Stato dell’Asia sud-orientale, formato dall’omonimo gruppo insulare situato tra l’Oceano Pacifico, il Mar Cinese Meridionale e il Mare di Celebes. Le isole maggiori del vasto arcipelago sono: Luzon, Mindanao, Samar, Negros, Palawan, Panay, Mindoro, Leyte, Cebu, Bohol.
L’arcipelago si estende tra 20°40′ e 4°30′ lat. N e tra 117° e 126°45′ long. E Gr., ed è composto da circa 7000 isole, di cui oltre 6500 hanno una superficie inferiore ai 2 km2 e meno di 900 sono abitate. Per la maggior parte le isole sono allineate in senso N-S, tra lo Stretto di Luzon a N e le Molucche a S; montuose, sono quanto emerge di un fascio di catene sommerse; da questo allineamento si distaccano verso SO due altri allineamenti tra loro subparalleli e che racchiudono il Mar di Sulu, composti dalle isole Calamian e Palawan, a N, e dalle Isole Sulu, a S. Le F. rivendicano (come tutti i paesi rivieraschi dell’area, e con più decisione la Cina) la sovranità sulle Isole Spratly, formazione corallina nel Mar Cinese Meridionale, nella cui piattaforma si suppone la presenza di idrocarburi.
Le coste delle F. (oltre 36.000 km di sviluppo) sono frastagliate, ma poco portuose; ampie insenature si aprono nelle isole di Luzon e Mindanao. Il rilievo è cenozoico e si collega con quello dell’Arcipelago della Sonda. Nell’isola di Luzon, la Sierra Madre e la Cordillera Central si sviluppano nel senso dei meridiani, culminando nel Pulog (2934 m). Le due catene si fondono poi in un unico sistema che piega verso SE, caratterizzato da numerosi vulcani, il più elevato dei quali è il Mayon, alto 2525 m e attivo (nelle F. sorgono circa 400 vulcani, 22 dei quali attivi e protagonisti di violente eruzioni, come quella, nel 1991, del Pinatubo). Lo Stretto di San Bernardino divide Luzon dalle isole Visayan, in cui vette elevate s’innalzano da altopiani, terrazze e pianure alluvionali. A Mindanao le catene montuose tornano a seguire i meridiani e sono interrotte da apparati vulcanici, come l’Apo, la più alta cima dell’arcipelago (2954 m). L’isola di Palawan è tutta una catena montuosa, lunga circa 450 km, culminante nel Mantalingajan (2100 m).
Dal punto di vista geologico le F. constano di terreni non anteriori al Mesozoico. Su un basamento cristallino poggiano rocce sedimentarie, prodotti vulcanici e, a S, formazioni coralline. Le F. costituiscono, con le altre isole che orlano il Pacifico occidentale, i cosiddetti ‘sistemi arco-fossa’. Esse rappresentano, infatti, un arco insulare intraoceanico sede di attività vulcanica e sismica, bordato verso terra da un bacino marino poco profondo in espansione (bacino di retroarco: Mar Cinese Meridionale), mentre verso mare sono presenti delle profonde fosse (Fossa delle F.), nelle quali la zolla oceanica pacifica sprofonda al di sotto dell’arco vulcanico (➔ tettonica).
Il clima è influenzato non solo dalla latitudine, subequatoriale, ma anche dai monsoni, soprattutto nel settore settentrionale. La temperatura è elevata e costante: a Manila la media del mese più freddo è di 25,3 °C, quella del mese più caldo di 27,5 °C. L’elemento che più differenzia le stagioni è la piovosità (da oltre 3000 mm nel versante E a 1500 nel versante O). All’estremità settentrionale le piogge sono invernali, a S sono costanti; nelle aree occidentali si ha una stagione asciutta da novembre a marzo, in quelle orientali piove in inverno e in estate. Da aprile a dicembre, con maggiore intensità durante la fase di inversione del monsone, si generano nell’area delle F. violentissimi tifoni, che muovono verso le opposte sponde del Mar Cinese Meridionale e provocano gravi danni.
Un tempo l’arcipelago era per oltre metà ricoperto da foreste pluviali, fino ai 1500 m, dove subentrano boschi di conifere e formazioni di praterie; un troppo intenso sfruttamento delle risorse forestali (mogano, teak, palissandro) ha ridotto la copertura a circa il 20% della superficie totale, in ragione di oltre il 2% in meno all’anno. La vegetazione spontanea include palme, bambù, banani, spezie, mangrovie lungo le coste, orchidee, piante tessili; molto varia è anche la fauna, con mammiferi (bufalo nano, cervo, maiale selvatico), molti retti;li, uccelli, pesci d’acqua dolce e salmastra, molluschi (tra cui le ostriche perlifere).
