. Nel 1943 produsse il suo primo film, Moleque Tiâo, diretto da José Carlos Burle e interpretato da Grande Othelo. Negli anni successivi garantì continuità alla produzione delle chanchadas, la cui fortuna a sua volta favorì l'emergere di un gruppo di attori che sarebbero divenuti i veri volti cinematografici del B.: Mesquitinha, Oscarito e Grande Othelo. Le chanchadas dell'Atlântida svolsero un ruolo fondamentale nella storia del cinema brasiliano, un ruolo di cui solo molto più tardi si è riconosciuta l'importanza. Nel 1946 la compagnia fu acquistata da Luiz Severiano Ribeiro Jr, il maggior esercente del Paese nonché proprietario della società di distribuzione União Cinematográfica Brasileira.
La crescita economica e la politica modernizzatrice attuata anche sul piano culturale durante la presidenza di J. Kubitschek de Oliveira (1955-1960) ebbero ripercussioni anche sulla produzione cinematografica nazionale, che passò dalla fase 'artigianale' a una più propriamente 'industriale', attenta anche alla qualità tecnica ed estetica dei film. Agli inizi degli anni Cinquanta nacque a San Paolo la compagnia cinematografica Vera Cruz, creata da Franco Zampari e Assis Chateaubriant, che fu la principale interprete di questa transi-zione e che rappresentò la promessa di un nuovo cinema brasiliano, capace di applicare le logiche produttive e commerciali delle majors hollywoodiane. La nascita della Vera Cruz e l'avvento della televisione spinsero l'industria cinematografica, e in particolare l'Atlântida, a migliorare il proprio livello tecnico-organizzativo e a esplorare nuovi filoni. Alla chanchada, la cui struttura elementare fu integrata nei soggetti e nelle sceneggiature, si affiancarono film di satira politica (Matar ou correr, 1954, di Carlos Manga) e parodie dei generi cinematografici statunitensi (Nem Sansão nem Dalila, 1954, parodia del film di Cecil B. DeMille, ancora di Manga). Watson Macedo, principale regista dell'Atlântida, consolidò la coppia più famosa del cinema brasiliano, Oscarito e Grande Othelo, e con loro realizzò Aviso aos navegantes (1950) e Aí vem o barão (1951). Il film che segnò la storia della compagnia fu Carnaval Atlântida (1952) di J.C. Burle, una parodia della chanchada, rappresentata come l'unica possibilità di fare cinema in un Paese dove le grandi produzioni rimanevano irrealizzabili.
Le commedie leggere e musicali cominciarono tuttavia a invecchiare, soprattutto per l'esagerata ripetizione di un linguaggio che appariva sempre più logoro e superato. Iniziava a diffondersi una più estesa coscienza dei problemi che affliggevano il cinema brasiliano, insieme con la consapevolezza che un buon livello tecnico non era di per sé sufficiente a garantire un'estetica culturalmente forte. Il Neorealismo italiano ebbe una profonda influenza sugli intellettuali dell'epoca, e stimolò la nascita di quello che da lì a poco sarebbe diventato il nuovo cinema brasiliano, il Cinema Nôvo (v.), più sensibile alla denuncia sociale.Gli anni Cinquanta furono decisivi per lo sviluppo della città di San Paolo, destinata a svolgere un ruolo egemone nella vita politica e culturale del Paese. La metropoli diede vita a un importante movimento teatrale con la fondazione del Teatro Brasileiro de Comédia e allo sviluppo delle arti plastiche con l'apertura del Museu de Arte Moderna, ma soprattutto a un vero e proprio polo cinematografico costituito, oltre che dalla Vera Cruz, da almeno altri due importanti studi, Maristela e Multifilmes. La Vera Cruz operò un salto di qualità: a dirigerla fu chiamato Alberto Cavalcanti, regista di fama mondiale che fece giungere dall'Europa la sua équipe tecnica; le sue produzioni mostravano un chiaro impianto hollywoodiano, cosa che permise, tra l'altro, di lanciare un vero e proprio star system. I film della Vera Cruz intendevano differenziarsi nettamente dalle commedie carioche dell'Atlântida: uno dei più importanti, O Cangaceiro (1953; O᾽ Cangaceiro ‒ Il brigante), diretto da Lima Barreto, inaugurò il genere del cangaço e vinse un premio al Festival di Cannes dello stesso anno. Nono-stante tutto ciò, l'alto costo delle realizzazioni e l'assenza di una distribuzione propria decretarono, nel 1954, la chiusura della società.
