televisione Sistema di telecomunicazione destinato alla trasmissione immediata a distanza, per mezzo di un cavo elettrico o di un radiocollegamento, di immagini non permanenti di oggetti fissi o in movimento; in generale, si parla di t. circolare per indicare la diffusione, via radio (radiodiffusione televisiva) o via cavo (telediffusione su cavo), di programmi audiovisivi a un gran numero di utenti. Per estensione l’organizzazione tecnica, amministrativa, artistica che provvede all’esecuzione e alla diffusione dei vari programmi.
Il servizio di diffusione televisiva, quale mezzo di comunicazione a distanza senza l’uso di conduttori, è stato incluso fra le materie oggetto di riserva statale sin dal 1910; successivamente la riserva è stata estesa a tutti i servizi di telecomunicazione, indipendentemente dalla via utilizzata (r.d. 645/1936; d.p.r. 156/1973, «testo unico in materia postale»).
Nel 1974 la Corte costituzionale criticò il regime di monopolio pubblico vigente e affermò la necessità di porre alcuni principi fondamentali nella regolamentazione del servizio radiotelevisivo, fra i quali: l’obiettività e completezza di informazione, con ampia apertura a tutte le correnti culturali; imparziale rappresentazione delle idee espresse nella società; l’indipendenza del gestore del servizio pubblico dal potere esecutivo; il pluralismo informativo; la regolamentazione della programmazione pubblicitaria (sent. 225 e 226). Nel 1975 si ebbe la prima legge organica nel settore radiotelevisivo (103/1975), la quale, recependo i principi già affermati in materia dalla Corte costituzionale, caratterizzava il servizio televisivo quale servizio pubblico essenziale. Più in particolare, l’art. 1 della legge stabiliva che «la diffusione circolare di programmi radiofonici via etere o, su scala nazionale, via filo e di programmi televisivi via etere, o, su scala nazionale, via cavo e con qualsiasi altro mezzo costituisce, ai sensi dell’art. 43 della Costituzione, un servizio pubblico essenziale ed a carattere di preminente interesse generale, in quanto volto ad ampliare la partecipazione dei cittadini e concorrere allo sviluppo sociale e culturale del Paese in conformità ai principi sanciti dalla Costituzione». La citata normativa, dunque, riconosceva e giustificava il monopolio pubblico nel servizio radiotelevisivo, riservandolo allo Stato per il suo preminente carattere di interesse generale. Attraverso lo strumento della concessione, lo Stato lo attribuiva poi a una società pubblica, in qualità di società di interesse nazionale, ai sensi dell’art. 2461 c.c. (➔ Rai-Radiotelevisione italiana). Per l’attuazione delle finalità, dei principi indicati e per vigilare sui servizi radiotelevisivi era inoltre prevista (dal d. legisl. 428/1947) una commissione parlamentare ad hoc, denominata Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi. Composta da 40 membri, designati, dai presidenti delle due Camere del Parlamento, tra i rappresentanti di tutti i gruppi parlamentari, la commissione aveva, fra le sue funzioni, quella di formulare gli indirizzi generali dei programmi, di stabilire le norme per l’accesso al mezzo radiotelevisivo, di indicare i criteri generali per la formazione dei piani annuali e pluriennali di spesa e di investimento, di riferire con relazione annuale al Parlamento, di eleggere 10 consiglieri di amministrazione della concessionaria pubblica. L’ultima attribuzione era particolarmente importante, perché consentiva di sottrarre il consiglio di amministrazione all’influenza del potere esecutivo.
Negli anni immediatamente successivi la Corte costituzionale si pronunciò nuovamente in maniera negativa nei confronti della regolamentazione del sistema televisivo basato sul regime di monopolio pubblico (sent. 202/1976); in particolare dichiarò illegittimo il divieto di installare e di esercitare, previa autorizzazione statale, impianti di diffusione radiotelevisiva via etere di portata non eccedente l’ambito locale. Di conseguenza, durante la seconda metà degli anni 1970, proliferarono le emittenti radiotelevisive private, in ambito prima locale e poi nazionale (anche attraverso la tecnica della interconnessione), senza che vi fosse una regolamentazione antitrust. Alla situazione di fatto non fece subito seguito, peraltro, una disciplina legislativa che riorganizzasse l’intero sistema radiotelevisivo nazionale e che tenesse conto dell’avvento delle nuove tecnologie. Con l’emergere e il consolidarsi del gruppo privato Fininvest (proprietà di S. Berlusconi), si arrivò all’instaurazione di un regime di duopolio Rai-Fininvest (Corte cost., sent. 826/1988). Ciò si verificò nonostante la Corte costituzionale (sent. 168/1981) avesse sollecitato il legislatore alla regolamentazione del settore radiotelevisivo per evitare il rischio della concentrazione dell’industria dei programmi e della pubblicità nelle mani di pochi imprenditori.
Nella seconda metà degli anni 1980, la Consulta invitò il legislatore ad approvare una legge per il riassetto dell’intero settore radiotelevisivo incentrata sulla libertà della concorrenza, sul pluralismo informativo, sulla tutela dell’utente-consumatore e su un’informazione completa, obiettiva, imparziale ed equilibrata nelle sue diverse forme di espressione (sent. 826/1988). Quindi, il Parlamento approvò la l. 223/1990 per la disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato. La legge, che consta di 5 titoli, affrontava il tema generale della radiodiffusione, in particolare, riaffermando: il carattere di preminente interesse nazionale della diffusione di programmi radiofonici e televisivi e dell’assetto organizzativo e finanziario della Rai (Titolo I); la realizzazione del sistema radiotelevisivo attraverso il concorso di soggetti pubblici e privati, nel rispetto dei principi del pluralismo, l’obiettività e l’imparzialità dell’informazione e l’apertura alle diverse opinioni, tendenze politiche, sociali, culturali e religiose (Titolo II); la pianificazione delle radiofrequenze (Titolo II, art. 3). La legge disponeva inoltre alcuni divieti in materia di posizione dominante nell’ambito dei mezzi di comunicazione di massa, a tutela del pluralismo, e prevedeva, accanto a una disciplina transitoria per le autorizzazioni, una normativa fondata sulle concessioni, nel rispetto del divieto di posizioni dominanti sancito nell’art. 15. Il piano di assegnazione delle radiofrequenze, essenziale per l’applicazione della normativa, sarebbe stato fissato con d.p.r. il 20 genn. 1992. La l. 223/1990 istituiva, altresì, in luogo del precedente garante per l’editoria, il garante per la radiodiffusione e l’editoria (che, a sua volta, sarebbe stato sostituito dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, istituita dalla l. 249/1997) e, per la prima volta, imponeva limiti sia alla diffusione di messaggi pubblicitari sia al possesso di reti televisive.
