Stato dell’Africa orientale, confinante a NO e a O con il Sudan, a SE con il Gibuti, a S con l’Etiopia; a NE e a E è bagnato dal Mar Rosso.
Il territorio eritreo comprende: la parte più settentrionale dell’Altopiano Etiopico con quote medie di 2000-2400 m; il ciglione orientale dell’altopiano stesso, che scende con una scarpata profondamente incisa da solchi torrentizi verso E; un’arida pianura costiera a N, che si apre verso il centro nel Golfo di Zula, fronteggiato dalle Isole Dahlak; gran parte della Dancalia; il declivio occidentale dell’altopiano, che scende dolcemente verso le pianure sudanesi. L’altopiano è profondamente inciso da una rete di corsi d’acqua, che, con valli anguste e incassate, confluiscono per la maggior parte nelle arterie del Tekeze e del Mereb, entrambi appartenenti al bacino dell’Atbara; a N invece le acque vanno all’Anseba e al Baraka, riuniti presso il confine dell’Etiopia in una sola arteria che si inaridisce senza raggiungere il Mar Rosso.
La regione presenta grande varietà climatica. La parte marittima ha clima caldissimo, piogge invernali scarse e a S (depressione dancala) quasi assolutamente assenti. La regione delle pendici orientali fra 1000 e 1800 m ha precipitazioni abbastanza copiose, prevalentemente invernali; le temperature medie sono abbastanza basse, con modeste escursioni annue e notevoli oscillazioni diurne. L’altopiano ha condizioni analoghe di temperatura, ma piogge più scarse, prevalentemente estive; la piovosità aumenta da N a S e diminuisce man mano che si procede verso O.
Il principale gruppo etnico è rappresentato dai Tigrini (52%), che vivono nell’entroterra, seguiti da Tigrè (18%), Afar (8%), Cunama (4%) e altri.
A eccezione dei due gruppi etnici occidentali dei Kunama e dei Nara da considerare nilotici, la popolazione dell’Eritrea è costituita da gruppi che parlano in parte lingue cushitiche, in parte lingue semitiche. Le prime comprendono i Beja (Beni Àmer) nelle regioni nord-occidentali; il nucleo agau dei Bileni (Bogos) nel bacino dell’Anseba; i vari gruppi Saho nell’Eritrea centro-meridionale, fra Massaua e il confine etiopico; i gruppi Afar del Danakil nelle regioni di SE, lungo la costa del Mar Rosso. Queste popolazioni sono in prevalenza islamiche e dedite alla pastorizia. I gruppi che parlano lingue semitiche sono i Tigrini degli altipiani centrali e i Tigrè delle regioni settentrionali.
La popolazione vive prevalentemente in villaggi rurali. Solo Asmara e, in qualche misura, i porti di Massaua e Assab presentano caratteri funzionali urbani; altro centro importante è Agordat, sull’altopiano, collegato per ferrovia alla capitale e quindi alla costa del Mar Rosso. Carestie e guerre hanno provocato rilevanti ondate migratorie. Oltre un milione di Eritrei (molti dei quali rifugiati in Sudan) vive ancora fuori dei confini della madrepatria.
L’Eritrea è uno dei paesi più poveri dell’Africa; alla fine della guerra di liberazione gli indicatori economici e sociali delineavano un quadro d’insieme particolarmente depresso. La situazione è stata ulteriormente aggravata dal nuovo conflitto con l’Etiopia (1998-2000), che ha avuto conseguenze economiche, sociali e politiche drammatiche.
L’agricoltura è praticata sugli altipiani, dove le precipitazioni sono sufficienti per la pratica delle principali colture: teff, mais, grano, sorgo e miglio. Nelle valli, dove è possibile l’irrigazione, si produce cotone. La ricorrente siccità e l’erosione del suolo concorrono a creare un ambiente sfavorevole alle attività agricole e il persistente deficit alimentare dell’Eritrea viene coperto grazie agli aiuti del Programma di alimentazione mondiale dell’ONU.
Altra risorsa dell’economia eritrea è l’allevamento, a maggese e nomade, di ovini, bovini, cammelli e asini. Attiva è la pesca nel Mar Rosso che dà, oltre al pesce esportato secco e salato, ostriche perlifere.
Ricerche di idrocarburi sono state avviate dalla seconda metà degli anni 1990 nei fondali del Mar Rosso, dove è stata accertata la presenza di consistenti riserve. Il paese dispone anche di ferro, rame, zinco, e manganese; altra risorsa mineraria finora scarsamente valorizzata è l’oro. Discreta è la produzione delle saline di Massaua e Assab.
L’apparato industriale, tradizionalmente incentrato sulla produzione di vetro, cemento, calzature, cibi conservati e bevande, aveva iniziato ad ammodernarsi e a diversificarsi, ma tale processo si è pressoché bloccato a seguito dei nuovi scontri armati con l’Etiopia e tutto l’apparato è in gran parte da ricostruire. I principali impianti in funzione sono la raffineria di petrolio di Assab e il cementificio di Massaua.
La linea ferroviaria (117 km) che collega Massaua ad Asmara è stata ripristinata. Dalla capitale si diramano anche 4 strade asfaltate (540 km). I traffici marittimi si avvalgono dei porti di Massaua e di Assab (dal 1992 anche porto franco dell’Etiopia in seguito a un accordo fra i due paesi).
