Stato dell’Africa orientale, esteso a cavallo dell’equatore. Confina a N con il Sud Sudan e l’Etiopia, a E con la Somalia, a SO con la Tanzania, a O con l’Uganda; per un tratto di 420 km, a SE, si affaccia sull’Oceano Indiano.
La morfologia consente di individuare due tipi di regioni diverse, cioè quella costiera e quella degli altopiani interni, separata, la seconda, dal ramo orientale della grande depressione della Rift Valley, gigantesca fossa tettonica orientata in direzione NS che sprofonda, anche per oltre 1000 m, fino al basamento cristallino degli altopiani, di età precambriana e paleozoica. Il litorale vero e proprio è una striscia più o meno sottile di depositi alluvionali: è morfologicamente vario per la presenza di isole, che stretti bracci di mare separano dalla terraferma, e di prominenze deltizie in corrispondenza dello sbocco in mare dei corsi d’acqua. Procedendo verso l’interno, s’incontra un primo ripiano, elevato mediamente intorno ai 250 m s.l.m., da cui si sale verso il margine orientale della Rift Valley. È questo un tratto del grande sistema estafricano di fratture che si formarono nel Terziario, accompagnate da movimenti verticali di affossamento e sollevamento di blocchi crostali e da effusioni magmatiche alle quali devono la loro origine i possenti coni vulcanici e gli estesi espandimenti lavici. Tra gli edifici vulcanici emergono qui per imponenza e altitudine i coni dei monti Kilimangiaro (5895 m, in Tanzania) e Kenya (5199 m). La possente vetta di rocce effusive di quest’ultimo si erge isolata appena a S dell’equatore su un ampio zoccolo in leggera pendenza, ricoperto da lussureggiante vegetazione pluviale. Il paesaggio cambia quindi rapidamente aspetto scendendo al fondo della fossa tettonica, chiusa spesso tra pareti scoscese e assai ripide, a tratti anche ampia, i cui orli sono dati dal pianoro dei Kikuyu a E e da quello dei Mau a O. A N del ripiano dei Mau e a O del grande affossamento, il rilievo torna a elevarsi oltre i 3000 m; quindi si scende gradualmente fino al livello del Lago Vittoria, di cui solo la sezione nord-orientale spetta al Kenya. Fa parte del paese anche l’estremo lembo meridionale dell’Acrocoro Etiopico, dalle forme tabulari e coperto da steppe e savane.
Come varia è la morfologia, altrettanto varie si presentano le condizioni climatiche, dal punto di vista sia termico sia pluviometrico. In generale si può affermare che il clima del K., grazie anche all’influenza dell’Oceano Indiano, è regolato dal gioco alterno dell’aliseo e del monsone. In sostanza, si hanno piogge abbondanti da marzo a giugno e piogge di durata inferiore da ottobre a dicembre. Un fattore climatico estremamente importante è la tormentata morfologia, per la quale alle minori quantità di precipitazioni dei fondivalle fa riscontro una quantità maggiore lungo i fianchi montuosi esposti al vento, crescente proporzionalmente con l’altezza. Si affianca alla zona intensamente piovosa centro-occidentale anche la cimosa costiera, dove Mombasa totalizza 1200 mm di pioggia annua. Fa contrasto tutta la sezione nord-orientale del paese, che ricade nel dominio del clima tropicale semiarido. La bassa latitudine comporta temperature elevate, che vanno a poco a poco attenuandosi in rapporto all’altimetria, pur mantenendosi sempre debole l’escursione annua.
Dal punto di vista idrografico, il K. risente delle vicende geologiche che alla fine del Terziario hanno sconvolto la rete fluviale preesistente, la quale, fino a oggi, non si è ancora adattata all’attuale morfologia del terreno. I corsi d’acqua sono in genere soggetti a notevoli variazioni di portata: gonfi e rovinosi al tempo delle grandi piogge, quasi asciutti nei periodi con più scarse precipitazioni. Pochi i corsi d’acqua perenni, dei quali il principale è il Tana, che raccoglie gli apporti delle pendici meridionali e orientali del Monte Kenya e sbocca nell’Oceano Indiano a N di Malindi. Numerose sono le aree endoreiche, specialmente nella Rift Valley e nella depressione occupata dal Lago Turkana.