Nel corso degli anni 1990 altre sentenze della Corte costituzionale intervenivano in materia. La Corte dichiarava, infatti, l’illegittimità dell’art. 15, co. 4, della l. 223/1990 in materia di posizione dominante, nella parte relativa alla radiodiffusione radiotelevisiva (sent. 420/1994), e affermava il divieto da parte di un unico soggetto di essere titolare di 3 concessioni delle reti nazionali su 9 che potevano essere conferite ai privati. Con la sent. 7/1995, la Corte dichiarava ammissibile il referendum popolare per l’abrogazione della disposizione contenuta nell’art. 2, co. 2, della l. 223/1990, nella parte in cui disponeva la «totale partecipazione pubblica» nella società concessionaria del servizio pubblico. Così, con il d.p.r. 315/1995, veniva abrogato il suddetto comma. Con l’approvazione della l. 249/1997, il legislatore introduceva una normativa volta a stabilizzare il sistema radiotelevisivo italiano e ad adeguarlo allo sviluppo delle nuove tecnologie.
Nel 2002, a seguito dell’avvento della tecnologia digitale, l’Unione Europea ha adottato un quadro normativo unico per tutte le reti e i servizi di comunicazione elettronica, realizzando la convergenza regolamentare di tutti i mezzi di comunicazione, tra i quali sono compresi le telecomunicazioni e la radiotelevisione. Di conseguenza, in Italia sono state adottate due discipline normative distinte, per il settore televisivo e per il settore delle telecomunicazioni. Con la l. 112/2004 sono state dettate le norme di principio in materia di assetto del sistema radiotelevisivo italiano e della Rai-Radiotelevisione italiana S.p.A., con la relativa delega al governo per l’emanazione del testo unico della radiotelevisione (d. legisl. 177/2005). La legge individua i principi generali del sistema radiotelevisivo nazionale, regionale e locale, tenendo in considerazione l’introduzione della tecnologia digitale e il processo di convergenza tra radiotelevisione e altri settori delle comunicazioni interpersonali e di massa, quali le co;municazioni elettroniche, l’editoria, anche elettronica, e la rete Internet, in tutte le sue applicazioni. Nella realtà si è consolidato il duopolio Rai-Mediaset. Inoltre, la normativa del testo unico regolamenta e distribuisce le competenze in materia di comunicazioni tra il ministero per le Comunicazioni (d. legisl. 177/2005, art. 9) e l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni che ha funzioni di controllo, di regolamentazione del mercato delle telecomunicazioni e di promozione della concorrenza (art. 10).
La t. è la principale fonte da cui si traggono le informazioni necessarie e le occasioni di spettacolo o di evasione nel tempo libero. Essa costruisce la rappresentazione del mondo largamente condivisa da un vastissimo pubblico e a essa si deve il processo di globalizzazione culturale che ha preceduto quello economico e politico. Ultima arrivata tra i grandi mezzi di comunicazione di massa, la t. si è imposta rapidamente diventando, in Italia e negli altri paesi, il mezzo egemone. La t. ha stabilito non solo alcuni contenuti (la fiction delle soap opera, la pubblicità ecc.), ma anche e soprattutto un ‘modo di narrare’ che è diventato un tratto caratteristico della cultura contemporanea. Le narrazioni della t. offrono modelli di comportamento, suggeriscono ‘stili di vita’; nello stesso tempo rappresentano la fonte dell’immaginario collettivo e individuale, sempre più fondato su immagini e suoni, e sempre più incline ai sentimenti e alle emozioni.
Dagli inizi agli anni 1970. La TV nacque in Italia nel gennaio del 1954 dopo un breve periodo di sperimentazione. Aveva un solo canale in bianco e nero. La linea seguita dai primi dirigenti era quella del servizio pubblico, che si compendiava nell’obiettivo di educare, informare, divertire. Lo si capisce considerando i programmi più impegnativi del tempo, come i grandi sceneggiati tratti da opere letterarie di buon livello (La cittadella, Mastro Don Gesualdo, Il mulino del Po, Cristoforo Colombo, La freccia nera). Anche i quiz dovevano essere divertenti ma istruttivi: Lascia o raddoppia parlava di cultura, sia pure in pillole. In questa prospettiva all’informazione si chiedeva di essere obiettiva e non di parte, con qualche dose di conformismo. Lo sport fu da subito argomento centrale nei programmi televisivi; le tentazioni erano del tutto bandite sia negli argomenti trattati sia nelle immagini, assolutamente castigate. La TV italiana apriva con grande cautela al consumismo: Carosello era una raccolta di favole a cui si accostava il suggerimento di marche e prodotti non troppo impegnativi come costo e non troppo ostentati.
Un risultato, sicuramente positivo, fu quello di avere imposto la lingua nazionale in un paese ancora caratterizzato dal diffuso utilizzo dei dialetti. Molto importante era anche la spinta ad allargare l’orizzonte geografico e culturale di una gran parte degli Italiani non abituati a viaggiare. Ma il forte influsso esercitato senza apparire era quello morale: i valori a cui ancorare i contenuti delle trasmissioni televisive erano quelli della tradizione cattolica e borghese. La censura vigilava affinché non vi fossero neppure allusioni alla trasgressione e al diverso. La t. gradualmente diveniva un importante oggetto di riferimento. Alcuni attori o conduttori diventavano personaggi e imponevano involontariamente uno stile nel vestire, nel modo di parlare e comportarsi con gli altri nella vita quotidiana. Alcuni criteri entravano in crisi (per es. i binomi cultura-divulgazione, spettacolo-intrattenimento, cultura alta-cultura bassa ecc.) e iniziava il grande mix della programmazione televisiva. Lo scenario dominante era quello delle grandi città, i ritmi e i modelli di vita erano quelli della società industriale. Ebbe così luogo uno strisciante ma fortissimo cambiamento nelle usanze e nel costume che coinvolse soprattutto le donne e i giovani.
Nel 1961 si diede il via a un secondo canale per poter meglio rispondere alla grande domanda insieme televisiva e di modernità, e nel complesso la produzione si avviò a essere quella che avrebbe dato luogo, qualche anno più tardi, alla t. generalista, alla t. dell’evasione e dello spettacolo. La TV diveniva anche un appuntamento collettivo, quello degli eventi a cui tutti gli spettatori sentivano di partecipare (per es. le telecronache sull’alluvione di Firenze, 1966, o la notte dello sbarco sulla Luna, 1969).
Negli anni 1970 la t., ancora monopolio pubblico, migliorava la sua organizzazione, dividendosi al suo interno tra reti e testate giornalistiche. Al finire del decennio nasceva la terza rete. I programmi di punta erano quelli dell’informazione, le trasmissioni sportive, i programmi per i ragazzi. Inoltre incominciava ad avere largo spazio nel piccolo schermo la produzione cinematografica.
Dagli anni 1980 all’inizio del nuovo millennio. Il periodo si aprì con l’affermazione dell’emittenza privata, della pubblicità e della società dei consumi; la t. perdeva la sua funzione pedagogica per diventare oggetto di consumo culturale. Ogni emittente doveva operare sul mercato, conquistare e difendere il suo pubblico. Si imposero valori quali il successo, la ricchezza; contavano sempre più i propri bisogni o desideri, sempre meno la politica e la morale. La neo-t. si caratterizzò soprattutto per la fine del monopolio pubblico, ma l’emittenza privata si andò progressivamente concentrando nelle mani di un solo imprenditore. Nei primi anni 1980 Italia1 e Rete4 si aggiungevano a Canale5, diventando una sola azienda, la Fininvest (poi Mediaset), che si affiancò alla Rai e ne mise in crisi il primato negli ascolti e nel successo tra coloro che cercavano divertimento e programmi non impegnativi. L’emittenza privata si sostiene mediante la pubblicità e nel corso del 1985 furono trasmesse, sul territorio nazionale, oltre 3500 ore di spot pubblicitari.
