Nella teoria musicale greca, insieme di suoni diversi che, anche combinati, l’orecchio percepisce distinti (opposto di consonanza o sinfonia). Alcuni teorici medievali usarono il termine d. per indicare il tipo primitivo di polifonia praticato intorno al 9° sec. d.C.
Nei sistemi di telecomunicazione, di registrazione e riproduzione, è il disturbo provocato dal segnale sonoro trasferito a causa di accoppiamenti indesiderati con altri canali di comunicazione, oppure il segnale disturbante stesso che si sovrappone al segnale utile. La d. può avere le caratteristiche di rumore di interferenza ( d. non intellegibile) oppure, in relazione con circuiti telefonici o radiotelefonici, può causare il trasferimento di informazione in chiaro sul circuito disturbato ( d. intellegibile o in chiaro). A parità di livello di d., il secondo caso presenta caratteristiche maggiormente dannose sul canale disturbato. Si distingue la d. vicina (o paradiafonia) e la d. lontana (o telediafonia), a seconda che la sorgente disturbante e il ricevitore disturbato si trovino a una stessa estremità della linea o del canale trasmissivo oppure si trovino alle estremità opposte. Il livello relativo (espresso in decibel o in neper) del segnale utile di trasmissione rispetto al segnale di d. è l’attenuazione di diafonia.
Per misurare l’attenuazione di d. si utilizza il diafonometro. La misurazione si effettua (v. fig.) inviando un segnale acustico nel circuito telefonico disturbante b, per mezzo del generatore c. Mediante il commutatore e, lo strumento f può essere inserito direttamente nel circuito disturbato a oppure nel circuito b attraverso l’attenuatore variabile d. L’attenuazione di diafonia risulta pari all’attenuazione che occorre inserire in d affinché l’indicazione fornita dallo strumento f risulti indipendente dalla posizione del commutatore.