Nel corso del decennio, tanto a Rio de Janeiro quanto a San Paolo, nacque una generazione di nuovi cineasti indipendenti, tra cui emersero Walter Hugo Khouri, che proseguì sul sentiero aperto dalla Vera Cruz realizzando drammi psicologici legati ai modelli del cinema classico, e Nelson Pereira dos Santos che, ispirandosi al cinema neorealista e fuggendo dagli studios, realizzò nel 1955 Rio, quarenta graus, il primo film della trilogia carioca (seguirono Rio, zona norte, 1957, e O justiceiro, 1967) che concorse a rendere visibili i caratteri del paesaggio umano di Rio de Janeiro. Il film fu girato in esterni con costi bassissimi e fu uno dei primi a utilizzare gente della strada come attori. La querelle che nacque intorno alla censura posta sull'opera, fervidamente difesa dagli intellettuali, fu il primo segnale del clima che avrebbe caratterizzato gli anni Sessanta. Pereira dos Santos continuò a cimentarsi nella sperimentazione, gettando le basi del Cinema Nôvo.Un provvedimento concorse a rafforzare il cinema nazionale: la legge del 1959 stabilì che si dovessero proiettare film brasiliani per almeno quarantadue giorni all'anno. Tra la fine degli anni Cinquanta e l'inizio dei Sessanta il cinema cominciò a riflettere sui tratti costitutivi dell'immaginario popolare e della cultura nazionale: furono gli anni del ripensamento ideologico e del nuovo impegno politico e sociale. Nel 1960 il critico Paulo Emilio Salles Gomes presentò al primo Convegno nazionale della critica cinematografica a San Paolo una comunicazione sullo stato della cinematografia brasiliana; nello stesso anno Glauber Rocha iniziò a girare il suo primo lungometraggio, Barravento (1961), un'opera sperimentale sia sul piano cinematografico sia su quello dell'analisi sociale. Il colpo di stato militare (aprile 1964) instaurò una dittatura che censurava quanto non era allineato con il nuovo potere: il primo film che ne subì le conseguenze fu Cabra marcado para morrer di Eduardo Coutinho, la cui lavorazione fu bloccata e poté essere portata a termine solo negli anni Ottanta. Nel 1965, dopo una manifestazione, furono imprigionati Rocha, Joaquim Pedro de Andrade e Mario Carneiro. Perseguitato dal regime e chiamato a esprimere una autonoma posizione teorico-critica in opposizione al dilagante colonialismo culturale, il cinema brasiliano avvertì l'esigenza di interrogarsi sulle proprie origini e di ripercorrere il proprio passato per esprimere una progettualità nuova: la pubblicazione nel 1966 del saggio di P.E. Salles Gomes e Adhemar Gonzaga 70 anos de cinema brasileiro e nell'anno successivo di Brasil em tempo de cinema di Jean-Claude Bernadet ben rappresentarono questa tensione. Già con l'assegnazione della Palma d'oro a Cannes nel 1962 a O pagador de promessas di Anselmo Duarte si ebbe il sentore che il cinema brasiliano stava cambiando e, soprattutto, che stava radicalmente mutando la percezione che il pubblico e la critica straniera avevano di esso. Sempre nel 1962 Paulo César Saraceni, dopo aver studiato al Centro sperimentale di cinematografia di Roma e aver collaborato con registi quali Bernardo Bertolucci e Marco Bellocchio, tornò a Rio de Janeiro e firmò Porto das Caixas e, nel 1965, O desafio, due titoli di spicco del nascente Cinema Nôvo.Gli anni Sessanta videro affermarsi, oltre al Cinema Nôvo, anche un filone che si alimentava al grande bacino del cinema di genere e in particolare all'horror, il cui rappresentante più significativo fu José Mojica Marins, autore di una ventina di film dopo Sina de aventureiro (1957). Fondatore nel 1955 di una casa di produzione, l'Apolo Cinematografica, di una scuola per attori nel 1956, e nel 1964, a San Paolo, di un proprio studio, Marins creò personaggi originali, tra cui il celebre Zé do Caixão, una sorta di Frankenstein tropicale che si esprime in un linguaggio apparentemente incomprensibile, eppure così legato al contesto politico-culturale