Nel 1986 comparvero le prime ricerche con il metodo di rilevamento dell’ascolto Auditel. È un metodo statistico di grande affidabilità, ma l’uso che ne è stato fatto è apparso progressivamente sempre meno corretto, diventando l’unico parametro per giudicare e valutare una trasmissione. È evidente che a perdere siano stati i programmi più impegnativi e innovativi. La strada più battuta per conquistare il pubblico è stata quella di produrre messaggi semplici e spettacolari, rifuggire da ogni tipo di contenuto serio, ottenere immediati e facili effetti (far ridere o commuovere).
Molto mutò nei modi discorsivi della programmazione televisiva lungo tutti gli anni 1980 (per es., il programma comico Drive in rappresentò un’autentica novità). All’opposto, l’emittente pubblica tentava di trovare qualche strada nuova, impegnandosi per es. nella cosiddetta t. verità, che cercava di recuperare il sociale, i problemi veri della gente, nel flusso ininterrotto dello spettacolo televisivo, dando origine al filone del reality show, che di lì a qualche tempo si celebrerà come svolta assoluta nella programmazione televisiva, con la proposta in diretta 24 ore al giorno della vita di alcuni ragazzi (in cerca di celebrità e di denaro) chiusi dentro una finta casa: il Grande fratello.
Nel corso degli anni 1990 avveniva il nuovo assetto di Mediaset, che sembrò avere buon gioco contro l’emittente pubblica – sovraccarica di personale e troppo implicata con il potere statale –, soprattutto dopo l’ingresso in politica del suo proprietario. Con S. Berlusconi e il nuovo scenario televisivo, la politica diventava politica-spettacolo: la sua ‘discesa in campo’ fu favorita da circa 1000 spot che in poche settimane lo imposero come un personaggio di primo piano. La t. diveniva il principale referente nella vita quotidiana degli Italiani, fonte privilegiata della ‘cultura della contemporaneità’. È il caso del successo improvviso e a volte misterioso di qualche programma o della grande stagione delle serie televisive, seguite da un largo pubblico (dalla Piovra al Maresciallo Rocca, a Don Matteo, per finire con le inchieste del commissario Montalbano), anche grazie al trionfo dei ‘buoni sentimenti’.
A connettere tutti questi microeventi televisivi sta la quotidianità intessuta da conduttori e conduttrici, che narrano modeste vicende di gente qualunque (protagonista per un giorno) al loro pubblico, che blandiscono parlando a bassa voce dal video o cercando tramite il telefono un improbabile e spesso inutile coinvolgimento. Tutte queste storie hanno spesso i tempi veloci e l’andamento narrativo dei videoclip. I palinsesti televisivi sono ormai un flusso ininterrotto di sequenze, apparizioni di breve durata, una scansione di appuntamenti per fasce orarie in cui si succedono programmi mescolati alla pubblicità o a promozioni di altri programmi. In qualche caso (si pensi ai ‘contenitori’, come quelli della domenica pomeriggio) spezzoni di generi diversi (giochi, canzoni, interviste ecc.) si alternano senza soluzione di continuità. Si devono creare nuovi termini per definire questo combinarsi e trasformarsi dell’offerta televisiva. Uno dei più usati è infotainment, per indicare un’informazione ad alto tasso di spettacolarità, come avviene in alcuni animati dibattiti televisivi (dove è impossibile seguire ciò che vi si dice per il sovrapporsi delle voci) o in certi programmi del pomeriggio dove il pettegolezzo sui divi dello spettacolo, della canzone e dello sport è l’argomento prevalente. Questo caos dell’offerta e del consumo si configura come una guerra tra un’alluvione di messaggi e un ricevente che, al limite della saturazione e della noia, appare progressivamente indotto alla tentazione di abbandonare il piccolo schermo. Tutto ciò suona come l’inizio di una crisi che sembra attanagliare la TV generalista di questi anni, cui si va sostituendo gradualmente l’offerta delle t. tematiche (pay-tv e pay per view, per cui si pagano quei programmi che si sceglie di vedere).
Il futuro della t., nell’epoca digitale, sarà soprattutto legato alle innovazioni tecnologiche e alla conseguente legislazione che dovrà essere promulgata per mettere ordine in un mondo dove le norme sono sempre state applicate, finora, con molta disinvoltura. La tecnologia digitale ha come fondamentale momento di cambiamento il superamento del tradizionale modo di comunicare della TV. Da una comunicazione a una dimensione (dall’emittente al ricevente) si è già passati a una comuni;cazione a due dimensioni, nella quale il ricevente può intervenire sul programma. Le innovazioni tecnologiche hanno permesso, infatti, una moltiplicazione dei canali disponibili, una diversa offerta di nuove tipologie di contenuti e di servizi. La t. in chiave di ‘convergenza’, unita a Internet e/o ai cellulari, sta trasformando il tradizionale modo di fruizione. La passività che contraddistingue il consumo di t. nella sua forma tradizionale viene sostituita dall’interattività, garantita dall’integrazione del linguaggio televisivo con la navigazione in rete tramite la creazione di nuove piattaforme distributive per nuovi contenuti.
Con la digitalizzazione del segnale si moltiplicano i canali televisivi disponibili, si migliora la qualità audio e video, si prefigura la creazione di nuovi contenuti e di nuovi servizi. Il consumo televisivo si va quindi configurando come sempre più attivo e personalizzato, grazie all’ampiezza dell’offerta e alla varietà dei canali di trasmissione. Una particolarità di questo nuovo modo di fare t. consiste nella sua spiccata tendenza all’internazionalizzazione, come dimostrano gli assetti proprietari della maggior parte delle reti televisive.
Il procedimento di realizzazione di una trasmissione televisiva può schematizzarsi sinteticamente come segue. Un’apparecchiatura di ripresa trasforma l’immagine da trasmettere in un segnale elettrico, che, opportunamente amplificato e trasformato, viene trasmesso all’apparecchiatura ricevente; quest’ultima provvede a riconvertire il segnale ricevuto nell’immagine originale (o in una legata a essa da un costante rapporto di similitudine). L’immagine da trasmettere viene sottoposta a un procedimento, detto analisi, mediante il quale essa viene scomposta in un grandissimo numero di elementi (ingl. pixel, abbreviazione di picture element), ciascuno dei quali è successivamente e ordinatamente trasdotto in segnale elettrico, trasmesso e utilizzato dall’apparato di ricezione per ricomporre, con procedimento inverso, detto sintesi, l’immagine originale. Per ottenere la corretta visione di immagini in movimento occorre, come nella cinematografia, che le singole immagini successive si seguano a intervalli più brevi del tempo di persistenza delle impressioni visive sulla retina dell’occhio: negli attuali sistemi televisivi le immagini si susseguono con una frequenza di 25 fps (frames per second, ovvero fotogrammi per secondo).