Il sistema idrografico è formato da corsi d’acqua perenni ma brevi, dato il frazionamento del territorio, e da corpi idrici lagunari e lacustri, i maggiori dei quali sono ubicati a S di Manila: la Laguna de Bay e il Lago Taa, in cui s’innalza il vulcano Taal.
A eccezione dei gruppi pigmoidi (➔ Aeta; Negritos), la popolazione autoctona è costituita da Indonesiani, distinti in un gran numero di gruppi etnici. Alcuni, nelle regioni forestali e montuose, vivono in condizioni arcaiche, praticando l’agricoltura alla zappa o, addirittura, la caccia e la raccolta, e conservando caratteristiche indonesiane (abbigliamento, armi, abitazione, tecniche colturali) e in parte le vecchie religioni. Gli abitanti che derivano da migrazioni più recenti (Neo-indonesiani) hanno avuto contatti secolari con Cinesi e Spagnoli e si sono convertiti al cattolicesimo.
La popolazione delle F. (circa 8 milioni di ab. alla fine del 19° sec.), dopo una seria contrazione dovuta, nei primi anni dell’occupazione statunitense, a epidemie, conflitti e calamità naturali, prese a crescere superando nel 1948 i 19 milioni di unità. Miglioramenti igienico-sanitari, calo della mortalità infantile e allungamento della vita produssero un incremento forte e costante di abitanti: 27,1 milioni nel 1960, nel 1980 oltre 47 milioni, al censimento del 2000 circa 76,5; stime del 2009 li valutano in quasi 100 milioni, per una densità media di 326 ab./km2. Malgrado un tasso migratorio negativo (almeno 6 milioni di Filippini emigrati risiedono all’estero: Stati Uniti, Europa occidentale, Canada ecc.) e una lenta riduzione della natalità, l’incremento naturale è molto elevato, appena sotto il 18‰ annuo. Stanno migliorando gli indicatori qualitativi, come il tasso di alfabetizzazione, ormai oltre il 96% della popolazione in età scolare. Le città esercitano una forte attrazione sulla popolazione rurale, che abbandona i piccoli villaggi tradizionali; i residenti in città sono cresciuti rapidamente: erano circa il 40% intorno al 1980, avrebbero toccato il 65% nel 2008.
Nell’agglomerazione che fa capo alla capitale, Manila, e all’ex capitale, Quezon City, nel 2008 vivevano circa 16 milioni di Filippini: qui è del resto concentrata la gran parte delle attività economiche moderne del paese. La popolazione è comunque distribuita in maniera disomogenea: a Luzon, su circa il 30% della superficie del paese, vive oltre il 50% della popolazione totale, e nell’isola di Cebu si sfiora una densità di 700 ab./km2, mentre Mindanao è molto meno popolata.
Manila, capitale fino al 1948 e di nuovo dal 1976, sorge sull’isola di Luzon; principale centro culturale, economico, portuale del paese, ricostruita in forme quasi avveniristiche dopo la Seconda guerra mondiale, è conurbata con l’adiacente Quezon City (capitale dal 1948 al 1976). Altre città importanti sono Davao e Zamboanga, a Mindanao, e Cebu, nell’isola omonima.
Prevale la religione cattolica (83%); confessioni protestanti sono seguite dal 5% della popolazione e la religione islamica da una percentuale analoga.
L’economia delle F., in gran parte agricola e arretrata, conosce intensi sforzi di ammodernamento, dai quali cominciano a derivare effetti positivi sui redditi e sulla diversificazione produttiva. Il 40% circa dei Filippini, tuttavia, si colloca al di sotto della soglia di povertà estrema, e la percentuale sale al 70% all’interno della minoranza di fede islamica, il che alimenta la sua opposizione al governo. Il paese è segnato dalle strutture agrarie impostate dagli Spagnoli (latifondo) e dagli Statuniten;si (piantagioni). Nonostante i tentativi di riforma agraria, l’accesso dei piccoli contadini al possesso di terra coltivabile è garantito quasi soltanto dalla messa a coltura di nuove superfici, sottratte alla foresta. Una prima industrializzazione, limitata al comparto agroalimentare, fu indirizzata dallo Stato (piani di sviluppo) con il concorso di investimenti statunitensi, ma la struttura economica non ne risentì a fondo; in seguito si preferì puntare sul capitale privato. I risultati d’insieme non possono essere considerati negativi, se si tiene conto del livello di partenza dopo il conseguimento dell’indipendenza e delle difficoltà politiche e strutturali vissute dalle F. nei decenni seguenti; ma, a fronte di un mercato potenziale molto vasto, i consumi interni restano limitati; e, malgrado la disponibilità di manodopera istruita, gli investimenti sono frenati dalla scarsa credibilità del sistema politico-economico. L’interscambio con l’estero, tuttavia, vede crescere l’esportazione di prodotti industriali, in gran parte ad alto contenuto tecnologico.