Il quadro etnico è un vero e proprio mosaico, essendo composto da una sessantina di etnie, talora assai differenti tra loro: prevalgono i Bantu, originari dell’Africa centrale, seguiti dai Camiti e dai Niloto-camiti, affluiti (forse 6000-5000 a.C.) dal Nord della Penisola Arabica, accanto a esigui gruppi residuali dei più antichi abitatori del paese. Tra i Bantu, la società più numerosa è quella dei Kikuyu, insediati tra la capitale e il Monte Kenya. Al di fuori delle popolazioni bantu, il gruppo più cospicuo è quello dei Luo, allevatori e agricoltori nilotici della zona del Lago Vittoria. Al ceppo niloto-camitico appartengono i Masai, che, praticando l’allevamento bovino, vivono nella sezione sud-occidentale del paese e sconfinano pure in Tanzania. Nei territori semiaridi nord-orientali parecchie società camitiche (Somali, Galla, Borana ecc.) sono occupate nell’allevamento itinerante. L’elemento non africano è rappresentato da Indiani e Pakistani, immigrati soprattutto al tempo della costruzione della ferrovia e poi divenuti commercianti o imprenditori; al commercio e all’artigianato si dedica la consistente comunità araba, stabilita per lo più nei centri costieri. Fra gli Europei, i discendenti dei farmers (inglesi e sudafricani) che agli inizi del Novecento intrapresero una redditizia attività agricolo-pastorale nelle fertili terre d’altopiano.
I primi dati attendibili sulla consistenza numerica della popolazione vennero forniti dal censimento effettuato dagli Inglesi nel 1931: a tale data il paese contava poco più di 3 milioni di indigeni e circa 70.000 stranieri. Da allora la popolazione è aumentata senza sosta: a 6,6 milioni di unità nel 1953, a 12,5 vent’anni dopo, a 22 milioni all’inizio degli anni 1990, a 39 nel 2009; crescita alla quale ha concorso in misura determinante l’altissima natalità (solo nei primi anni del 2° millennio scesa sotto il 40‰), sempre meno equilibrata da una mortalità in deciso regresso. Il tasso d’incremento annuo si aggira intorno al 2,6% (stima 2009).
Dal punto di vista spaziale, la distribuzione della popolazione, strettamente legata alla varietà delle condizioni climatiche che rendono fertili e adatte all’insediamento umano le alteterre centro-occidentali, risulta assai poco omogenea. A una densità media di 67,2 ab./km2, corrispondono valori assai elevati nelle province di Nairobi, Rift Valley, Central e Nyanza, e, al contrario, assai scarsi nel North-Eastern, Coast ed Eastern. La popolazione urbana è pari al 39% di quella totale; gran parte di essa è concentrata a Nairobi e a Mombasa. Altri importanti nodi della rete urbana sono Nakuru e Kisumu.
Lingua ufficiale è lo swahili; sono diffusi l’inglese e alcuni idiomi locali. Sotto il profilo religioso, gli indigeni in maggioranza professano credenze tradizionali, animiste; dalla costa si è diffuso l’islamismo, portato dagli Arabi e dagli Indiani. Numerosi sono i cristiani, sia protestanti sia cattolici.
La carenza di materie prime minerarie e di fonti energetiche e la dipendenza dalle colture commerciali, esposte alle fluttuazioni dei prezzi internazionali, nonché ai rischi climatici, hanno ostacolato, dopo il conseguimento dell’indipendenza, la formazione di un’economia equilibrata e solida. Altri fattori di ritardo sono ravvisabili nell’incertezza della politica di riforme, che non ha incentivato l’arrivo di capitali esteri, nell’isolamento internazionale durante il regime accentratore di D.A. Moi (1978-2002), nei contrasti politici all’interno del governo, nella povertà diffusa e nelle ricorrenti emergenze alimentari.
L’economia keniota poggia essenzialmente sul settore primario, quantunque il suo apporto alla formazione del prodotto interno lordo (16,5%) vada diminuendo a favore dell’industria (18,7%) e del terziario (65,0%). L’agricoltura di piantagione, praticata con tecniche avanzate da grandi proprietari stranieri e da multinazionali, fornisce una gamma diversificata di prodotti: soprattutto il caffè (48.300 t nel 2006), introdotto nel 1913 e diffuso in particolare negli altopiani che circondano il Monte K., e il tè (il K. ne è il primo produttore africano e il quarto mondiale, con 295.000 t). L’orticoltura e la floricoltura sono state potenziate nei primi anni del nuovo millennio e nel 2005 i loro prodotti, molto richiesti dal mercato internazionale, hanno superato il tè per valore delle esportazioni. Rilevante è pure la produzione di frutta tropicale e di piretro (del quale il K. è il primo produttore mondiale, con 8000 t nel 2005). Le colture di sussistenza più notevoli sono mais, manioca, grano e, nelle zone più aride, sorgo e miglio. Anche nell’allevamento, specie bovino (11,5 milioni di capi), si deve distinguere quello tradizionale indigeno, più numeroso ma in gran parte nomade e di scarso valore economico, i cui prodotti sono assorbiti dal mercato locale, da quello praticato a fini commerciali, con animali selezionati, sui ricchi pascoli dell’altopiano.