P. Nipkow dette nel 1884 una soluzione ‘meccanica’ al problema dell’analisi e della sintesi delle immagini con il suo disco rotante munito di una serie di fori disposti a spirale. L’idea di Nipkow trovò pratica realizzazione nelle prime effettive trasmissioni televisive, effettuate con procedimenti ideati da J.C. Baird a partire dal 1926. Il sistema trasmittente comprendeva un disco di Nipkow, posto fra un obiettivo che formava sulla ‘finestra’ del disco l’immagine della scena da riprendere e una lente che focalizzava su una fotocellula la luce emergente dai vari fori del disco, via via che questi analizzavano le immagini; il segnale elettrico (segnale video) tratto dal circuito della fotocellula era amplificato e inviato attraverso una linea di trasmissione al sistema ricevente; quest’ultimo comprendeva un amplificatore che alimentava una lampada a luminescenza, a neon, posta dietro la finestra di un disco di Nipkow identico a quello analizzatore e rotante in sincronismo con esso: così, la brillanza della lampada essendo istante per istante proporzionale all’illuminamento degli elementi dell’immagine analizzata, a un osservatore posto davanti al disco sintetizzatore appariva, in virtù della persistenza delle immagini retiniche, l’immagine trasmessa come se si formasse sul disco. La necessaria sincronizzazione fra i due dischi, analizzatore e sintetizzatore, era ottenuta mediante segnali elettrici generati da un dispositivo elettromagnetico rotante, la cosiddetta ruota di Baird, calettato sull’asse di ognuno dei dischi.
Un altro sistema ‘meccanico’ di analisi e di sintesi delle immagini era quello basato sulla ruota, o tamburo, di specchi, dispositivo ideato da L. Weiller nel 1889 e costituito da un cilindro sulla cui superficie laterale erano montati numerosi specchietti piani in modo che un raggio opportunamente diretto sulla ruota venisse a descrivere, durante un giro di quella, un disegno di analisi per linee parallele. All’inizio delle radiotrasmissioni circolari televisive (intorno al 1935), la ruota a specchi e le sue numerose varianti, fra le quali la spirale a specchi di F. von Okalicsany (1930), ebbero un certo impiego, soprattutto nei ricevitori. I rapidi progressi nella tecnica dei tubi elettronici televisivi, con la realizzazione dell’iconoscopio per la ripresa e del cinescopio per la riproduzione, portarono però all’abbandono dei sistemi meccanici e all’adozione di sistemi televisivi completamente elettronici.
La scelta del metodo con cui viene trasmesso agli utenti il segnale video consente di classificare il sistema televisivo in: t. terrestre, se per la trasmissione si utilizzano onde radio emesse da trasmettitori posti sulla superficie terrestre; t. satellitare, nel caso i trasmettitori siano posizionati su satelliti per telecomunicazioni; t. via cavo, se la trasmissione del segnale televisivo avviene utilizzando un cavo per telecomunicazioni. A partire dalla metà degli anni 1990, in seguito all’elevato livello raggiunto dalla tecnologia nel settore dell’elettronica digitale, deve essere considerata un’ulteriore fondamentale classificazione, che consente la suddivisione tra t. analogica e t. digitale, a seconda che il segnale video sia elaborato in forma analogica o digitale. Per entrambi questi due sistemi televisivi può esser fatta, inoltre, la distinzione iniziale: esistono quindi le t. terrestre, satellitare e via cavo sia di tipo analogico sia di tipo digitale.
Il canale video analogico. Per comprendere il funzionamento di un canale video analogico a colori è necessario partire dalla descrizione di quello in bianco e nero, pur essendo quest’ultimo ormai in disuso da diversi anni. Infatti, le grandezze caratteristiche che possono essere definite per un segnale video in bianco e nero rimangono inalterate anche per quello a colori, il quale, oltre queste, contiene una componente che porta l’informazione sul colore.
Elementi essenziali di un sistema televisivo in bianco e nero sono la frequenza d’immagine (o frame rate) fi, cioè il numero delle immagini fisse trasmesse al secondo che compongono un’immagine in movimento, e il numero N delle righe (o linee) orizzontali in cui l’immagine viene suddivisa nel processo di analisi; la quantità fr=Nfi si chiama frequenza di riga; ha poi il nome di rapporto d’aspetto, o rapporto dimensionale, il rapporto R fra la larghezza e l’altezza dell’immagine. Il numero totale degli elementi in cui l’immagine resta divisa nel processo di analisi è, nel caso teorico che si voglia la stessa risoluzione sia in senso orizzontale sia in senso verticale, RN2. La massima frequenza del segnale video risultante dall’analisi dell’immagine si chiama poi frequenza di punto; essa, nel caso limite in cui gli elementi siano alternativamente bianchi e neri, assume il valore fp=(1/2)RN2fi. In realtà, la frequenza di punto effettiva viene fissata in pratica pari a circa il 75 % di quella teorica.
Perché la trasmissione delle immagini avvenga con una risoluzione non minore di quella propria del processo di analisi, occorre che i trasduttori, gli amplificatori e il mezzo di trasmissione consentano la trasduzione, l’amplificazione e la trasmissione senza distorsione del segnale video, cioè che abbiano una risposta sufficientemente buona in una banda di frequenze limitata superiormente dalla frequenza di punto. Poiché la realizzazione di un canale di trasmissione è tanto più onerosa quanto più larga è la banda di frequenze trasmesse, conviene tenere la frequenza di punto a valori non troppo elevati, naturalmente senza sacrificare troppo il grado di finezza dell’analisi: ciò può essere conseguito tenendo N su un ordine di grandezza di 400-600 righe e abbassando la frequenza d’immagine fi a valori prossimi alla frequenza minima (15-20 Hz) compatibile con la persistenza delle immagini retiniche. In pratica, poiché conviene che, per minimizzare i disturbi dovuti ai dispositivi di alimentazione, fi sia in relazione semplice con la frequenza della rete di alimentazione a corrente alternata, si adotta per essa in Europa, dove la frequenza delle reti a corrente alternata è di 50 Hz, il valore di 25 Hz, mentre, per es., negli USA, dove le reti di alimentazione sono a 60 Hz, si preferisce il valore di 30 Hz.
