telecomunicazione Nome generico di ogni procedimento che permette di far pervenire a uno o più corrispondenti informazioni di varia natura (documenti scritti o stampati, immagini fisse o mobili, parole, musica, segnali visibili o udibili ecc.) utilizzando un qualsiasi sistema di trasmissione.
Le t. possono essere classificate secondo vari criteri, fra cui il tipo e il numero di corrispondenti da collegare, il tipo e la natura del messaggio da trasmettere, il mezzo e la tecnica usata per la trasmissione del messaggio ecc. È opportuno osservare che, sebbene possano essere usati vari sistemi per trasmettere informazioni a distanza (segnali luminosi, acustici, visivi ecc.), i mezzi messi a disposizione dalla tecnica elettronica sono di gran lunga più efficienti e più flessibili. Pertanto, con il termine t. si intendono spesso il campo e le applicazioni delle t. elettriche, o di quelle da queste derivate. Infatti è solo attraverso i mezzi elettrici che la trasmissione dell’informazione ha assunto l’attuale rilevanza; i vari messaggi risultano affidati alla propagazione di campi elettromagnetici, la cui velocità è la massima possibile essendo pari alla velocità della luce.
Classificazione dal punto di vista dei soggetti interessati. Si hanno le t. punto-punto quando sono presenti due soggetti separati, il primo che genera l’informazione, il secondo che la riceve. È ovvio che in questo caso è necessario instaurare fra i due soggetti un opportuno canale per tutta la durata della trasmissione. Il canale può essere monodirezionale quando i due soggetti mantengono i propri ruoli o bidirezionale quando essi possono scambiare i ruoli di sorgente e di ricevitore di messaggi. Se la sorgente dell’informazione trasmette il messaggio a un insieme di ricevitori, allora si parla di t. circolari (multicast) o di t. in diffusione (broadcast). Quest’ultimo è, per es., il caso della radiofonia, in cui risulta interessato un vasto insieme di ascoltatori. È tuttavia anche possibile che il medesimo soggetto trasmetta e, nello stesso tempo, riceva informazioni allo scopo di esplorare l’ambiente circostante a mezzo di segnali opportuni (segnali radar, segnali acustici, segnali ottici); è ovvio che in questo caso i segnali ricevuti saranno diversi da quelli trasmessi, in quanto dovranno contenere l’informazione relativa all’ambiente da esplorare. Tali considerazioni permettono di far rientrare nell’ambito delle t. (almeno in relazione alle tecniche e alle metodologie usate) anche le tecniche e tecnologie radar, sonar e di telerilevamento.
Classificazione dal punto di vista del messaggio da trasmettere. Si basa sulla quantità di informazione contenuta e sul tempo a disposizione per effettuarne la trasmissione. Fin dai primi tentativi effettuati per ottenere collegamenti elettrici, è stato messo in evidenza il legame esistente fra tali quantità e la larghezza di banda in frequenza del segnale elettrico associato al messaggio. Pertanto i vari settori delle t. possono essere distinti in base alle larghezze di banda impiegate. Da tale punto di vista, bande di frequenza inferiori al kilohertz sono usate per telegrafia, bande da qualche kilohertz a qualche decina di kilohertz per trasmissioni vocali e musicali (telefonia, radiofonia, diffusione sonora ecc.), bande superiori a qualche megahertz per trasmissioni di immagini in movimento (televisione).
Lo sviluppo della tecnologia elettronica ha reso importanti le trasmissioni di tipo digitale. Ciò ha dato luogo a una diversa possibile classificazione dei segnali d’interesse sulla base delle cifre binarie (bit di informazione) da trasmettere al secondo. Il teorema del campionamento (➔) permette in ogni caso di legare la larghezza di banda di un canale digitale alla sua capacità di trasmissione espressa in bit/s (anche chiamata velocità di cifra o bit rate). In questo modo si ottiene che un canale telegrafico corrisponde a qualche centinaio di bit per secondo, un canale telefonico corrisponde a 64 kbit/s ecc. Nella trasmissione di dati, in cui la sorgente o il destinatario possono essere anche due apparati di elaborazione, il servizio di t. è classificato sulla base della capacità del canale trasmesso. Si hanno così, nelle più evolute applicazioni in campo telematico, t. a grandissima capacità di canale, fino a molte centinaia di Mbit/s.