Dalle prospezioni geologiche non risulta presenza significativa di importanti risorse minerarie; l’attività estrattiva si limita a modeste quantità di oro, amianto, niobio, caolino. L’ energia idroelettrica soddisfa l’80% del fabbisogno nazionale; un altro 15% è coperto da energia geotermoelettrica. Le attività industriali hanno una rilevanza produttiva e occupazionale tuttora modesta, anche se il settore appare razionalmente strutturato e più avanzato che negli altri paesi dell’area. Nel campo delle attività manifatturiere, in particolare, le più importanti in termini di valore della produzione sono quelle alimentari, chimiche, petrolifere, petrolchimiche.
Piuttosto carente, con ovvie conseguenze per l’economia locale, è il sistema delle comunicazioni. Le ferrovie misurano 1917 km (2005): spina dorsale dell’intera rete è la linea Mombasa-Nairobi. Le strade si sviluppano per circa 64.000 km, di cui 8000 asfaltati, assolutamente insufficienti per uno Stato così vasto, e per di più impraticabili, o quasi, durante la stagione delle piogge. Il porto di Mombasa è uno dei più frequentati dell’Africa orientale. Gli aeroporti principali sono quelli di Nairobi-Kenyatta, Mombasa-Moi, Malindi e Kisumu.
La bilancia commerciale denuncia un passivo cronico e resta soggetta alle ripercussioni derivanti dalle oscillazioni delle quotazioni mondiali di caffè e tè; nell’importazione dominano prodotti industriali e combustibili; nell’esportazione prodotti agricoli (tè, caffè, fiori, frutta). Principali fornitori sono gli Stati Uniti e alcuni dei paesi petroliferi del Vicino e Medio Oriente (Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti); le esportazioni sono dirette soprattutto in paesi limitrofi (Uganda, Tanzania), nel Regno Unito e nei Paesi Bassi. Il contributo del turismo (1,2 milioni di ingressi registrati nel 2005) alla bilancia dei pagamenti è diventato particolarmente consistente a partire dalla metà dell’ultimo decennio del Novecento e può contare su infrastrutture di buon livello e su uno straordinario patrimonio naturale: un vasto sistema di aree protette, che comprende una trentina di parchi nazionali, costituisce la principale attrattiva turistica.
Nei siti di Kanapoi e Allia Bay sono stati rinvenuti alcuni resti di Australopithecus (tra 2 e 3 milioni di anni fa; Australopithecus anamensis). Il genere Paranthropus (1,5-1,9 milioni di anni fa), dall’apparato masticatorio molto più robusto di quello dell’Australopiteco, è presente sulle sponde del Lago Turkana, dove (Koobi Fora) sono stati rinvenuti anche resti di Homo habilis o, secondo B. Wood, di Homo rudolfensis. A Nariokotome, la ricostruzione di uno scheletro ha permesso di identificare la specie Homo ergaster (1,9 milioni di anni fa), cui è associata un’industria litica di tipo più evoluto, l’Acheuleano, che ha perdurato fino a circa 100.000 anni fa. Tra 400.00 e 200.000 anni fa si afferma anche in K. Homo rhodesiensis (siti di Olorgesailie, Kariandusi). L’industria è caratterizzata da bifacciali e hachereaux (tipo di accette) e da strumenti di piccole dimensioni (raschiatoi, sferoidi poliedrici ecc.).