Valori così bassi per fi potrebbero dar luogo, in ricezione, a fenomeni di sfarfallamento delle immagini; si ricorre allora alla tecnica dell’interallacciamento delle righe, mediante la quale si trasmette un numero doppio di immagini al secondo, ognuna delle immagini essendo analizzata con N/2 righe (alternativamente quelle di ordine pari e quelle di ordine dispari), in modo che, pur raddoppiandosi il numero delle immagini esplorate in un secondo (semiquadri o trame: in Europa 50/s), la frequenza di punto rimanga la stessa. Il segnale video può essere inviato al mezzo di trasmissione in modo che tra la sua intensità e la luminosità degli elementi dell’immagine vi sia una relazione di proporzionalità diretta oppure inversa (modulazione positiva e negativa). Solitamente le cose sono regolate in modo che l’escursione di luminosità tra bianco e nero interessi solo una parte, il 75%, dell’escursione d’intensità del segnale video; il restante 25%, al di là del livello del nero, costituisce la cosiddetta regione ultranera, utilizzata per l’inserzione di segnali impulsivi, detti di sincronismo, all’inizio di ogni riga di analisi (sincronismo orizzontale o di riga) e tra la fine dell’esplorazione di un’immagine e l’inizio dell’esplorazione della successiva (sincronismo verticale o d’immagine). La forma e la posizione degli impulsi di sincronismo, il tipo di modulazione, il rapporto dimensionale, la frequenza d’immagine e il numero di righe di analisi costituiscono nel complesso il cosiddetto standard di un sistema televisivo.
Mentre nei sistemi televisivi in bianco e nero è trasmessa solo l’informazione di luminosità, nei sistemi a colori è trasmessa anche l’informazione di colore. Il principio base utilizzato per la t. a colori è quello per il quale qualsiasi colore è ottenibile per addizione di tre colori cosiddetti fondamentali (tali che ognuno di essi non sia ottenibile dalla somma degli altri due): di norma, il rosso, il verde, il blu. Si potrebbe quindi pensare di analizzare e separare in ogni immagine, per mezzo di appositi filtri, i tre colori in questione e trasmetterli indipendentemente l’uno dall’altro ai ricevitori, presso i quali si dovrebbe effettuare l’operazione inversa di sintesi. Una soluzione di questo tipo richiederebbe, però, una banda di frequenze tre volte più ampia di quella usata per la t. in bianco e nero. La soluzione adottata per la trasmissione del segnale video a colori si fonda sul sistema introdotto nel 1953 negli USA, dopo ricerche effettuate da varie industrie, in base al parere espresso dal National Television System Committee (NTSC). Nella determinazione di tale sistema si è partiti dalla considerazione che un qualsiasi segnale luminoso può considerarsi costituito da una componente di luminanza, corrispondente alla sensazione di luminosità che in ogni istante il segnale stesso produce nell’occhio, e da componenti, dette di crominanza, che portano le informazioni cromatiche. Trasmettendo il solo segnale di luminanza si ha quanto occorre e basta per una completa trasmissione in bianco e nero; aggiungendo opportunamente le componenti di crominanza si riottiene in colori l’immagine originale. La componente di luminanza (che chiameremo Y) è costituita dalla somma delle emissioni luminose nei tre colori primari, rosso, verde e blu (in ingl. rispettivamente red, R; green, G; blue, B), con determinate percentuali corrispondenti alla diversa sensibilità dell’occhio umano ai colori stessi, così da dare, in totale, l’esatta sensazione di luminosità del segnale; si ha: Y=0,30R+0,59G+0,11B. Con il ricorso a opportune mescolanze dei colori primari, è possibile limitare a due sole (I, Q) le componenti di crominanza: I=0,60 R−0,28G−0,32B; Q=0,21R−0,52G+0,31B. Da queste relazioni risulta che al segnale I, se positivo, corrisponde prevalentemente il colore arancio, se negativo il verde-azzurro, suo complementare (la somma di due colori complementari dà un colore neutro, e cioè grigio-bianco); analogamente, a Q, se positivo, corrisponde prevalentemente il colore magenta, se negativo il verde. È facile vedere che, combinando opportunamente Y, I e Q, si possono riottenere i colori primari R, G e B. Le due componenti di crominanza, o loro combinazioni, devono essere inserite nel segnale irradiato in modo da non richiedere un allargamento in frequenza del canale utilizzato e da non disturbare la regolare ricezione della sola componente di luminanza. Ciò è reso possibile dal fatto che la luminanza di un settore limitato dall’immagine in genere non cambia rapidamente passando da una linea alla successiva o da un semiquadro all’altro: di conseguenza, le frequenze corrispondenti a tale caratteristica sono normalmente distribuite attorno alle armoniche della frequenza di riga, che sono, per lo standard europeo (625 linee; 25 immagini al secondo) pari a 15.625 Hz e per lo standard americano (525 linee; 30 immagini al secondo) pari a 15.750 Hz. Nel segnale trasmesso rimangono pertanto liberi larghi intervalli di frequenze tra un’armonica e la successiva, e di questo si approfitta per inviare le informazioni cromatiche I e Q. Queste, nel sistema NTSC, modulano in ampiezza (con successiva soppressione della portante) due sottoportanti di egual frequenza, ma sfasate, l’una rispetto all’altra, di 90°; tali sottoportanti sono inserite nella trasmissione tra un’armonica e l’altra della frequenza di riga e il loro valore è un multiplo dispari della metà di quella: nel sistema europeo derivato dal NTSC, è il 567° multiplo, corrispondente a circa 4,43 MHz; nel sistema americano è il 455° multiplo, pari a circa 3,58 MHz. Dei due segnali I, Q, il più importante agli effetti della fedeltà cromatica della riproduzione è il segnale I; a esso è perciò assegnata nel sistema NTSC originale una larghezza di banda più ampia di quella utilizzata per il segnale Q. La ricostituzione in ricezione dei segnali I e Q per riprodurre le caratteristiche cromatiche delle immagini nei televisori a colori è assicurata dall’invio di un particolare segnale di sincronizzazione (ingl. burst), costituito da un gruppo di una decina di oscillazioni sinusoidali a frequenza di sottoportante, che è inserito in trasmissione in corrispondenza dell’intervallo di cancellazione subito dopo il segnale di sincronismo di linea.
Dal sistema NTSC si sono sviluppate in Europa alcune varianti, aventi lo scopo di eliminare in ricezione alcuni inconvenienti del sistema originale, che richiedeva una frequente messa a punto dei televisori: si tratta precisamente di anomalie nella riproduzione dei colori, dovute sia a influssi reciproci nella trasmissione contemporanea delle due componenti cromatiche I e Q sia a distorsioni di fase. Per ovviare a tali inconvenienti, l’inventore francese H. de France ha pensato di utilizzare il fatto che le variazioni di crominanza sono trascurabili passando da una riga alla successiva: si può pertanto in ciascuna riga trasmettere una sola delle due componenti cromatiche e nella successiva, reciprocamente, l’altra. La componente di luminanza viene invece regolarmente trasmessa in ogni riga. Con un conveniente sistema di memoria, si immagazzina in ricezione la prima componente cromatica trasmessa, per sommarla poi con la successiva e ristabilire l’equilibrio cromatico della trasmissione in ciascuna riga. Da questa idea è nato, dopo successive modifiche e perfezionamenti, uno dei due sistemi televisivi a colori attualmente in funzione in Europa, chiamato SECAM (sequentiel couleur à mémoire). In esso, i segnali di crominanza (non più direttamente I e Q, ma due segnali derivati da questi), anziché in ampiezza, modulano in frequenza le relative sottoportanti (le cui frequenze sono leggermente diverse tra loro e rispettivamente di valore poco superiore o inferiore al valore medio adottato per l’Europa, di circa 4,43 MHz). A partire dalla seconda metà degli anni 1970, hanno avuto inizio trasmissioni regolari con sistema SECAM, oltre che in Francia, anche in varie nazioni dell’Europa Orientale e in altri paesi, specie tra quelli legati particolarmente alla Francia.