Classificazione dal punto di vista dei mezzi trasmissivi usati. Occorre distinguere fra mezzi fisici e mezzi tecnici usati per instaurare e mantenere il collegamento. Per mezzi fisici si intendono i dispositivi materiali utilizzati, che possono essere le linee di trasmissione (bifilari o in cavo coassiale), le tratte hertziane (per collegamenti via radio), le fibre ottiche ecc. I collegamenti sono ovviamente resi possibili utilizzando opportuni apparati di trasmissione e di ricezione ovvero opportuni ripetitori, che permettono di trasmettere a distanza e verso località non altrimenti raggiungibili (come, per es., nelle t. in ponte radio o via satellite). Ciascun mezzo fisico di trasmissione ha caratteristiche proprie nei confronti del tipo di canale usato e introduce una certa quantità di disturbi (rumore, interferenze) che tendono a degradare l’efficienza del collegamento e la qualità del messaggio ricevuto. Per ottimizzare il sistema di trasmissione, tenuto conto del tipo di messaggio e del tipo di mezzo fisico a disposizione, si utilizzano opportuni procedimenti tecnici di fondamentale importanza nelle t., quali la modulazione, la codifica, la multiplazione, l’equalizzazione, l’amplificazione ecc. Per mezzo di tali tecniche si ottengono numerosi vantaggi, fra cui la possibilità di usare mezzi trasmissivi, utili in certe bande di frequenza, per segnali caratterizzati da bande differenti; l’immunità dal rumore per quanto ciò sia tecnicamente possibile; la separazione del segnale utile da segnali interferenti, sia intenzionali sia casuali; la trasmissione di più segnali sullo stesso mezzo trasmissivo; il mascheramento del segnale (con opportuni procedimenti crittografici) per renderlo particolarmente immune rispetto a tentativi di ricezione non desiderati ecc. Le varie tecniche di trasmissione sono valutate sulla base di criteri facenti capo al concetto di qualità di trasmissione, definita in modo diverso a seconda del tipo di messaggio considerato. Nel caso delle t. analogiche è comune la considerazione del rapporto segnale rumore in ricezione (SNR, signal to noise ratio), mentre per le t. digitali quello del tasso di errore numerico (BER, bit error rate). Grande importanza, nelle t. in campo telefonico o telematico, assume il settore della commutazione, che permette di instaurare, mantenere o disattivare collegamenti temporanei fra utenti, connessi alla stessa rete di telecomunicazioni. Si tratta in tal caso di collegamenti punto-punto o eccezionalmente di tipo multicast.
Sebbene nelle t. moderne sia sviluppata la tendenza a integrare sistemi e servizi, i grandi sistemi di t. rimangono ancora separati e si distinguono nei sistemi telegrafici e telefonici (trasmissione e reti) e nei sistemi di radio e video diffusione (produzione, trasmissione e ricezione). Ciascuno di essi può utilizzare in cascata molteplici sistemi e mezzi trasmissivi, sempre con il vincolo che in ricezione la qualità del segnale rimanga accettabile. È evidente che, per mantenere adeguata la qualità di trasmissione e contemporaneamente elevata la flessibilità del collegamento, è necessario che nei vari punti di interconnessione delle varie tratte e dei vari sistemi siano stabilite in modo preventivo le caratteristiche tecniche (elettriche, di banda ecc.) dei canali da interconnettere. Ciò è possibile in base a opportune convenzioni, stabilite con normative e raccomandazioni emesse da appositi organismi internazionali, a cui gli apparati debbono sottostare.
Nel corso degli anni 1990 si è assistito a un notevole incremento della domanda di servizi di t., in particolare per il trasporto di dati, che si appresta a superare in volume il traffico vocale. Inoltre, la diffusione di Internet rende possibile l’accesso a una enorme quantità di documenti, sia sotto forma testuale sia audio e video. Per gestire il traffico generato dalle richieste degli utenti, le infrastrutture di t. hanno subito significativi adeguamenti e sono in fase di continua evoluzione, per quanto riguarda sia la porzione di banda di accesso alla rete sia il trasporto sulle lunghe distanze. La necessità di rendere disponibile all’utente una quantità di banda molto maggiore di quella richiesta dal servizio telefonico ha condotto all’ideazione di tecniche trasmissive che permettono di inviare segnali a larga banda sia sull’infrastruttura telefonica già esistente sia attraverso il mezzo radio. Sull’infrastruttura di lunga distanza è diventato dominante l’impiego della fibra ottica, grazie alla grande quantità di banda trasportabile da una singola fibra (mediante la trasmissione di segnali luminosi a diversa lunghezza d’onda sulla stessa fibra).