da essere censurato dal regime militare. Pur rimanendo ai margini della scena cinematografica brasiliana, tutta presa dal Cinema Nôvo, i film di Marins (tra cui sono da citare: À meia-noite levarei sua alma, 1964; Esta noite encarnarei no teu cadaver, 1967; Trilogia do terror, 1967) costituirono un importante riferimento estetico per tutto il cinema degli anni successivi.Il difficile e critico passaggio dagli anni Sessanta agli anni Settanta fu ricco e vibrante di fermenti, idee e movimenti, ma anche, come mai prima di allora, di stridori e contraddizioni. Nel 1968 venne creato il Consiglio superiore di censura per il cinema e Rogério Sganzerla firmò la sua opera prima, O bandido da luz vermelha, che sarebbe divenuto il film-manifesto del Cinema Marginal. Nello stesso anno uscirono O bravo guerreiro di Gustavo Dahl, Fome de amor di Pereira dos Santos e soprattutto Cancer di Rocha (quest'ultimo fu girato a Rio de Janeiro, montato a Cuba e presentato in Italia: in Brasile fu distribuito soltanto quattro anni più tardi). Ancora nel 1968, in uno dei quartieri più malfamati di San Paolo, dove avevano sede gli studi dei produttori di film pornografici, nacque il cosiddetto Cinema do lixo con il film As libertinas di Antonio Lima, Carlos Reichenbach e João Callegaro, una delle molteplici forme espressive, forte e provocatoria, del Cinema Marginal.
Gli anni Settanta furono per il B. gli anni della formazione del pubblico cinematografico. I giovani ebbero la possibilità di conoscere il nuovo cinema internazionale nei cineclub, osteggiati dal regime militare come centri di sovversione. Una novità importante, sotto il profilo di una nuova politica di impresa, fu nel 1969 la nascita dell'agenzia cinematografica governativa Embrafilme (Empresa Brasileira de Filmes), incaricata della coproduzione, del finanziamento e della distribuzione di gran parte dei film prodotti fino al 1990, anno in cui interruppe la sua attività. In questo decennio la produzione brasiliana accrebbe enormemente la sua visibilità: nel 1973, a Gramado, nello Stato di Rio Grande do Sul, nacque il Festival del cinema brasiliano; nel 1975 in Italia, a Pesaro, fu dedicata una grande mostra al Cinema Nôvo; nel 1976 Bruno Barreto realizzò una delle commedie più famose del cinema brasiliano degli anni Settanta, Dona Flor e seus dois maridos (Donna Flor e i suoi due mariti), con una superba interpretazione di Sonia Braga. Due aspetti ben caratterizzano quegli anni: la consacrazione della telenovela (TV Globo con Gabriela, interpretata da Sonia Braga, raggiunse il 70% dell'audience) e l'affermazione del Cinema Marginal (espressione suggerita dal film A margem, 1967, di Ozualdo Candeias), un movimento difficilmente catalogabile con rigide definizioni proprio per la sua natura sfuggente e composita, che racchiuse stili, linguaggi e poetiche diverse. La storica contrapposizione al Cinema Nôvo ne offuscò molti aspetti e lo rese scomodo al punto che per molti anni non si è prodotta una letteratura critica a esso riferita. Il Cinema Marginal fu espressione di un'estetica di rottura verso tutti i modelli precostituiti: fu un cinema non omologato, sperimentale e indipendente anche rispetto alla Nouvelle vague, alla New Wave, al Free Cinema o alla cecoslovacca Nová Vlna. La nuova generazione di cineasti realizzò un cinema che parlava alla città, alla società urbana e al disagio del vivere metropolitano, ponendo al centro delle sue opere non la collettività, come faceva il Cinema Nôvo, ma l'individuo: individui spostati e marginali, solitari, sempre disoccupati e all'occorrenza assassini, personaggi che vivono sul limite, personaggi in rivolta. Esempi significativi sono film come O capitão Bandeira contra o Doutor Moura Brasil (1971) di Antonio Calmon, o Bang Bang (1973) di Andrea Tonacci e cineasti come Júlio Bressane (Matou a família e foi ao cinema, 1969, O anjo nasceu, 1969) e R. Sganzerla.