Un altro sistema, derivato anch’esso dal NTSC e che, rispetto a questo, presenta gli stessi vantaggi del SECAM, è il PAL (phase alternating line) proposto dal tedesco A. Bruck. In questo sistema, a differenza di quanto attuato nel sistema SECAM, le due componenti di crominanza (derivate, anche in questo caso, dai segnali I e Q) sono trasmesse assieme in ogni linea, in modulazione di ampiezza, secondo la tecnica adottata nel sistema NTSC, però da una linea all’altra viene invertita di 180° la fase di una delle due componenti; utilizzando un’opportuna linea di ritardo, si possono allora sommare assieme o sottrarre i segnali cromatici complessivi emessi in due linee successive: se ne ricavano, indipendenti tra loro e valide per le suddette due linee successive, le componenti originali di crominanza, libere da eventuali interferenze nate durante il percorso, che vengono automaticamente eliminate con le suddette operazioni. Rispetto al SECAM, il sistema PAL è leggermente meno soggetto a distorsioni e anomalie ai margini delle zone di servizio dei vari trasmettitori, oltre a essere un po’ più semplice nella realizzazione pratica dei ricevitori. Tuttavia, si può affermare che, con televisori ben costruiti, entrambi i sistemi PAL e SECAM assicurano, nella maggioranza dei casi, una ricezione a colori decisamente soddisfacente. A partire dalla seconda metà degli anni 1970 hanno avuto inizio trasmissioni regolari con sistema PAL in quasi tutte le nazioni dell’Europa occidentale. In Italia l’inizio delle trasmissioni, con sistema PAL, è avvenuto nell’agosto 1976.
Canale video digitale. L’applicazione delle tecniche digitali alla t., con l’estensione al segnale video del DAB (digital audio broadcasting), ovvero il sistema di radiodiffusione audio che consente la trasmissione di programmi radiofonici in qualità digitale (➔ radiodiffusione), ha dato luogo allo standard DVB (digital video broadcasting), che ha sostituito completamente la t. analogica (in Italia dal 2012). Nel 1993 sono stati definiti gli standard per la diffusione da satellite e cavo, rispettivamente DVB-S e DVB-C. Nel 1995 è stato definito lo standard DVB-T per la t. digitale terrestre (DTT, digital terrestrial television). La t. digitale costituisce un elemento importante nel processo di convergenza della radiodiffusione, delle telecomunicazioni e dell’informatica. Le comunicazioni diventano multimediali e viene così a cadere per la prima volta la tradizionale linea di demarcazione fra t., radio e trasmissione dati. Il sistema DVB è anche applicabile ai servizi TV interattivi, nei quali l’utente può operare delle scelte. Allo scopo di potenziare le capacità interattive, infatti, viene utilizzato lo standard di codifica MPEG-4 (➔ MPEG). L’immagine sullo schermo non viene trattata come un quadro unitario, ma come la sovrapposizione di singoli soggetti; l’immagine può così essere presentata sotto diversi punti di vista, come se lo spettatore potesse muoversi nella scena. L’ulteriore standard MPEG-7 è specificatamente ideato per prodotti audiovisivi su rete Internet. Il decodificatore d’utente (STB, set top box), che permette di ricevere il programma digitale sul normale televisore, costituisce un punto nodale. Una funzione di tale decodificatore è l’accesso condizionato (CA, conditional access), per la decodifica dei programmi a pagamento. Le caratteristiche del CA sono proprie dell’operatore che fornisce il servizio. Il decodificatore si dice aperto quando il CA è su una scheda ed è facilmente sostituibile: l’utente può in tal caso comprare programmi da più operatori senza dover cambiare apparato.
I vantaggi del sistema DVB per l’utente, rispetto alla t. analogica, sono: a) miglioramento della qualità audio e video. I sistemi digitali sono sostanzialmente esenti da disturbi e interferenze; al contrario, quelli analogici presentano un peggioramento progressivo al diminuire del livello del segnale ricevuto; b) aumento del numero di canali disponibili. I canali terrestri DVB-T possono essere oltre 200 nelle bande VHF-UHF, quando tutti i canali analogici saranno stati convertiti in digitale. Infatti, nella banda di un canale analogico terrestre, utilizzando tecniche di codifica digitale del segnale video, si possono trasmettere fino a 5 canali TV digitali a definizione standard SDTV (standard definition TV), mentre in un canale da satellite è possibile diffondere da 5 a 8 canali digitali anche con segnali audio più complessi (stereo, multilingue). La sovrabbondanza di canali permette, in linea di principio, di aumentare l’offerta. Comunque, il mercato italiano non può, per es., sostenere più di 748 canali nazionali non tematici in chiaro (non a pagamento diretto), a causa del livello delle risorse provenienti da canone e pubblicità. Quindi, i molti canali aggiuntivi disponibili potranno essere impiegati per programmi tematici e a pagamento, sia con abbonamenti stagionali sia con acquisti di singoli prodotti quali film oppure eventi sportivi (pay-tv, pay per view, video on demand). In tale grande offerta diventa indispensabile avere una guida semplice per raggiungere il programma desiderato; tale guida, denominata EPG (electronic program guide), consiste in un pacchetto software integrato nel decodificatore del ricevitore televisivo che presenta al cliente i vari programmi forniti dai diversi fornitori in competizione. Si possono inoltre realizzare reti terrestri a singola frequenza (SFN, single frequency network), anche dette isofrequenza, le quali, pur essendo adottate anche nella radiodiffusione audio e video analogica, risultano di più semplice realizzazione, nonché di qualità nettamente superiore, nelle trasmissioni digitali. Con tale tecnica, un’emittente radiofonica o televisiva consente a un utente in movimento di ricevere il segnale audio o video corrispondente senza operare continue variazioni della sintonia sul ricevitore, grazie alla contemporanea emissione dello stesso segnale da parte di diverse postazioni rigorosamente alla stessa frequenza; è proprio nella realizzazione di quest’ultima condizione, insieme alla corretta gestione dei tempi di ritardo dei segnali emessi da ripetitori differenti, che le tecniche digitali risultano superiori a quelle analogiche; c) interattività. Con la t. digitale nasce la t. interattiva, ovvero la t. per la quale possono essere resi disponibili servizi mediante cui l’utente interagisce con la t. stessa, richiedendo specifici programmi o altri informazioni al Centro servizi del gestore televisivo. Si parla di un livello di pseudo-interattività quando il fornitore d’informazione trasmette ciclicamente i dati che il televisore seleziona localmente (per es., il Teletext). Livelli più elevati di interattività includono invece la fruizione di servizi Internet, il commercio elettronico, fino alla richiesta di spettacoli, come accade nelle pay-tv, pay per view e video on demand. La pay-tv è un canale televisivo a pagamento caratterizzato da una programmazione tematica che spazia dallo sport ai programmi per bambini; l’utente acquista per intero uno o più di questi pacchetti a tema, potendo fruire del servizio esclusivamente secondo la programmazione dell’emittente. La pay per view è invece un servizio interattivo offerto in genere dalle emittenti televisive a pagamento, le quali consentono all’utente di acquistare il singolo programma televisivo, come, per es., un film, un evento sportivo ecc. e di fruire del servizio soltanto negli orari imposti dal gestore televisivo. Anche il video on demand (VOD) è un servizio interattivo che consente, da parte dell’utente, l’acquisto di singoli programmi televisivi, potendone però fruire in qualsiasi momento, senza dover attendere, come nella pay per view, che l’emittente lo renda disponibile; d) riduzione dell’inquinamento elettromagnetico. Le caratteristiche del segnale digitale consentono di ridurre la potenza irradiata e quindi l’inquinamento elettromagnetico nelle aree servite.