L’agricoltura, ancora nel 2008, occupava il 35% della popolazione attiva del paese, ma forniva meno del 15% del prodotto interno lordo. Principali colture alimentari sono il riso (15 milioni di t nel 2005), soprattutto nelle isole Luzon e Panay, e il mais (5 milioni di t); rilevanti le produzioni di manioca, patate, ortaggi, frutta. Tra le colture di piantagione prevalgono la canna da zucchero e soprattutto la palma da cocco (copra, noci e olio), coltivata su un quarto della superficie utile; con la frutta tropicale e con il legname (quasi 16 milioni di m3) sono destinate all’estero. Diffuso è l’allevamento dei bovini, soprattutto bufali, dei suini dei caprini e degli animali da cortile. I prodotti ittici hanno grande importanza nell’alimentazione.
Le risorse minerarie sono varie, ma nell’insieme modeste, fuorché l’oro e il petrolio (1,3 milioni di t nel 2006), insufficiente alla domanda interna. L’energia elettrica è prodotta per un 20% in impianti geotermici, e per il 16% in centrali idroelettriche, mentre il rimanente dipende dai combustibili fossili.
L’industria, che per circa tre quarti è localizzata nella regione di Manila, ha una produttività notevole (forniva nel 2008 oltre il 31,6% del prodotto interno lordo occupando appena il 15% degli attivi): oltre alle tradizionali produzioni alimentari e a quelle tessili (recentemente assai potenziate), chimiche, metallurgiche, l’industria filippina ha visto la crescita del settore meccanico (autoveicoli, navi) e di quelli elettrotecnico ed elettronico, che forniscono buona parte delle esportazioni. Il terziario (oltre il 57% del PIL con il 48% della forza-lavoro) è sottodimensionato, malgrado gli incrementi registrati, anche per la debolezza del mercato di consumo e per la scarsa affidabilità del sistema bancario-finanziario. Di una certa importanza è il turismo (2,8 milioni di ingressi nel 2006).
Le comunicazioni terrestri sono discrete soprattutto nella regione intorno a Manila; le strade si sviluppano su circa 200.000 km, per un 10% asfaltati; i collegamenti interni sono assicurati anche dalle linee aeree nazionali, che nel 2006 hanno trasportato 8,3 milioni di passeggeri; per le merci ha rilevanza la flotta mercantile, che però è in flessione a causa della concorrenza internazionale (oltre Manila, porti principali sono Cebu, Iloilo e Davao). I principali corrispondenti commerciali delle F. sono gli Stati Uniti, il Giappone, la Cina e Singapore.
Il pilipino, evoluzione dell’idioma tagalog, è parlato da circa metà della popolazione, soprattutto nel Nord, accanto a un’ottantina di lingue locali; diffusi sono l’inglese, anche nell’insegnamento, e lo spagnolo.
A differenza di altre regioni dell’Asia sud-orientale, le F. non subirono una forte influenza cinese o indiana; più rilevante fu, a partire dal 15° sec., la penetrazione musulmana nelle isole meridionali (Sulu, Mindanao), dove furono costituiti due sultanati. Nel 16° sec., la popolazione era frazionata in piccole comunità indipendenti (barangay), guidate da capi ereditari (datu), quando, dopo la spedizione di Magellano (1521), la conquista spagnola delle F. fu avviata (1565) da M. López de Legazpi, che stabilì la prima colonia a Cebu. Costituitasi nel 1583 come dipendenza formale del vicereame della Nuova Spagna, l’amministrazione della colonia fu di fatto autonoma, con ampi poteri esercitati dal governatore generale. Sul piano economico, i rapporti con il Messico restarono per oltre due secoli di primaria importanza, data la posizione strategica delle F. sulla rotta fra l’America spagnola e l’Asia. Nella gestione della colonia fu rilevante il ruolo della Chiesa, che assunse funzioni politiche e accumulò un ingente patrimonio fondiario; essa contribuì all’inserimento nell’amministrazione locale dei datu che si trasformarono in proprietari terrieri, formando un’aristocrazia fondiaria indigena (la principalía). L’accentuazione di questi processi (19° sec.) e l’eliminazione delle barriere commerciali si accompagnarono a crescenti rivendicazioni politiche della nuova élite filippina.