La fine della dittatura militare (1985) e il ritorno graduale alla democrazia portarono alla luce la reale situazione di un Paese devastato socialmente ed economicamente. Nonostante ciò, i primi anni Ottanta furono per il cinema brasiliano particolarmente produttivi: si superarono i cento film per anno. Tra quelli prodotti, alcuni divennero dei piccoli classici e ottennero un buon successo sul mercato internazionale: Bye bye Brasil (1979) di Carlos Diegues e Na estrada da vida (1980) di Pereira dos Santos. Tra gli altri titoli che concorsero alla buona riuscita del cinema brasiliano sono da citare due opere ispirate al calcio: Asa branca, um sonho brasileiro (1980) di Djalma Limonge Batista e Berengar Pfahl, e Pra frente Brasil (1982) di Roberto Farias, una lettura parallela dei successi calcistici e delle torture inflitte dal regime. Un altro film di denuncia, ben rappresentativo del cinema di impegno del decennio, fu Pixote, a lei do mais fraco (1980; Pixote, la legge del più debole) di Héctor Babenco, crudele favola sull'infanzia emarginata, sui meninos da rua. Tra i temi cui il cinema degli anni Ottanta porse particolare attenzione, oltre all'emigrazione dal Nord-Est verso le grandi città (O homem que virou suco, 1980, di João Batista de Andrade, O baiano fantasma, 1984, di Denoy De Oliveira, A hora da estrela, 1985, di Suzana Amaral) vi sono la questione indigena, la condizione dell'infanzia, le donne. Le donne che, proprio nel decennio, conquistarono visibilità nel cinema anche come registe: Cida Aidar, Eliane Bandeira, Olga Futemma, Regina Jeha, Tania Savietto.Una caratteristica significativa del periodo fu la polarizzazione determinatasi tra i due centri più importanti anche per la produzione cinematografica: San Paolo e Rio de Janeiro. Dal Dipartimento di cinema della Scuola di comunicazioni e arti dell'università di San Paolo uscì un gruppo omogeneo di registi che usufruì di sovvenzioni per la realizzazione del primo lungometraggio. I migliori risultati segnati dalla nuova generazione paulistana furono Cidade oculta (1986) di Chico Botelho, un poliziesco urbano abitato dai personaggi notturni della metropoli, Anjos da noite (1987) di Wilson Barros, un film sulla notte urbana realizzato con frequenti ricorsi al teatro e al video, A dama do cine Shangai (1987) di Guilherme de Almeida Prado, un noir omaggio a Orson Welles; si trattava di un tentativo di documentare la vita metropolitana attraverso gli stilemi del genere, che ben si adattavano alla rappresentazione di quella realtà.
Diversa era la situazione di Rio de Janeiro, dove si sviluppò un cinema dedicato al pubblico giovane: film di pura evasione che raccontavano storie d'amore tra ragazzi, in cui il surf e il rock erano elementi fondamentali. Menino do Rio (1981) di Antonio Calmon segnò gli esordi di questo nuovo filone, arricchito poi da un altro 'classico' del genere dal titolo inequivocabile, Garota dourada (1984), ancora di Calmon, e, nella seconda metà del decennio, da produzioni che rappresentano i primi esempi di film musicali per ragazzi: Tropclip (1984) di Luiz Fernando Goulart, Rádio pirata (1987) e Rock estrela (1986) di Lael Rodrigues, Banana split (1988) di Paulo Sérgio de Almeida, prodotti derivati dai programmi televisivi più seguiti dai giovani e che anticipavano l'estetica dei videoclip. Una segnalazione a parte merita Ivan Cardoso: regista solitario formatosi soprattutto attraverso le serie televisive, gli horror e i b-movies di fantascienza americani degli anni Quaranta e Cinquanta, Cardoso creò il genere cinematografico chiamato terrir (termine nato dalla contrazione delle parole portoghesi terror, terrore e rir, risata) che coniugava i b-movies americani e gli esperimenti stilistici del Cinema Marginal: tra i titoli più rilevanti O segredo da mumia (1982), A sete vampiras (1986), O escorpião escarlate (1989).Gli anni Ottanta rappresentarono così per il cinema brasiliano nel suo complesso il confronto con i diversi mercati, la realizzazione di film rivolti a pubblici specifici, il rapporto con i vari linguaggi audiovisivi, dalla televisione al video. Nel corso del decennio tuttavia, soprattutto a causa del diffondersi della televisione, la ricca produzione degli esordi si impoverì progressivamente fino a toccare uno dei punti più bassi nella storia del cinema nazionale: diminuirono le produzioni e l'affluenza nelle sale. Nonostante ciò, i film prodotti imposero il B. e il suo cinema all'attenzione di pubblico e critica internazionali: non può essere dimenticato O beijo da mulher aranha (1985; Il bacio della donna ragno) di Babenco, interpretato dall'ormai famosa Sonia Braga e tratto da un romanzo di M. Puig.