Sistemi di distribuzione a larga banda su cavo. La rete di distribuzione dei segnali telefonici, che realizza il collegamento tra l’ultima centrale di commutazione e l’utente (il cosiddetto rilegamento d’utente), costituisce ancora la parte preponderante degli investimenti nelle infrastrutture di telecomunicazioni. Su di essa le fibre ottiche rimangono ancora scarsamente impiegate a causa dell’elevato costo di instal;lazione. Il mezzo trasmissivo dominante è invece costituito da cavi in rame, i quali contengono i doppini, coppie di fili (twisted pair) ognuna delle quali dedicata a un utente. La struttura di una rete di distribuzione in rame è riportata in fig. 1. Da ogni centrale telefonica (la zona servita da una centrale è denominata area di centrale) parte un certo numero di cavi, i quali suddividono l’area di centrale in altrettante aree cavo (che in fig. 1 sono delimitate da linee tratto-punto). Tipicamente ogni cavo porta qualche migliaio di doppini. Da ogni cavo si dirama una serie di collegamenti verso gli armadi di distribuzione, ognuno dei quali riceve diverse centinaia di doppini. Un ulteriore punto di diramazione è costituito dalle cassette di distribuzione (o distributori), ognuna delle quali riceve un numero di doppini che va da una decina a un centinaio. Il tratto che va dalla centrale telefonica agli armadi di distribuzione è la rete di distribuzione primaria; la rete secondaria connette invece gli armadi agli utenti.
Fino alla fine degli anni 1990, le tecniche trasmissive tradizionalmente usate per inviare il segnale telefonico sul doppino non permettevano però il raggiungimento di velocità trasmissive adeguate per la fornitura di servizi a larga banda; infatti, fino al 2001, i modem (mo-demodulatori) connessi alla rete telefonica mediante il doppino consentivano di trasmettere dati con velocità fino a 56 kbit/s. Quindi, per continuare a sfruttare le grandi potenzialità costituite dalla capillare rete di distribuzione in rame, sono state messe a punto tecniche che permettono di elevare la velocità fino a parecchi milioni di bit al secondo. Queste tecniche sono collettivamente indicate con la sigla xDSL, in cui DSL (digital subscriber line) indica la linea digitale d’utente e x la particolare tecnica all’interno di questa classe. Le più importanti sono la tecnica ADSL (asymmetric digital subscriber line), che indica la linea digitale d’utente a velocità asimmetrica, e la VDSL (very high speed digital subscriber line), che indica la linea digitale d’utente a velocità molto elevata. Per ognuna di queste tecniche esiste una relazione precisa tra la massima velocità ottenibile e la distanza coperta: la velocità massima diminuisce all’aumentare della distanza. In funzione della velocità desiderata si potrà quindi scegliere la tecnica più adatta e la porzione della rete di rame che è possibile utilizzare, individuando il punto della rete di distribuzione in cui inserire il segnale ADSL e coprendo la parte rimanente mediante fibra ottica.
In fig. 2 sono indicate alcune possibili configurazioni per il trasporto di segnali a larga banda nella rete di distribuzione. Nella configurazione FTTH (fiber to the home) il segnale a larga banda viaggia su fibra ottica fino alla sede dell’utente, nella quale un apparato denominato ONU (optical network unit) provvede a convertire il segnale ottico in elettrico e a distribuirlo all’interno dei locali. Si tratta quindi di una configurazione estrema in cui non si utilizza la rete di distribuzione in rame. Se l’ONU è collocata al piano terra o nello scantinato di un edificio, si possono sfruttare le tecniche xDSL nel cablaggio verticale verso i piani più alti (configurazione fiber to the building, FTTB). Nella configurazione FTTC (fiber to the curb) il punto di demarcazione (ovvero l’ONU) tra rete in fibra e rete in rame è situato sul marciapiede (per es., in corrispondenza di una cassetta di distribuzione). Spostando l’ONU presso un armadio di distribuzione si ottiene la configurazione FTTCab (fiber to the cabinet), in cui il tratto in rame riutilizzato può essere lungo anche un paio di chilometri. Infine, nella FTTEx (fiber to the exchange), la configurazione tipicamente adottata per l’ADSL, l’ONU è collocata presso la centrale di commutazione e si riutilizza l’intera rete di distribuzione in rame.
In generale, maggiore è la lunghezza della tratta in rame, minore è la velocità di trasmissione (bit rate); tuttavia, se si allunga il tratto in fibra ottica spostando l’ONU più vicino alla sede dell’utente, l’ONU è utilizzata da un minor numero di utenti e quindi il costo per utente risulta maggiore. Il motivo della diminuzione della capacità trasmissiva con la distanza risiede nella notevole presenza di disturbi che affliggono le tecniche xDSL. Si deve anzitutto considerare che l’attenuazione del segnale aumenta con la lunghezza del doppino e varia con la frequenza. Inoltre sono presenti effetti di accoppiamento di segnale tra i diversi doppini presenti all’interno dello stesso cavo (diafonia).