L’apertura del Canale di Suez (1869) e l’afflusso di investimenti inglesi e statunitensi, si accompagnò a crescenti rivendicazioni da parte della nuova élite filippina che chiedeva riforme e partecipazione al potere politico. La chiusura e la repressione da parte del governo di Madrid contribuirono allo sviluppo di un movimento indipendentista (Katipunan) che nel 1896 diede inizio alla lotta armata di liberazione, nel 1898 proclamò l’indipendenza e nel 1899 promulgò la Costituzione repubblicana con presidente E. Aguinaldo. Ma gli Stati Uniti, che nel 1898 avevano comprato la colonia dalla Spagna, imposero il proprio dominio con la forza (le ultime resistenze furono debellate nel 1916). Concessero tuttavia alla colonia una graduale autonomia: nel 1907 fu istituito un Parlamento bicamerale; nel 1934 fu riconosciuto alle F. l’autogoverno (mantenendo a Washington il controllo della politica estera e della difesa) come regime transitorio verso la piena indipendenza, da conseguirsi entro 10 anni. Nel 1935, con una Costituzione ispirata al modello statunitense, i Filippini elessero un Congresso (dal 1940 bicamerale), un vicepresidente e un presidente del Commonwealth. Tali sviluppi furono accompagnati da un rapido incremento demografico e da una forte crescita dell’economia di piantagione. Si andò rafforzando il potere economico dell’oligarchia degli ilustrados («intellettuali», Partito nazionalista) che assunse le funzioni politiche e amministrative progressivamente delegate da Washington, mentre il peggioramento delle condizioni di vita dei contadini provocava agitazioni e la costituzione del Partito comunista (fondato nel 1930 e messo fuori legge dal 1931 al 1938).
L’occupazione giapponese (1942-45) segnò una frattura nella classe dirigente filippina: da un lato, i leader nazionalisti M. Quezon e S. Osmeña costituirono un governo in esilio a Washington; dall’altro, nel 1943 fu proclamata una Repubblica filippina indipendente presieduta da J.P. Laurel. Dopo la fine della guerra, il paese ottenne l’indipendenza nel 1946 (Repubblica delle F.). Primo presidente fu M. Roxas, fondatore del Partito liberale. Appoggiato dagli USA, seguì una politica apertamente filoamericana: nel 1947 riconobbe alle imprese statunitensi gli stessi diritti di quelle filippine nello sfruttamento delle risorse naturali e diede in concessione agli Stati Uniti numerose basi militari nell’arcipelago (Clark Field, Subic Bay); nel 1951 firmò con gli Stati Uniti un trattato di mutua difesa; intervenne al fianco di Washington nelle guerre di Corea e Vietnam. Gli Stati Uniti, da parte loro, aiutarono il governo filippino a reprimere la guerriglia del movimento Huk, di ispirazione comunista.
Il sistema bipartitico basato sull’alternanza fra nazionalisti e liberali durò circa 25 anni. Dalla fine degli anni 1960 la crescita dei contrasti fra i vari gruppi dell’oligarchia dominante, lo sviluppo di un forte movimento di protesta fra gli studenti, la ripresa delle agitazioni contadine e della lotta armata (dopo la formazione nel 1968 di un nuovo Partito comunista di ispirazione maoista) e la nascita di un movimento separatista musulmano a Mindanao e nelle isole Sulu portarono a una crisi del regime. Il presidente F.E. Marcos (eletto nel 1965 e 1969), che alla scadenza del suo secondo mandato (1973) non avrebbe potuto essere rieletto, ne approfittò per proclamare la legge marziale (1972), sciogliere il Congresso e i partiti e instaurare una dittatura personale, reprimendo duramente la ribellione che il New People’s Army (NPA), legato al nuovo Partito comunista, mise in atto nella maggior parte delle province. Sul piano internazionale Marcos confermò i tradizionali rapporti con gli USA. In politica economica tentò di promuovere uno sviluppo trainato dalle esportazioni e dagli investimenti stranieri, premiato inizialmente da una crescita abbastanza sostenuta; in seguito però la sfavorevole congiuntura internazionale costrinse all’adozione di ulteriori provvedimenti di austerità. Dopo l’uccisione (1983) del leader dell’opposizione liberale B. Aquino, Marcos si trovò in sempre maggiore difficoltà, soprattutto a causa della crescita della guerriglia, delle fughe di capitali e di un progressivo calo del sostegno di Washington. La protesta popolare esplose dopo le contestate elezioni presidenziali del 1986. Marcos lasciò il paese e la presidenza della Repubblica venne assunta da C. Aquino (vedova del leader assassinato).