La ricerca e la sperimentazione volte all’introduzione della t. digitale, iniziate nei primi anni 1980, avvenute anzitutto in Europa e in Giappone, e poi anche negli USA, hanno mirato a un miglioramento della qualità tecnica dell’immagine in movimento rispetto alla qualità standard (standard definition TV) che prevede una risoluzione massima di 720 × 480 pixel (variabile in base alla frequenza d’immagine, al rapporto d’aspetto e al tipo di scansione, progressiva o interlacciata), introducendo inizialmente la cosiddetta t. a definizione migliorata (ingl. enhanced definition TV, sigla EDTV), avente risoluzione massima 720 × 576 pixel, e successivamente la t. ad alta definizione (ingl. high definition TV, sigla HDTV), arrivando alla risoluzione di 1920 × 1080 pixel. È stato così definito un nuovo standard, secondo il quale è previsto un aumento sia delle righe di scansione orizzontale sia dei pixel relativi a ognuna di esse, il che porta a un numero 5-6 volte maggiore dei pixel complessivi. Si è inoltre realizzato l’ampliamento della larghezza dell’immagine, cioè del campo orizzontale, portando il formato a 16/9 dal classico 4/3, com’è già da molti anni per gran parte della produzione cinematografica. L’alta definizione, pertanto, oltre a offrire all’utente un servizio di qualità notevolmente più elevata rispetto alla definizione standard, facilita l’interscambio tra prodotti cinematografici e televisivi e porta a interessanti integrazioni dei due media: basti pensare al cosiddetto cinema elettronico, cioè a film girati, montati, sonorizzati ecc. con tecniche televisive. L’introduzione dell’HDTV ha però contribuito all’abbandono dei televisori che utilizzano il cinescopio a vantaggio dei moderni televisori fondati su tecniche digitali per la rappresentazione delle immagini in movimento (➔ display), soprattutto per la possibilità offerta da questi ultimi di avere ampie dimensioni frontali (fino a 70″, ovvero oltre 170 cm sulla diagonale) mantenendo lo spessore entro valori di 10-15 cm.
Un sistema televisivo è schematicamente costituito da un’apparecchiatura di ripresa (o trasmittente) e da un’apparecchiatura di riproduzione (o ricevente), connesse tra loro per mezzo di una via di telecomunicazione: quest’ultima, come precedentemente accennato, può essere un cavo coassiale (t. su cavo o via cavo) o un radiocollegamento (radiotelevisione).
L’apparecchiatura di ripresa è costituita dai seguenti componenti principali: a) un sistema ottico, simile a quelli usati nelle riprese cinematografiche, che ha il compito di mettere a fuoco l’immagine da trasmettere sull’elemento fotosensibile del sistema di ripresa; b) una macchina da ripresa, cioè un dispositivo, analogico o digitale, che ha il compito di analizzare l’immagine trasformandola nel segnale video; c) un amplificatore video, che amplifica il segnale video sino al livello di potenza richiesto per il successivo inoltro sul mezzo trasmissivo. Gran parte di questi dispositivi sono riuniti in un unico dispositivo, detto telecamera (➔ videoregistrazione). Per quanto riguarda i suoni associati alle immagini, le apparecchiature trasmittenti comprendono anche i dispositivi elettrici ed elettroacustici per la generazione e la trasmissione del segnale audio. In particolare si utilizzano microfoni su supporti mobili (giraffe) o microfoni portatili. Poiché in una trasmissione televisiva sono di norma presenti più punti di ripresa audio e video, tutti i segnali relativi sono inviati a un centro di regia, dove sono selezionati i segnali da inviare in trasmissione. Infine, nei centri di trasmissione viene generato e irradiato il segnale a radiofrequenza, ottenuto modulando opportunamente, secondo lo standard adottato, due diverse frequenze portanti, la portante video e la portante audio.
L’apparecchiatura di riproduzione è a sua volta costituita dai seguenti componenti principali: a) un amplificatore video, che amplifica il segnale video, sino al livello richiesto per l’inoltro agli stadi successivi: nei sistemi su cavo, il segnale video è prelevato dal cavo coassiale di trasmissione, in quelli radiotelevisivi esso è prelevato invece dallo stadio demodulatore di un adatto radioricevitore; b) un decodificatore d’utente o decoder (STB), per la decodifica del segnale video digitale; c) un dispositivo di riproduzione, al cui ingresso viene applicato il segnale video proveniente dal decodificatore: tale dispositivo è in sostanza costituito dal ricevitore televisivo, all’interno quale, nella maggior parte dei casi, è contenuto il decoder. La riproduzione del segnale audio è ottenuta con appositi altoparlanti, demodulando il segnale audio a radiofrequenza.
Il ricevitore televisivo è un radioricevitore (detto televisore) atto a ricevere le due portanti modulate convoglianti il segnale video e il segnale audio e a estrarre da esse questi segnali. Fino alla fine degli anni 1990, il cinescopio era l’elemento fondamentale della quasi totalità dei televisori disponibili, i quali, in seguito allo sviluppo dell’elettronica digitale, sono stati progressivamente sostituiti da televisori capaci di riprodurre le immagini in movimento senza l’ausilio del tubo a raggi catodici (➔ tubo), ma utilizzando, per es., l’emissione luminosa prodotta dalla scarica nei gas (televisori a plasma), le proprietà ottiche di particolari composti organici (chiamati cristalli liquidi) che possono essere modulate in funzione del segnale video (televisori a cristalli liquidi), oppure matrici di elementi a stato solido in cui l’emissione di luce è basata sul fenomeno dell’elettroluminescenza (➔ display).