Le applicazioni delle tecniche xDSL sono principalmente l’accesso a Internet ad alta velocità, l’accesso remoto a sedi aziendali, il trasporto di segnali video (video on demand), i giochi interattivi, il telelavoro cooperativo e la teleistruzione.
La tecnica ADSL deve il suo nome all’asimmetria delle velocità massime raggiungibili nei due versi (utente-rete e rete-utente). Per i servizi di t. come Internet e distribuzione di video, la quantità di informazioni che l’utente preleva dalla rete è in genere molto maggiore di quella che egli invia. Su distanze brevi (inferiori a 2,5 km) l’ADSL permette una velocità massima di circa 24 Mbit/s nella direzione dalla rete verso l’utente (downstream), e di 1 Mbit/s nella direzione opposta (upstream). La velocità massima diminuisce rapidamente con la distanza, riducendosi a 1 Mbit/s nella direzione downstream su distanze di 5 km. Un andamento indicativo della velocità con la distanza è riportato in fig. 3. La configurazione tipica di un impianto in tecnica ADSL è riportata in fig. 4. Si tratta di una configurazione FTTEx, in cui sia presso la centrale telefonica sia presso l’utente è installato uno splitter, ovvero un filtro passivo che provvede a miscelare e separare il segnale telefonico e quello a larga banda, in modo che essi possano essere trasmessi sullo stesso doppino. Nella sede di centrale del gestore della rete i segnali proseguono rispettivamente verso la centrale telefonica e verso un modem ADSL, denominato ATU-C (ADSL terminal unit-central office), alloggiato all’interno di un multiplatore ADSL oppure di un dispositivo ONU di interfaccia elettro-ottica. Presso la sede dell’utente il segnale telefonico in uscita dallo splitter (posto all’ingresso dell’appartamento) prosegue verso il telefono utilizzando il cablaggio telefonico preesistente. Il segnale a larga banda viene invece diretto al modem ADSL (ATU-R, ADSL terminal unit-remote), che funge da interfaccia verso il terminale d’utente (per es., il PC), attraverso un cablaggio appositamente realizzato in doppino. In alternativa a questa configurazione, denominata con splitter concentrato, è possibile utilizzare una configurazione, più semplice della precedente, con splitter distribuito, in cui i segnali telefonico e a larga banda viaggiano all’interno dell’appartamento sullo stesso cablaggio telefonico preesistente. Il PC può poi essere collegato a qualunque presa telefonica previo inserimento di un filtro passa-alto e della ATU-R. Su ogni presa telefonica alla quale si collega un telefono occorre però inserire un filtro passa-basso. Le prestazioni in termini di velocità sono però ridotte in misura variabile tra il 10% e il 40%.
La tecnica VDSL è di impiego analogo alla ADSL, ma permette velocità di trasmissione dati ancora maggiori, pari a circa 24 Mbit/s su distanze di 1,5 km e circa 100 Mbit/s su distanze fino a 300 m; questi valori sono da intendersi come velocità complessive da suddividere tra i flussi downstream e upstream in maniera simmetrica oppure asimmetrica. Come l’ADSL, la VDSL permette il trasporto contemporaneo del segnale telefonico, che viene miscelato e separato con quello a larga banda mediante l’impiego di uno splitter. Il trasporto di segnali upstream e downstream può avvenire sia mediante multiplazione a divisione di frequenza (i due segnali occupano cioè porzioni diverse dello stesso spettro, come avviene nella ADSL) sia con multiplazione a divisione di tempo, denominata anche ping-pong, in cui la trasmissione avviene alternativamente dalla rete all’utente e viceversa. Il segnale a larga banda così ottenuto viene trasmesso su una gamma di frequenze che ha come limite inferiore 300-600 kHz e come limite superiore 20-30 MHz. A causa della notevole occupazione spettrale, la tecnica VDSL è particolarmente suscettibile alle interferenze. In compenso, la disponibilità di un’elevata capacità trasmissiva rende possibili parecchie applicazioni dirette all’utenza residenziale, quali la trasmissione simultanea di più canali televisivi, l’utilizzo simultaneo di più connessioni a larga banda da parte di utenti situati nello stesso appartamento, e applicazioni professionali in diversi settori, quali, per es., l’industria editoriale e cinematografica (produzione distribuita) e la ricerca scientifica (accesso a sistemi di calcolo).