La fascia costiera del K. fu in relazione con gli Arabi e con i Persiani (dall’8° sec.), quindi con i Portoghesi, i quali nel 1505 conquistarono Mombasa e nel 1509 fondarono la Provincia d’Etiopia, con capitale Melinda. Nel 17° sec. il sultano di Zanzibar ampliò il suo dominio sulla costa del Benadir, K. e Tanganica. Nel 1890, a seguito della penetrazione europea in Africa, la Gran Bretagna estese il suo protettorato sull’intero territorio, che fu organizzato come Colonia e protettorato dell’Africa orientale britannica (dal 1920 Colonia e Protettorato del K., sotto un unico governatore residente a Nairobi). La suddivisione del territorio in terre per gli Africani, terre per gli Europei e white highlands, terre della Corona, condussero a una crescente ostilità dell’elemento indigeno, specie Kikuyu, contro gli Inglesi. Questo diffuso malcontento si incanalò nella Kenya african union (disciolta nel 1941), con a capo J. Kenyatta. Nonostante gli Inglesi avessero provveduto all’istituzione di un ministero con la partecipazione dell’elemento nero, parte dei Kikuyu (e soprattutto la setta religiosa dei Mau Mau) ruppero in aperta rivolta armata, a cui gli Inglesi risposero con un’iniziale durezza, che si risolse poi nella concessione dell’autogoverno. Nell’elezioni del 1963 il partito KANU (Kenya African National Union), favorevole a una politica di centralismo, conquistò la maggioranza, contro la KADU (Kenya African Democratic Union), propensa al federalismo. Primo ministro fu Kenyatta, che nel 1964 – quando il paese, che aveva ottenuto l’indipendenza il 12 dicembre 1963, si proclamò repubblica (nell’ambito del Commonwealth) – divenne presidente. La politica del K. indipendente si caratterizzò fin dall’inizio in senso moderato e centralistico, con una politica estera di tendenza filoccidentale. Ciò provocò la nascita di un’opposizione ‘radicale’ attorno a O. Odinga che nel 1966 costituì la KPU (Kenya People’s Union), partito a base prevalentemente luo, sul quale si abbatté la repressione governativa, aprendo la strada al monopartitismo. In quegli stessi anni si inasprirono i rapporti tra gruppi etnici e fu messa in discussione la prevalenza dei Kikuyu; in un clima di tensioni furono assassinati il ministro T. Mboya (1969) e il leader politico J.M. Kariuki.
Alla morte di Kenyatta (nel 1978) fu eletto presidente D. Arap Moi che corso degli anni 1980 consolidò il suo potere facendo approvare dall’Assemblea nazionale una serie di modifiche costituzionali, rafforzative delle prerogative presidenziali rispetto al Parlamento e alla magistratura. Allo stesso tempo veniva varata una riforma del sistema elettorale che accentuava il controllo esercitato sulla vita pubblica dalla KANU, rendendo palese il voto nelle consultazioni primarie per selezionare i candidati alle elezioni. Il malcontento suscitato dal nuovo sistema favorì l’emergere di contrasti all’interno dello stesso partito al governo, sempre più sotto il controllo del gruppo dirigente. La crisi politica scoppiata alla fine del decennio 1980 fu aggravata da violenti scontri tra i differenti gruppi etnici del paese. La richiesta di profonde riforme, avanzata dalle opposizioni organizzatesi soprattutto nel FORD (Forum for the Restoration of Democracy), fu fatta propria anche dai creditori internazionali del K., che sospesero gli aiuti al paese, subordinandoli a una rapida democratizzazione delle strutture politiche. La riforma della Costituzione in senso multipartitico, approvata alla fine del 1991, non valse tuttavia a migliorare la situazione interna. Benché dal 1992 avesse assunto formalmente i caratteri di una democrazia, il paese era ancora governato attraverso un sistema in cui il vecchio personalismo e il clientelismo erano predominanti. Le manifestazioni di protesta contro la politica di Moi si intensificarono, ma a esse il governo rispose con crescente durezza, tanto da attirarsi denunce e condanne da parte di organizzazioni internazionali per la tutela dei diritti umani. Nelle elezioni presidenziali e legislative del dicembre 1997 fu ancora una volta la debolezza dell’opposizione, presentatasi alla prova divisa in nove differenti partiti a schiacciante prevalenza etnica, a mantenere alla KANU la maggioranza e a determinare la quinta conferma di Moi alla presidenza. Tra i candidati suoi avversari, sia nel 1992 sia nel 1997 si presentò, a capo del Democratic Party fondato all’indomani dell’introduzione del multipartitismo, M. Kibaki, già ministro di Kenyatta e per dieci anni, dal 1978 al 1988, vice del suo successore. Presentandosi candidato alle elezioni del 2003 Kibaki poté finalmente prevalere grazie all’appoggio di un’opposizione unita in uno stesso fronte, la National Rainbow Coalition (NARC). Nel 2005 Kibaki propose una nuova Costituzione che fu bocciata da un referendum popolare, segno di una perdita marcata di consensi che si manifestò con drammaticità all’indomani delle elezioni del 2007, quando la sua rielezione innescò una spirale di violenza, che provocò decine di vittime. Alla guerra civile ha posto fine nel 2008 un accordo per la formazione di un governo di unità nazionale fra Kibaki e il suo primo oppositore R. Odinga.