Il ripristino della democrazia, sancito dal varo di una nuova Costituzione nel 1987, non coincise tuttavia con un reale rinnovamento delle pratiche di governo. Nel corso degli anni 1990 la vita politica continuò a essere caratterizzata da una diffusa corruzione e dai contrasti fra le oligarchie dominanti, espressione degli interessi agrari e finanziari, mentre la prosecuzione delle politiche di austerità e i limiti della riforma agraria varata nel 1988 continuavano ad alimentare forti tensioni sociali. La frammentarietà del quadro politico fu confermata dalle elezioni generali del 1992 che portarono alla presidenza l’ex ministro della Difesa F.V. Ramos, sostenuto dalla Aquino, la quale aveva deciso di non ricandidarsi. Il nuovo presidente formò un esecutivo di coalizione e pose al centro del suo programma il rilancio dell’economia e la riconciliazione nazionale con i gruppi dei ribelli comunisti dell’NPA e del movimento indipendentista musulmano MNFL (Moro national liberation front), con il quale fu siglato nel 1996 un accordo che pose fine a 24 anni di guerriglia nelle regioni meridionali. Le elezioni presidenziali del 1998 furono vinte dal vicepresidente J. Estrada, che condusse una campagna elettorale dai toni fortemente populisti e ottenne anche l’appoggio della vedova di Marcos, Imelda. Incapace di attuare profonde riforme strutturali, la nuova amministrazione ebbe comunque vita breve e fu messa in difficoltà anche dal riacutizzarsi degli scontri con la guerriglia musulmana, contro la quale a nulla valse l’impiego massiccio dell’esercito. Coinvolto in episodi di corruzione e sottoposto a un procedimento di impeachment nell’ottobre 2000, Estrada fu costretto a dimettersi e fu sostituito dalla vicepresidente G. Macapagal Arroyo, poi confermata nel 2004. I tentativi di dialogo con il Fronte Moro e con l’NPA si sono scontrati con una ripresa dell’attività terroristica. Le elezioni presidenziali svoltesi nel maggio 2010 hanno registrato la vittoria del leader del Partito popolare Benigno "Noynoy" S. Aquino III (n. 1960), figlio di C. Aquino ed emblema della volontà di mutamento dopo l'impopolare presidenza di G. Arroyo-Macapagal; nel 2016 gli è subentrato nella carica R. Duterte, che negli anni successivi ha instaurato nel Paese un regime autoritario, conducendo una lotta al traffico di droga responsabile della morte di migliaia di individui e oggetto di denunce di violazione dei diritti umani e prospettando misure quali l'abolizione di ogni limite al numero di mandati presidenziali e la reintroduzione della pena capitale. Le elezioni di medio termine per il rinnovo della metà del Senato, della Camera bassa e di diverse amministrazioni locali, svoltesi nel maggio 2019 in un clima di forti tensioni, hanno consentito all'uomo politico di aggiudicarsi la maggioranza dei seggi della Camera alta, ottenendo il sostegno legislativo per alcune modifiche costituzionali ritenute dall'opposizione fortemente limitative delle libertà e dei diritti fondamentali. Nel maggio 2022, in un Paese provato da una perdurante crisi economica, è stato eletto alla presidenza F. Marcos Junior, che si è affermato al primo turno con il 60% circa delle preferenze sulla sfidante e vice-presidente dell'opposizione L. Robledo (ca. 28%), subentrando dal mese di giugno al presidente uscente Duterte.
Il popolamento delle F. è da attribuirsi a gruppi di Homo sapiens che raggiunsero l’isola di Palawan (grotta di Tabon, con i più antichi resti umani delle F. risalenti a circa 20.000 anni fa). I livelli neolitici (1800-500 a.C.) hanno restituito ceramiche a ingobbio rosso decorate a incisione e impressione, bracciali e orecchini di nefrite, grani e bracciali di conchiglia, un mazzuolo in pietra (grotta di Arku) e altri utensili litici. L’uso di manufatti metallici (rame/bronzo e ferro) si diffuse dopo il 300 a.C. Questo periodo è caratterizzato dall’uso di seppellire i morti entro giare, poste poi generalmente all’interno di grotte, insieme ai corredi (piccoli vasi e ornamenti in conchiglia). Fra il 10° e il 15° sec. d.C. si diffusero ceramiche provenienti dalla Cina e dal Vietnam. Nelle sepolture di questo periodo, la sproporzione fra la ricchezza dei vari corredi dimostra la differenziazione di status all’interno della società.