Sistemi di accesso radio a larga banda. Un’alternativa ai sistemi trasmissivi su portante fisica (rame, mediante le tecniche xDSL, oppure fibra ottica) per la copertura dell’ultimo tratto della rete di distribuzione è costituita dai sistemi LMDS (local multipoint distribution system). Questi, anche noti come sistemi wireless, permettono un’interconnessione a larga banda con accesso radio e sono basati sullo stesso principio cellulare impiegato nella telefonia mobile. Il protocollo wireless attualmente più diffuso è quello denominato wi-fi (➔), basato sulle specifiche IEEE 802.11. Come illustrato in fig. 5, una stazione base costituita da una coppia ricevitore-trasmettitore, le cui antenne sono installate su un edificio sufficientemente alto da garantire la visibilità completa a tutti gli utenti, permette il collegamento tra la rete e gli utenti dotati di un’installazione fissa entro una distanza di 3-5 km dalla stazione base stessa. La distanza massima è limitata soprattutto a causa dell’attenuazione atmosferica (in particolare, la pioggia). Le antenne della stazione base sono in genere di tipo direttivo con una copertura azimutale di 60°-90°; la copertura a 360° richiede quindi 4-6 coppie trasmettitore-antenna. In caso di aumento dell’utenza, la configurazione di copertura può essere modificata ricorrendo alle stesse tecniche impiegate nella telefonia radiomobile (cioè la settorizzazione della cella, o cell splitting). Le stazioni base sono interconnesse tra di loro mediante collegamenti in fibra ottica o ancora in collegamento in ponte radio. Tra le stazioni base alcune fungono da transito verso le reti esterne. Le frequenze utilizzate ricadono nella gamma millimetrica (in genere nella gamma 22-24 e 40-44 GHz), con conseguente notevole sensibilità ai fenomeni meteorologici, ma con il vantaggio di poter disporre di un’elevata banda. La trasmissione dalla stazione base verso gli utenti viene effettuata in diffusione con una capacità di 34-38 Mbit/s per ogni flusso. Il collegamento dall’utente verso la stazione base è invece di tipo punto-punto e la capacità può andare da qualche kbit/s a circa 25 Mbit/s. Tra le applicazioni tipiche dei sistemi LMDS rientrano la diffusione dei segnali televisivi, l’accesso a Internet e la teleistruzione. Rispetto ai sistemi basati su portante fisica, la tecnica LMDS ha il vantaggio di consentire la copertura completa di un’area con una sola installazione, fornendo però una capacità individuale decrescente all’aumentare della densità dell’utenza.
Con lo stesso principio cellulare dei sistemi LMDS operano i sistemi MMDS (multipoint multichannel distribution service), ma su frequenze intorno a 2,5 GHz. L’utilizzo di una frequenza più bassa rende il raggio di copertura più esteso di quello dei sistemi LMDS, da 40 a 60 km. Anche in questo caso la stazione base e le antenne degli utenti devono essere in visibilità. L’utilizzo principale è quello della distribuzione di segnali televisivi in alternativa alla TV via cavo. Le stazioni base sono quindi collegate con il centro di distribuzione dei segnali televisivi piuttosto che tra di loro; il collegamento è effettuato su portante fisico.
Oltre che nella rete terrestre, l’utilizzo delle fibre ottiche ha avuto un notevole impulso nei sistemi sottomarini, non solo per i collegamenti intercontinentali (come valida alternativa ai satelliti), ma anche per i collegamenti su brevi distanze (tra terraferma e isole) o su medie distanze, là dove l’equivalente collegamento terrestre sia molto più lungo e quindi meno conveniente (per es., tra Italia e Spagna). La capacità dei sistemi ottici impiegati per questi collegamenti ha subito negli ultimi 20 anni del 20° sec. un incremento di diversi ordini di grandezza, in particolare grazie al passaggio dai sistemi monocanale, con multiplazione a divisione di tempo (TDM, time division multiplexing), a quelli multicanale, con multiplazione a divisione di lunghezza d’onda (WDM, wavelength division multiplexing), intendendo per canale quello costituito da una singola lunghezza d’onda, come si può vedere dalla fig. 6. La capacità per fibra ha superato il limite di 1 Tbit/s, valore che corrisponde all’incirca al trasporto di 30 milioni di connessioni dati a 33 kbit/s ovvero di 20 milioni di canali telefonici vocali. Allo sviluppo della capacità si accompagna un notevole decremento del costo per unità di capacità. Lo sviluppo dei sistemi di trasmissione ottica è dovuto a progressi sia nelle tecnologie delle fibre ottiche e degli amplificatori sia nelle tecniche trasmissive.
