La variabilità tra gli organismi viventi all’interno di una singola specie (diversità genetica), fra specie diverse e tra ecosistemi (➔ anche diversità). Le specie descritte dalla scienza sono in totale circa 1,75 milioni, mentre il valore di quelle stimate oscilla da 3,63 a più di 111 milioni. Peraltro, le stime risultano incomplete, poiché nuove specie vengono scoperte e aggiunte continuamente al totale generale.
L’importanza della b. consiste nel ruolo che riveste nel mantenere l’equilibrio dinamico della biosfera, contribuendo anche a governare i cicli biogeochimici e a stabilizzare il clima. La b. di un ecosistema o specie ne determina la capacità di reagire e adattarsi a mutamenti e perturbazioni ambientali, quindi, in ultima analisi, ne determina la sopravvivenza. La b., in virtù di fattori biogeografici, non è distribuita in maniera uniforme nella biosfera. Sia nelle terre emerse sia nei mari sono stati identificati, a livello globale, regionale o locale, alcuni centri di maggiore diversità (hot spots; fig.1). Per le risorse forestali, il massimo centro di diversità è la foresta pluviale intertropicale.
Negli ultimi 50 anni molte specie animali e vegetali si sono estinte e molte altre rischiano di estinguersi, impoverendo in tal modo gli ecosistemi di cui facevano parte e spesso minacciando la sopravvivenza dei medesimi. Per es., da rilevamenti eseguiti nell’Ecuador occidentale, si ritiene che la distruzione di oltre il 90% della superficie forestale abbia portato alla scomparsa di circa la metà delle specie vegetali e animali presenti in origine nella regione (fig. 2). Di norma gli ecosistemi, nel loro complesso, hanno una buona capacità di ristabilire l’equilibrio, ma, qualora la perdita di b. dovesse verificarsi con continuità e intensità crescente, esiste un’alta probabilità che vengano a prodursi danni ecologici irreversibili. La perdita di una specie può avere infatti conseguenze più o meno gravi nei confronti delle altre specie dell’ecosistema, in funzione del cosiddetto ‘effetto cascata’. La perdita di b. nel pianeta è dovuta a cause di tipo naturale o antropico. Delle prime fanno parte fenomeni di medio/lungo periodo come il cambiamento climatico o la desertificazione, e fenomeni come le estinzioni di massa o le catastrofi naturali. Tra le seconde, è possibile indicare la crescita della popolazione mondiale e la conseguente pressione sulle risorse naturali, la mancanza di conoscenza degli ecosistemi, scelte politiche poco lungimiranti, i condizionamenti del commercio internazionale, che ha portato i paesi meno industrializzati a sviluppare le sole colture per le quale la domanda è più elevata, la mancanza di adeguate valutazioni economiche sul valore della b. e l’inadeguato accesso al controllo delle risorse naturali per quei gruppi sociali dei paesi in via di sviluppo (come le comunità rurali) che avrebbero un maggiore interesse nella preservazione della biodiversità. Un aspetto, spesso sottovalutato, connesso alla perdita di b., è la conseguente riduzione della diversità culturale, ovvero la varietà di valori, di natura sociologica, etica, religiosa ed etnica, derivanti dai diversi usi della b. e riferibili alla cultura materiale delle popolazioni.
I benefici derivanti dalla b. sono di vario tipo: a) economici: la b. rappresenta una materia prima per l’agricoltura, la medicina e la farmacia, l’industria ecc.; b) ambientali: il mantenimento della qualità degli ecosistemi consente all’uomo di fruire di ‘servizi’ come l’aria pura, l’acqua pulita, la creazione e la protezione del suolo, il controllo di agenti patogeni e il riciclaggio delle scorie; c) ecologici: maggiore è la diversità genetica di una specie, maggiore sarà la capacità per la specie di perpetuarsi; d) derivanti dalle caratteristiche estetiche delle risorse naturali; e) derivanti da motivazioni etiche: il rispetto di ogni forma di vita in virtù della sua esistenza. Visto il ruolo strategico della b., l’uomo ha avvertito l’esigenza di appropriate strategie per la sua conservazione, che possono essere raggruppate in due macrocategorie: in situ, cioè la conservazione di ecosistemi e habitat naturali e il mantenimento e recupero di popolazioni vitali di specie nel loro ambiente naturale e, nel caso di specie domestiche e coltivate, nell’ambiente in cui esse hanno sviluppato le loro caratteristiche proprietà; ex situ, ovvero al di fuori dell’ambiente naturale o dell’ambiente dove la risorsa da conservare ha sviluppato le sue caratteristiche principali. La preferenza accordata dalla comunità scientifica alla conservazione e all’utilizzo delle risorse naturali in situ è dovuta principalmente al fatto che nel suo ambiente naturale la risorsa può continuare, indisturbata, il suo processo di evoluzione. Tuttavia, nonostante la comunità scientifica abbia identificato nella conservazione in situ la principale strategia per la protezione sia delle risorse naturali, sia dei processi umani e naturali che hanno realizzato tale conservazione, per molti anni le strategie di conservazione ex situ hanno rappresentato lo strumento principale per arginare la perdita di diversità biologica nel mondo. Il principale strumento per la conservazione ex situ è rappresentato dalle banche genetiche (➔ accessione agraria).
Il 5 giugno 1992, nel corso della conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente e lo sviluppo, svoltasi a Rio de Janeiro, è stata aperta alla firma una Convenzione sulla diversità biologica. Questa presenta un duplice obiettivo: da un lato, si propone di assicurare la conservazione della diversità biologica attraverso la previsione di interventi per l’identificazione e il controllo delle risorse biologiche; per la loro conservazione in situ, o ex situ, ma di preferenza nel paese di origine, per consentire con maggiore facilità la ripresa delle specie minacciate e il loro reinserimento nell’ecosistema; per la valutazione dell’impatto ambientale di ogni attività che possa avere effetti nocivi sulla b.; per incentivare la ricerca e la formazione scientifica e tecnica. Dall’altro lato, la Convenzione, confermando l’orientamento emerso nel corso della conferenza in tema di sviluppo sostenibile, introduce il concetto di uso sostenibile delle risorse biologiche: queste dovranno essere utilizzate dagli Stati, in base ai loro piani di sviluppo, secondo modalità e a un ritmo che non conduca al loro declino nel lungo periodo. Al tempo stesso, la Convenzione si preoccupa di tutelare la sovranità degli Stati sulle proprie risorse naturali. La Convenzione prevede inoltre che le parti contraenti si riuniscano periodicamente allo scopo di verificare l’applicazione della Convenzione stessa, raccogliere e scambiare informazioni scientifiche.
L’Italia ha ratificato la Convenzione sulla diversità biologica nel 1994, e ha approvato le linee strategiche per l’attuazione della Convenzione e la redazione del piano nazionale sulla b. che prevede due tipologie di azioni: a) conoscenza (inventario); b) sorveglianza (monitoraggio). Per realizzare le strategie di conservazione e utilizzazione sostenibile è necessaria dapprima un’azione di rilevamento, sistematizzazione e mappatura del patrimonio naturale a livello di geni, specie, popolazioni, habitat, biotopi, ecosistemi e paesaggi individuandone le componenti, gli assetti strutturali e i processi funzionali. Successivamente è necessario effettuare un monitoraggio, finalizzato a permettere la conoscenza tempestiva delle variazioni del patrimonio di biodiversità. I primi interventi previsti dal piano nazionale sono rivolti alla conservazione in situ degli ecosistemi, soprattutto attraverso la politica dei parchi e delle aree protette.