Gli anni della ricostruzione nazionale, avviata nel Paese con un piano di privatizzazioni e di contenimento della spesa pubblica, sono iniziati per il cinema sotto il segno della crisi. La produzione è continuata a calare considerevolmente (soltanto 24 sono stati i film prodotti nel 1990 e addirittura 17 l'anno successivo), non sono emersi autori nuovi e tra i registi affermati molti hanno rischiato la disoccupazione e hanno cercato un impiego nella televisione o nella pubblicità. Un film interessante come Stelinha (1990) di Miguel Faria Jr, vincitore al Festival di Gramado, rimane un caso isolato.La ripresa si è delineata intorno alla metà del decennio, favorita anche dalla legge del 1994 sui mezzi audiovisivi, che ha permesso alle imprese di destinare il 3% dell'imposta sugli utili al cinema invece che al fisco; due film hanno ottenuto buoni incassi, Lamarca (1993), film biografico di Sérgio Rezende, e Carlota Joaquina, princesa do Brasil (1994), commedia storica di Carla Camurati. Ma il vero rilancio si è avuto due anni dopo, con Tieta do Agreste (1996; Tieta do Brasil) di C. Diegues, tratto dal romanzo di J. Amado e interpretato da Sonia Braga: il film ha segnato il ritorno del cinema brasiliano sugli schermi di tutto il mondo e contemporaneamente quello di Sonia Braga, che mancava da dodici anni dalla scena brasiliana. Importanti per la riaffermazione del cinema nazionale all'estero sono state le nominations all'Oscar come miglior film straniero di O que é isso, companheiro? (1997; 4 giorni a settembre) di B. Barreto, e di Central do Brasil (1997) di Walter Salles Jr. Questi successi hanno garantito la presenza del cinema brasiliano nei circuiti internazionali di distribuzione, anche grazie alla partecipazione di nuovi o ritrovati talenti ai festival cinematografici. Tra i titoli più riusciti del decennio sono da segnalare Baile perfumado (1996) di Paulo Caldas e Lirio Ferreira, Os matadores (1997) e Açao entre amigos (1998) di Beto Brant, Um céu de estrelas (1997) di Tata Amaral, São Jerônimo (1999) di J. Bressane, O viajante (1999) di P. C. Saraceni, due registi, questi ultimi, già attivi nei decenni precedenti nei movimenti del Cinema Nôvo e del Cinema Marginal, a testimonianza di una certa continuità rintracciabile nella frammentarietà che caratterizza la storia del cinema nazionale.Una continuità che può emergere anche se si prende in considerazione l'altro aspetto determinante della produzione cinematografica del Paese: J.-C. Bernadet, riconosciuto critico brasiliano, ha più volte proposto una storia del cinema brasiliano che si concentrasse sui cortometraggi, i cinegiornali e i documentari. Le ragioni di tale proposta sono innanzitutto l'elevato numero di questo genere di produzioni rispetto a quello dei lungometraggi e poi il fatto che esse riflettono in modo diretto le contraddizioni e le tendenze del B. del 20° secolo. O cineasta da selva (1997), realizzato da Aurelio Michiles, è una biografia che unisce finzione e realtà, un omaggio a Silvino Santos, un pioniere del cinema documentario brasiliano la cui opera può rappresentare un'intera generazione di registi, fotografi e cineoperatori che hanno lasciato una vivida testimonianza della realtà brasiliana in continua trasformazione.
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