Le fibre ottiche. Sono impiegate fibre ottiche (➔ fibra) del tipo monomodale, operanti generalmente a lunghezze d’onda intorno a 1310 e 1550 nm (dette rispettivamente seconda e terza finestra). I due fenomeni che limitano la distanza che può essere coperta con un collegamento in fibra ottica sono l’attenuazione e la dispersione. L’attenuazione dell’impulso ottico risulta minima intorno a 1550 nm, dove ha valori compresi tra 0,22 e 0,24 dB/km; a 1310 nm il valore è invece circa 0,35 dB/km. Il fenomeno della dispersione consiste invece nell’allargamento dell’impulso ottico durante l’attraversamento della fibra. In presenza di velocità di trasferimento dati elevate, questo allargamento può comportare una sovrapposizione degli impulsi adiacenti e una maggiore probabilità di errore sul bit.
Si distingue tra due tipi di dispersione, dovuti a cause diverse: dispersione cromatica e dispersione di polarizzazione. La prima è dovuta alla dipendenza del tempo di propagazione lungo la fibra dalla lunghezza d’onda: l’impulso ottico emesso è infatti costituito da più lunghezze d’onda, e poiché lunghezze d’onda diverse hanno tempi di propagazione diversi, le varie componenti dell’impulso arrivano in tempi diversi al termine della fibra. Pertanto la dispersione cromatica è legata alla larghezza spettrale dell’impulso trasmesso (espressa in nanometri) e alla lunghezza del collegamento. La larghezza temporale dell’impulso ricevuto è proporzionale al prodotto della larghezza spettrale dell’impulso trasmesso per la lunghezza del tratto di fibra. Il coefficiente di proporzionalità, detto coefficiente di dispersione cromatica, ha valori generalmente compresi tra 1 e 20 ps/nm·km (picosecondi per nanometro e per kilometro). L’allargamento dovuto alla dispersione di polarizzazione (fenomeno più complesso della dispersione cromatica) cresce invece con la radice quadrata della distanza. La dispersione di polarizzazione ha acquisito un’importanza sempre maggiore a causa del progressivo aumento della velocità di trasmissione numerica; essa è infatti rilevante per velocità superiori a 2,5 Gbit/s e su distanze superiori a 100 km. Una differenza importante tra i due tipi di dispersione è che mentre quella cromatica è un fenomeno deterministico e può essere compensata, la dispersione di polarizzazione costituisce un fenomeno aleatorio di difficile rimedio.
Gli amplificatori ottici. Il collegamento ottico prevedeva in passato l’inserimento, a cadenze regolari, di rigeneratori che provvedevano a convertire l’impulso ottico in elettrico, ricostruire la forma d’onda eliminando l’effetto del rumore e riemettere un impulso ottico non affetto da distorsioni. Negli anni 1990 i rigeneratori sono stati sostituiti da amplificatori che operano direttamente sul segnale ottico, senza necessità della conversione ottico-elettrica e viceversa. Gli amplificatori ottici disponibili sono fondamentalmente di tre tipi: amplificatori a fibra attiva (OFA, optical fiber amplifier), così denominati perché fanno uso di spezzoni di fibra ottica drogati con materiali appartenenti al gruppo delle terre rare (erbio, tulio, neodimio), amplificatori a semiconduttore (SOA, semiconductor optical amplifier), che richiedono, rispetto a quelli a fibra attiva, un minore numero di componenti e risultano quindi più compatti ed economici, e amplificatori basati sull’effetto Raman, che forniscono un’amplificazione distribuita lungo la fibra, aumentando in tal modo la lunghezza delle tratte tra gli amplificatori con conseguente riduzione del loro numero complessivamente utilizzato per l’intero collegamento.
La trasmissione in tecnica numerica sincrona. Utilizzando come mezzo trasmissivo fibre ottiche monomodali, la tecnica numerica sincrona SDH (synchronous digital hierarchy) permette velocità di cifra fino a circa 10 Gbit/s. La trasmissione avviene alle velocità predefinite riportate in tab., che costituiscono la cosiddetta gerarchia numerica sincrona. Il livello della gerarchia viene individuato dalla sigla STM (synchronous transport module) e dal corrispondente numero di flussi base (cioè operanti alla velocità di cifra più bassa STM-1). Nel flusso di base STM-1 l’informazione numerica da trasportare è strutturata in trame (frames) che si ripetono nel tempo con un periodo di 125 μs: un flusso STM-1 trasporta quindi 8000 trame al secondo. Ogni trama è composta da una sezione di overhead che contiene le informazioni di servizio e un contenitore virtuale (virtual container) in cui si trovano le informazioni inviate dall’utente. I livelli superiori della gerarchia sincrona (STM-n) sono multipli interi del primo livello; la composizione di una trama STM-n avviene prelevando ciclicamente un gruppo di 8 bit da ognuna delle trame STM-1 componenti e inserendolo nella nuova trama STM-n, nella quale il tempo che intercorre tra due successivi bit è n volte inferiore a quello che si ha nella trama STM-1. Per trasmettere segnali la cui velocità di cifra è diversa rispetto a quella offerta dai livelli della gerarchia, occorre inserirli in un modulo STM con velocità di cifra superiore. Ogni modulo trasporta quindi segnali dovuti a utenti diversi. La posizione di ogni segnale all’interno del modulo viene individuata mediante un puntatore.
