(arabo Sāḥil o Sāḥel) Pianura costiera; per estensione, le aree di contatto fra deserto e steppa.
Da alcuni decenni, il termine ha assunto, per antonomasia, il valore di specifica denominazione di un’unica vasta area africana, posta immediatamente a S del Sahara e delimitata approssimativamente dall’isoieta di 250 mm a N e da quella di 500 mm a S, con precipitazioni concentrate in estate; la caratterizzazione del S., in questa accezione, è dunque climatica e, di conseguenza, biogeografica. Il S. in senso geografico si estende dall’Oceano Atlantico al Mar Rosso, per circa 2,5 milioni di km2, fra i paralleli di 12° e 18° N, per una profondità variabile secondo le condizioni climatiche, interessando porzioni più o meno estese di Senegal, Mauritania, Mali, Burkina, Niger, Nigeria, Ciad, Camerun, Sudan, Etiopia ed Eritrea (cui alcuni vorrebbero aggiungere Somalia e Kenya, dove si ripropongono condizioni ambientali analoghe). La vegetazione è di tipo steppico a Nord, a savana arborata a Sud.
Nel S. si pratica l’allevamento, in forme nomadi o seminomadi (capre, dromedari, bovini), nelle sezioni settentrionali, e la cerealicoltura (sorgo, miglio) in quelle meridionali; in prossimità dei pozzi e dei corsi d’acqua perenni, come nell’area del ‘delta interno’ del fiume Niger, l’agricoltura può essere intensiva e riguardare anche produzioni commerciali (cotone, arachidi). Caratteristica tradizionale dell’economia saheliana è la stretta interdipendenza fra allevamento e agricoltura, e quindi fra pastori e contadini, in genere appartenenti a gruppi etnici differenti (berberi o berberizzati i primi; neri, di vari ceppi sudanesi, i secondi).
La popolazione dell’area, benché fortemente aumentata nella seconda metà del 20° sec. (raggiungendo circa i 17 milioni), rimane poco densa, salvo che nelle parti più meridionali e dove è disponibile l’acqua. L’incremento demografico (e del bestiame), a ogni modo, è stato l’elemento che ha reso più drammatici gli effetti di una serie di crisi idriche che si sono succedute nel ventennio 1970-90 e che sono state interpretate come riprova delle ipotesi di progressiva desertificazione del globo (poi ridimensionate proprio dalla ripresa di condizioni pluviometriche normali dal 1990). Si ha notizia di crisi idriche di pari gravità e durata, ma verificatesi in epoche in cui la pressione antropica sul territorio saheliano (indubbiamente assai fragile) era notevolmente minore. Questo più recente periodo siccitoso, invece, specie nei primi anni 1970, ha avuto effetti disastrosi proprio perché ha investito una popolazione probabilmente eccessiva rispetto alle potenzialità dell’area: esso ha provocato la perdita dei raccolti per alcuni anni consecutivi, la morte di decine di migliaia di persone, la distruzione quasi integrale del patrimonio zootecnico, la degradazione rapida e accentuata dei terreni agricoli, lo spostamento (che da temporaneo ha teso a divenire permanente) verso S di quasi tutta la popolazione saheliana, l’aumento improvviso della popolazione urbana, il tracollo dei bilanci statali, l’intervento degli organismi internazionali e l’avvio di tentativi di cooperazione allo sviluppo. In questa occasione si è costituito nel 1973 un Comitato Interstatale per la Lotta contro la Siccità nel S. (CILSS) che riunisce parte degli Stati già elencati (Senegal, Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger, Ciad) e inoltre Capo Verde, Gambia e Guinea-Bissau, costituendo di fatto un 'S. politico', che corrisponde all'accezione oggi più largamente riconosciuta del termine.