Il cinescopio è un tubo a raggi catodici che sfrutta, per l’esplorazione dello schermo, la deflessione elettromagnetica attuata mediante due coppie ortogonali di bobine avvolte su nucleo a doppia sella o toroidale (giogo di deflessione), poste intorno al collo del tubo in prossimità della zona tronco-conica. Il cinescopio è caratterizzato dalla dimensione dello schermo rettangolare (con rapporto fra i lati pari a 4/3), misurata convenzionalmente in pollici sulla diagonale, e dall’angolo di deflessione massimo del fascetto uscente dal cannone elettronico. Poiché tale angolo non può superare certi valori massimi dipendenti dalla tecnologia usata (tipicamente 110°), la profondità del cinescopio non può essere ridotta oltre certi limiti, con ovvie conseguenze sull’ingombro longitudinale dell’apparecchio televisivo. La tensione acceleratrice applicata all’anodo finale è pari a qualche decina di kilovolt. Sono inoltre presenti due sottili strati conduttori, il primo depositato internamente al bulbo di vetro, il secondo esternamente. Anche il materiale luminescente, depositato sulla faccia frontale del tubo (il cosiddetto fosfòro), è ricoperto da un sottilissimo strato di alluminio che, oltre a realizzare insieme all’anodo un’efficace schermatura, funziona da trappola ionica di protezione del fosfòro e aumenta il rendimento luminoso del cinescopio, riflettendo verso l’osservatore anche le radiazioni emesse verso l’interno del tubo. Nei cinescopi per t. a colori, detti cinescopi tricromici, nel collo del tubo sono disposti tre cannoni elettronici e sullo schermo numerosissime terne di fosfòri di tipo diverso, secondo geometrie opportune, per i tre colori fondamentali; una sottile superficie metallica forata, detta maschera d’ombra, posta in prossimità dello schermo, provvede a fare in modo che i singoli fosfòri siano eccitati solo dal fascetto elettronico emesso dal cannone di colore corrispondente.
Le prime trasmissioni radiotelevisive sperimentali a carattere di regolare servizio di radiodiffusione ebbero inizio, fra il 1935 e il 1937, a New York, Berlino, Parigi e Londra, con portanti intorno a 50 MHz; in Italia furono effettuate trasmissioni sperimentali nel 1937-39. Il vero sviluppo della radiodiffusione televisiva si ebbe però dopo la Seconda guerra mondiale, prima negli USA, poi in Gran Bretagna, in Francia e progressivamente in tutto il mondo. Le riprese televisive hanno luogo generalmente in appositi ambienti (studi televisivi), inseriti in centri di produzione, condizionati acusticamente, nei quali un insieme di proiettori mobili dà la possibilità di illuminare convenientemente le singole scene o particolari di esse. Salvo che per semplici annunci, si usano nelle normali produzioni almeno due telecamere, così da effettuare la ripresa da più punti di vista; per lavori di un certo impegno vengono adoperate, anche per una singola scena, tre o più telecamere diverse. Queste sono montate su appositi piedistalli o carrelli e la loro mobilità è assicurata in tutte le direzioni. Le uscite delle varie telecamere sono portate a un banco centrale di commutazione e regolazione (banco di regia), dal quale si comanda il succedersi nella messa in onda delle riprese provenienti dalle telecamere o dagli apparati di registrazione, se ne controlla il funzionamento e si regola l’amplificazione del segnale video. Un analogo banco raccoglie, smista e amplifica le uscite microfoniche. Per le riprese esterne, al di fuori degli studi, si usano mezzi mobili, nei quali sono riunite, in forma estremamente compatta, tutte le apparecchiature necessarie per il comando e controllo di più telecamere (di norma da due a quattro); su mezzi speciali (motociclette, elicotteri ecc.) vengono montate a volte singole telecamere portatili, collegate per radio a una postazione centrale.
I programmi televisivi, originati o raccolti nei centri di produzione, vengono inoltrati da questi alle stazioni trasmittenti, per ponte radio o per cavo coassiale. Nella stazione trasmittente il segnale video composito modula in ampiezza una radioonda portante, la cui frequenza identifica il canale di trasmissione adottato. Prima di essere irradiato dall’antenna trasmittente, il segnale a radiofrequenza modulato viene parzialmente modificato, riducendo notevolmente l’estensione (a seconda dei sistemi, da un quarto a un ottavo del valore completo) di una delle bande laterali di modulazione (sistema di modulazione a banda vestigiale). Tale operazione è effettuata per limitare l’ampiezza del radiocanale occorrente e consentire quindi l’impiego di un maggior numero di canali televisivi. Per la trasmissione dei suoni si procede come per una normale trasmissione radiofonica: l’uscita del trasmettitore audio (la cui frequenza, come accennato, differisce di un valore determinato da quella del trasmettitore video) viene generalmente accoppiata a quella del trasmettitore video tramite un dispositivo a filtri (detto diplexer) così da alimentare un’unica antenna. L’esperienza ha dimostrato che, per evitare interferenze del suono sull’immagine, conviene usare per il trasmettitore audio una potenza compresa tra metà e un quarto di quella del trasmettitore video.
Alla t. sono stati riservati, con accordi internazionali, stabiliti dalla UIT (Unione Internazionale delle Telecomunicazioni), alcune bande di radiofrequenze e precisamente: a) in VHF (onde metriche): da 45 a 68 MHz (cosiddetta banda I) e da 174 a 230 MHz (banda III); in Italia si utilizza anche un canale (81-88 MHz) della cosiddetta banda II, riservata altrimenti alle trasmissioni radiofoniche in modulazione di frequenza; b) in UHF (onde decimetriche): da 470 a 582 MHz (banda IV) e da 582 a 960 MHz (banda V). Ogni canale impegna 7 MHz: di questi, 0,75 MHz sono relativi alla banda laterale inferiore, parzialmente soppressa, e 5 MHz alla banda laterale superiore; la portante audio dista, nel sistema adottato in Italia e in vari paesi europei, 5,5 MHz da quella video ed è ad essa superiore di frequenza; la distanza tra i canali adiacenti è di almeno 7 MHz per le trasmissioni in VHF (sistema europeo B), di 8 MHz per quelle in UHF (sistema europeo G). L’assegnazione in ogni paese dei diversi canali alle varie stazioni è effettuata, a parte eventuali accordi internazionali, cercando di evitare possibili interferenze tra emittenti che servono zone limitrofe.
Le radioonde utilizzate per la t., a causa della loro frequenza elevata, si propagano praticamente in linea retta e non sono perciò ricevibili, salvo eccezionali condizioni atmosferiche, molto al di là dell’orizzonte dell’antenna. Per aumentare al massimo la portata, le stazioni trasmittenti sono di norma sistemate in località elevate, generalmente cime di monti. Egualmente, a meno di trovarsi in favorevoli condizioni, è per lo più necessario dotare gli apparecchi riceventi di apposite antenne esterne, di solito installate sui tetti degli edifici di abitazione. Nelle stazioni trasmittenti la stessa torre di sostegno delle antenne televisive porta frequentemente anche le antenne per le trasmissioni radiofoniche a modulazione di frequenza, le cui caratteristiche di propagazione (trasmissione in banda II tra 87,5 e 104 MHz) sono simili a quelle della radiotelevisione. La limitazione della zona di servizio alla portata ottica rende necessario installare, per la copertura di un’intera nazione, un elevato numero di impianti trasmittenti collegati tra loro attraverso reti in ponte radio o in cavo coassiale. A volte, soprattutto per servire piccoli centri abitati periferici, si stabiliscono catene di più ripetitori in cascata tra di loro (sistema detto a rimbalzo); tuttavia, in questo caso, la qualità del segnale decade inevitabilmente, sia pure non di molto, in ogni successivo passaggio.