Le reti trasmissive basate sulla gerarchia SDH hanno una topologia tipicamente ad anello (fig. 7), in cui ogni anello è costituito dall’interconnessione di apparati di mudemultiplazione (ADM, add/drop multiplexer) che provvedono a inserire (ovvero a estrarre) i flussi trasmissivi a velocità più basse (denominati tributari) sul collegamento con gli altri ADM, operante a una delle velocità di cifra indicate in tabella. Il collegamento tra diversi anelli è garantito dall’interposizione di permutatori (DCS, digital cross-connect system), la cui configurazione (cioè l’associazione tra flussi in ingresso e in uscita) può essere modificata mediante il sistema di gestione della rete. La struttura ad anello consente una notevole protezione del collegamento trasmissivo da guasti dei nodi e dei collegamenti tra questi. In caso di taglio della fibra o di guasto di un nodo i flussi trasmissivi possono infatti essere reinstradati su un percorso alternativo che aggira il punto di guasto (per es., su un anello si possono installare due fibre su cui si trasmette in direzioni opposte). Il secondo percorso può essere sempre attivo, in modo che la selezione tra i due percorsi avvenga alla destinazione (protezione 1+1), oppure può costituire un percorso di riserva attivabile al momento del guasto (protezione 1:1).
La tecnica di multiplazione a divisione di lunghezza d’onda. Tra le tecniche di trasmissione su fibra ottica, alla multiplazione a divisione di tempo (TDM) si è affiancata una nuova tecnica denominata multiplazione a divisione di lunghezza d’onda (WDM). La tecnica WDM permette di trasmettere sulla stessa fibra ottica un insieme di canali caratterizzati da lunghezze d’onda portanti diverse; essa costituisce l’analogo in campo ottico della multiplazione a divisione di frequenza (FDM, frequency division multiplexing). Lo schema di principio di un collegamento trasmissivo in tecnica WDM è riportato in fig. 8: i vari tributari ottici operanti su lunghezze d’onda diverse vengono multiplati su una medesima fibra ottica interrotta periodicamente dall’inserimento di amplificatori ottici; all’arrivo, i tributari ottici vengono separati mediante un apparato di demultiplazione all’interno del quale le diverse lunghezze d’onda sono separate da filtri ottici. Se i segnali in arrivo al multiplatore hanno già il formato corretto in termini di potenza e di lunghezza d’onda, si ha un sistema integrato e le interfacce tra gli apparati dei clienti e il sistema WDM vengono dette interfacce colorate. Nel caso contrario, il sistema WDM provvede, attraverso dispositivi transponder o adattatori di lunghezza d’onda, a generare nuovi segnali ottici con lo stesso contenuto informativo dei segnali inviati dall’utente, ma con livelli di potenza e lunghezze d’onda conformi alle specifiche del sistema WDM, che in questo caso viene detto sistema aperto o con transponder. Per ottenere applicazioni di trasporto in ambito locale o metropolitano (distanze dell’ordine della decina di kilometri) è anche possibile evitare l’uso di amplificatori ottici. Su distanze più grandi sono invece necessari amplificatori ottici con un passo che varia tipicamente da 50 a 100 km. La spaziatura minima tra due canali in un sistema WDM è di circa 1 nm.
È possibile realizzare sistemi con spaziatura tra canali ancora inferiore; in questo caso si parla più correttamente di DWDM (dense wavelength division multiplexing), ovvero di multiplazione densa. I sistemi DWDM sono stati sviluppati principalmente nella terza finestra ottica (lunghezze d’onda intorno a 1550 nm) grazie alla disponibilità di amplificatori ottici con alte prestazioni proprio in questa gamma. L’addensamento dei canali permette un maggior sfruttamento della banda ottica disponibile, consentendo in tal modo il superamento della barriera del Tbit/s.