L’Eritrea fu colonizzata, già prima dell’era volgare, dalle stesse genti dell’Arabia meridionale che attraverso la progressiva espansione all’interno del paese fondarono in seguito il regno di Aksum. Di questo fecero parte, per secoli, le principali regioni eritree. Ma con l’affermarsi dell’Islam (7° sec.) le vie dell’espansione marittimo-commerciale rimasero precluse all’impero aksumita, il quale venne perciò spostando il proprio centro politico ed economico sempre più a occidente, entro l’altopiano etiopico, mentre sul litorale si stabiliva la dominazione musulmana. Le Isole Dahlak divennero il centro di un principato islamico indipendente, dal quale dovette dipendere, salvo brevi interruzioni, anche Massaua. Verso la metà del 16° sec. i Turchi s’impadronirono stabilmente di Massaua e poi di Archico sulla terraferma.
Nel 1865 le regioni costiere furono acquistate dall’Egitto. Sviluppatosi nel Sudan il movimento del Mahdī, le regioni occidentali dell’Eritrea subirono l’invasione dei Dervisci, mentre sulla costa, a Massaua, l’Italia (che aveva istituito ad Assab, nel luglio 1882, la sua prima colonia africana) sostituì la propria alla sovranità egiziana d’accordo con la Gran Bretagna (1885). Occupate nel 1889 Asmara e Cheren, nel 1890 i vari possedimenti furono riuniti nella Colonia Eritrea (dal nome greco e latino del Mar Rosso). In Eritrea il colonialismo italiano si esplicò in modo intenso, con il trapianto di numerosi coloni, una parziale alienazione delle terre indigene e la formazione di un ceto medio nelle città. La colonia, per altri aspetti, era concepita come un avamposto per la conquista dell’altopiano etiopico e fu appunto dall’Eritrea che nel 1935 incominciò la guerra contro Hailè Selassiè. Dopo la proclamazione dell’impero, l’Eritrea entrò a far parte dell’Africa Orientale Italiana (AOI), riorganizzata come governatorato e ingrandita con parti del Tigrè (1936).
Occupata dalle forze britanniche durante la Seconda guerra mondiale (1941), vide nel successivo decennio di amministrazione inglese una accelerazione dello sviluppo economico e sociale. Il trattato di pace del 1947 sancì la rinuncia dell’Italia a tutte le sue ex-colonie: l’assegnazione dell’Eritrea fu oggetto di una lunga trattativa, prima fra le quattro grandi potenze e poi all’ONU, anche in seguito alle rivendicazioni dell’Etiopia, che reclamava l’Eritrea sia in quanto appartenente alla sua sfera di sovranità storica e suo unico accesso al mare, sia come risarcimento per la guerra subita. In base alla risoluzione ONU del 1950 l’Eritrea divenne una ‘unità’ autonoma federata all’Etiopia (in vigore nel 1952), ma presto l’Etiopia cominciò a soffocare l’autonomia dell’Eritrea (più evoluta dal punto di vista sociale e politico), allo scopo di annetterla ai suoi territori. La degradazione nel 1962 a semplice provincia dell’Impero Etiopico provocò una reazione che assunse ben presto carattere indipendentista (con l’aiuto di Sudan e altri paesi arabi). Il Fronte Popolare per la Liberazione dell’Eritrea (FPLE) divenne la forza principale della resistenza antietiopica.
Nel 1991 la caduta di Asmara e di Assab, che seguì quella delle regioni settentrionali (anche grazie al disimpegno dell’URSS, che fino ad allora aveva appoggiato l’Etiopia), segnò la vittoria definitiva delle forze indipendentiste che assunsero il controllo del paese. Le prime misure varate dal governo presieduto da I. Afewerki (poi presidente della Repubblica) furono volte ad affrontare la drammatica situazione economica, mediante il sostegno all’industria statale, all’agricoltura e alla pesca. L’indipendenza è stata proclamata formalmente nel 1993. Nel 1994 il FPLE assunse il nome di Fronte Popolare per la Democrazia e la Giustizia (FPDG) e adottò una linea politica più moderata e pragmatica, attenuando il richiamo all’ideologia marxista; tuttavia ciò non avviò un sostanziale processo di democratizzazione. Nel contesto regionale, il peggioramento dei rapporti con il Sudan favorì l’avvicinamento dell’Eritrea agli Stati Uniti e a Israele, che consideravano il Sudan uno dei centri di riferimento del fondamentalismo islamico. Nel 1998 la tensione con l’Etiopia, originata dalla contesa per una striscia di territorio lungo il confine con il Sudan, sfociò in una guerra durissima, in un clima di acceso nazionalismo. Nel 2000 fu firmato un accordo di pace, ma un nuovo fronte si è aperto nel 2006 quando l’Etiopia ha inviato truppe in Somalia per sostenere il governo di Mogadiscio contro le milizie islamiche, mentre negli anni successivi la tensione è andata nuovamente aumentando lungo il confine, fino a esplodere nel 2012, in seguito a un’azione dell’esercito etiopico all’interno dei confini eritrei. Solo nel luglio 2018 Eritrea ed Etiopia hanno firmato ad Asmara una dichiarazione di riconciliazione, seguita nel mese di settembre dall'accordo di pace siglato dal presidente eritreo I. Afewerki e dal premier etiope A. Ahmed a Gidda (Arabia Saudita).