Nel 2010 è stata approvata dal Parlamento e da un referendum popolare una nuova Costituzione che mantiene il sistema presidenziale, ma prevede la devoluzione di alcuni poteri e prerogative a livello locale, la creazione di una camera alta del Parlamento al fine di monitorare la gestione degli affari locali, l’introduzione di una Carta dei diritti e l’istituzione di una Corte suprema.
Come già avvenuto per le consultazioni del 2007, anche le presidenziali tenutesi nel 2013 si sono svolte in un clima di forte tensione sociale: pesanti disagi si sono registrati nella fase di spoglio dei voti per il malfunzionamento dei sistemi elettronici di invio dei dati, e reiterate accuse di brogli sono state lanciate dal premier Odinga, leader della Coalition for reform and democracy (CORD), che si è visto battuto di misura dal vicepremier e candidato della Jubilee coalition U. Kenyatta (50,7% delle preferenze). Lo stesso risultato è stato registrato alle consultazioni del 2017, alle quali il presidente uscente si è imposto (54,3%) su Odinga (44,7%), essendo riconfermato nella carica, ma il mese successivo la Corte costituzionale ha accolto il ricorso dello sfidante, che aveva denunciato gravi irregolarità, e disposto una nuova tornata elettorale; svoltasi nel mese di ottobre, essa ha confermato il risultato della precedente, con Kenyatta che ha ottenuto il 98% dei suffragi anche grazie al boicottaggio del voto posto in atto dall'opposizione guidata da Odinga. Nell'agosto 2022 è stato eletto nella carica presidenziale W. Ruto, che ha sconfitto di misura (50,5%) Odinga, il quale ha nuovamente presentato ricorso contro i risultati elettorali.
Sul piano internazionale, ai problemi incontrati nelle relazioni con i governi occidentali, che pure non sembravano aver trovato interlocutori alternativi a Moi, e con gli organismi internazionali (FMI e Banca Mondiale riaprirono nel 2000 le linee di credito interrotte nel 1997, per sospenderle di nuovo nel 2001 per la mancata messa in atto delle misure anticorruzione promesse), fece riscontro il mantenimento di buoni rapporti con la Tanzania e un miglioramento di quelli con l’Uganda, segnati da un decennio di gravi difficoltà (i tre paesi nel 1994 diedero vita a una commissione permanente per incrementare la cooperazione nell’area).
Nella produzione artistica e architettonica del K. emergono la straordinaria varietà dei linguaggi locali e l’importanza e la continuità delle tradizioni. In architettura, l’eredità inglese si palesa nei classicheggianti edifici pubblici urbani (edifici governativi, 1925-30, a Mombasa e Nairobi, di H. Baker), mentre una notevole varietà di stili si riscontra nelle moschee e nei templi indu e sikh; le chiese cristiane variano dall’eclettismo di inizio 20° sec. all’internazionalismo delle costruzioni degli anni 1970. Simbolo dei nuovi linguaggi ma anche di riferimenti evocativi alla tradizione è il Kenyatta conference centre a Nairobi (1979) di K.H. Nostvik, complesso caratterizzato da imponenti volumi geometrici e riferimenti locali.
Dagli anni 1980 nuove forme espressive seguono la grafica e l’illustrazione. Tradizioni etniche e soggetti popolari caratterizzano la produzione di J. Adamson, F. Oduya, E. Sukuro; più libera quella di J. Katirakawe, nuova ed espressiva quella di S. Wadu. Innovativa l’opera delle artiste R. Anderson, T. Musoke, G. Robarts, R. Karuga. Notevole nello stesso periodo lo sviluppo della scultura, sia di piccole dimensioni, ispirata alle tradizioni locali ed etniche, e destinata al commercio, sia in funzione monumentale. Tra gli scultori: E. Ongesa, P. Wanjau, F. Nnaggenda.