Secondo le definizioni contenute in numerose convenzioni internazionali, con il termine t. s’intende «ogni trasmissione, emissione o ricezione di segni, segnali, scritti, immagini, audio o informazioni di qualunque natura, mediante cavo, radioelettricità, ottica e altri sistemi elettromagnetici» (Convenzione di Ginevra del 22 dicembre 1992, resa esecutiva in Italia con l. 61/1996, stipulata nell’ambito dell’ITU, International Telecommunication Union). Per lungo tempo, la gestione del servizio di t. è stata rimessa allo Stato, sulla base della considerazione che, essendo esso rivolto al soddisfacimento di bisogni della collettività, ne fosse, di conseguenza, necessitata la spettanza (l. 184/1892, r.d. 645/1936, d.p.r. 156/1973). In questo sistema tradizionale, era di competenza del ministro delle Poste e delle t. rilasciare, discrezionalmente, le relative concessioni sulla base di procedure abbastanza articolate. Questo assetto, anche in virtù delle particolari posizioni di privilegio riconosciute all’amministrazione rispetto agli utenti, di certo non contribuiva a creare un mercato delle t. aperto al regime concorrenziale. Una notevole spinta in tal senso è stata, invece, data dal processo di liberalizzazione avviato dall’Unione Europea a partire dagli anni 1980. Infatti, si era compreso che, al fine di promuovere l’efficienza in un mercato estremamente dinamico come quello delle t., era necessario adottare politiche che incentivassero e, al contempo, fossero in grado di garantire, la concorrenza nel mercato.
In altri termini, la liberalizzazione del servizio di t. richiedeva non solo che fossero rimossi gli ostacoli che di fatto precludevano il libero accesso al mercato dei diversi operatori economici ma, soprattutto, che a costoro fosse assicurata la persistenza di un regime concorrenziale all’interno del mercato medesimo. In questo contesto si collocano le direttive 51/1995/CE, 62/1995/CE, 2/1996/CE, 19/1996/CE, 13/1997/CE. Queste ultime hanno il merito di aver, diversamente, disciplinato le modalità d’ingresso nel mercato delle t., istituendo, in luogo delle precedenti concessioni, un sistema di accesso imperniato sull’adozione di provvedimenti non discrezionali (autorizzazioni generali, licenze individuali), di aver abolito le suddette posizioni di privilegio, di aver previsto la separazione tra la funzione di gestione e quella di regolazione del servizio – devolvendo la seconda a un’autorità amministrativa indipendente – e di aver contribuito a qualificare il servizio di t. in termini di servizio universale.
L’ordinamento della comunicazione, ai sensi dell’art. 117 Cost., come novellato dalla l. cost. 3/2001, rientra tra le materie di legislazione concorrente Stato-regioni, eccezion fatta per tutti i profili attinenti alla tutela della concorrenza, spettanti alla legislazione esclusiva dello Stato. Dunque, mentre allo Stato è rimessa solo la determinazione dei principi fondamentali, la potestà legislativa è attribuita alle Regioni, le quali devono esercitarla nel rispetto della Costituzione e dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.
La rapida evoluzione tecnologica ha ben presto richiesto nuovamente l’intervento del legislatore comunitario. In questo contesto, si inserisce il secondo blocco di direttive in materia di t. (19/2002/CE, 20/2002/CE, 21/2002/CE, 22/2002/CE, 77/2002/CE), che, nel realizzare la convergenza tra i diversi settori di telefonia e radiotelevisione, ha istituito un unico quadro normativo ‘armonizzato’ per tutte le reti e i servizi di comunicazioni elettroniche.
L’ordinamento giuridico italiano, per adeguarsi alla normativa europea, ha adottato per il settore delle t. il Codice delle comunicazioni elettroniche, contenuto nel d. legisl. 259/2003 (per la disciplina del settore radiotelevisivo ➔ televisione). Il codice garantisce i diritti inderogabili di libertà delle persone nell’uso dei mezzi di comunicazione elettronica (quali la segretezza e la libertà di comunicazione), nonché il diritto di iniziativa economica e il suo esercizio in regime di concorrenza. Quindi si preoccupa di garantire che il servizio di t. sia fornito come servizio universale in modo omogeneo in tutto il territorio nazionale, a determinati livelli qualitativi e in modo che sia accessibile a tutti gli utenti. Inoltre, la normativa regolamenta e distribuisce le competenze in materia di comunicazioni tra il ministero per le Comunicazioni (d. legisl. 300/1999, art. 27; d. legisl. 259/2003, art. 7-9) e l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, che ha funzioni di controllo, di regolamentazione del mercato delle t. e di promozione della concorrenza (l. 249/1997).
Approfondimento:
L’accesso ad internet: un nuovo diritto fondamentale? di Roberta Pisa