(indonesiano Jawa) Isola dell’Indonesia (129.307 km2 con 130.401.500 ab. nel 2007). Ha forma rettangolare molto allungata, con lunghezza massima, nel senso dei paralleli, di circa 1000 km e con larghezza massima di circa 200 km. Le coste settentrionali sono generalmente basse, invece la costa meridionale, bagnata dall’Oceano Indiano, è prevalentemente alta e importuosa. Antistante a G., in corrispondenza della costa nord-orientale, è l’isola di Madura accompagnata da altre minori (complessivamente 5470 km2). Il rilievo dell’isola si impernia su un complesso allineamento di catene montuose che si snodano in senso EO, con frequenti interruzioni dovute ad ampie conche e a vastissimi altipiani. Il clima è caratterizzato nella media annuale da una temperatura di 27 °C, con un’escursione annua di circa 7 °C. La pioggia è abbondante (1500-6000 mm di media annua); soprattutto nella zona occidentale. La vegetazione spontanea esprime questi contrasti climatici sviluppandosi come rigogliosa foresta equatoriale a occidente e diradandosi verso oriente. Il fiume più importante è il Solo, lungo 530 km, che ha origine dal massiccio del Lawu (3265 m) e sfocia a N di Surabaya; dalle pendici del Semeru (3676 m) ha inizio il Brantas, lungo 270 km, con foce nello Stretto di Madura.
Amministrativamente l’isola è suddivisa in 4 province (Banten, G. Centrale, G. Occidentale, G. Orientale), nel distretto urbano di Giacarta e nella provincia autonoma di Yogyakarta. La popolazione, con una densità media di 1008,4 ab./km2, vive per lo più sparsa nelle campagne intensamente coltivate, o raggruppata in piccoli centri. La città principale dell’isola, che è pure la capitale dell’Indonesia, è Giacarta; altre città importanti sono Surabaya, porto nello Stretto di Madura; Bandung, presso l’alto corso del Tarum; Semarang, sulla costa settentrionale; Surakarta, presso il fiume Solo; Yogyakarta.
L’economia è prevalentemente agraria; i prodotti principali sono il riso (base dell’alimentazione locale, la cui produzione è tuttavia insufficiente al fabbisogno), il mais e le patate dolci. La canna da zucchero, il tè, il caffè, il tabacco e il caucciù costituiscono le principali colture d’esportazione. Circa il 60% della superficie dell’isola è occupato da boschi, ricchi di tek e di altri legnami da ebanisteria (ebano, sandalo). L’allevamento ha un’importanza secondaria; per quanto riguarda la pesca, molto redditizia è la carpicoltura, tipica di G., largamente praticata nelle risaie. Scarse le risorse del sottosuolo: alcuni giacimenti di manganese e nel settore orientale è stata segnalata la presenza di minerali di ferro. Sono in funzione pozzi petroliferi, che alimentano le raffinerie di Tjepu e Wonokromo. Tra le industrie si annoverano impianti per la trasformazione dei prodotti agricoli, officine ferroviarie (Cheribon), arsenali marittimi e stabilimenti per il montaggio di automobili (Surabaya), fabbriche di armi (Bandung), industrie chimiche, farmaceutiche, tessili, della gomma e del cemento. G., ospitando la capitale dello Stato, è il centro finanziario e politico dell’Indonesia.
La popolazione, per lo più composta di Giavanesi in senso proprio, è abbastanza omogenea nei suoi caratteri somatici ed etnografici; anche le minoranze sundanesi delle zone occidentali, e quelle maduresi delle regioni orientali, tendono a uniformarsi ai Giavanesi. L’ondata culturale neo-indonesiana giunse a G., in epoca relativamente antica, con i primi secoli dell’era volgare, e permeò gradatamente tutta la popolazione, introducendo tra l’altro la religione induista e il buddhismo, una raffinata architettura, l’impiego dell’elefante nei lavori, il cavallo, l’uso dei veicoli a ruota, la coltivazione del riso. La nuova civiltà ebbe a G. uno sviluppo locale originale, che vide il sorgere di un’arte e di una musica assai complesse, di una letteratura, di un teatro, di uno stile di danze a carattere nazionale. Notevole influenza ebbero, a partire dal 13° sec. e in particolar modo dopo il 15°, le correnti islamiche, provenienti dall’India.
La storia di G. può essere fatta iniziare dalla penetrazione della cultura e della civiltà induista a partire dal 1° sec. d.C. L’esistenza di un Regno induista di G. è testimoniata sin dalla prima metà del secolo successivo e nel 7° sec. sotto la dinastia degli Śailendra sorgeva nella parte centrale dell’isola un potente Stato. A partire dal 13° sec. il Regno induista di Kediri aprì la strada per la rigogliosa fioritura del Regno di Majapahit (14°-15° sec.). Fu il periodo della massima potenza marinara di G., culminata con il re Radjasanagara o Hayam Wuruk (1351-89). La crescente penetrazione musulmana provocò però la caduta di Majapahit e la nascita di nuove formazioni statali (sultanato di Bantam, sultanato di Demak) in lotta per il primato commerciale e politico. Dal 1602 la Compagnia olandese delle Indie Orientali iniziò la penetrazione politico-militare che avrebbe portato al dominio dei Paesi Bassi su quasi tutto l’arcipelago indonesiano. Il movimento nazionalista, sviluppatosi a partire dagli anni 1920, sotto la guida di A. Sukarno, ebbe a G. la propria base principale. Con l’indipendenza dell’Indonesia (dicembre 1949) il centralismo di G. si impose definitivamente e a partire dal 1950 il nuovo Stato, che in origine era federale, divenne una repubblica unitaria.
Il giavanese è una lingua agglutinante della famiglia austronesica, con strutture fonologiche e morfologiche più complesse di quelle del malese, dal quale si differenzia soprattutto per i ‘livelli’ che in essa sono nettamente distinti e socialmente istituzionalizzati (ngoko, la varietà bassa, da usare verso inferiori o uguali, e kromo, la varietà alta, formale). Il giavanese moderno conserva un buon numero di sanscritismi ma ha adottato anche molti prestiti arabi.
La letteratura giavanese è la più antica tra quelle dell’arcipelago indonesiano. I primi testi pervenutici (iscrizioni, testi religiosi ecc.), in parte scritti in sanscrito, risalgono al 9° sec.; successivi i tutur («insegnamenti»), scritti completamente in giavanese. Al 9°-10° sec. è attribuibile la traduzione dal sanscrito del Rāmāyana e all’11° quella di una cospicua parte del Mahābhārata, la Bharatayuddha. Nella ricchissima produzione di poemi epico-narrativi (kakawin) spicca il Nagarakartagama (1365), del monaco e ministro buddhista Prapanca. La storia religiosa di G. è documentata dall’opera in prosa Tantu Pangĕlaran (15° sec.), mentre le gesta del leggendario principe Panji ispirano un ampio ciclo di romanzi epici. Con l’avvento dell’Islam, la letteratura giavanese si arricchisce di nuovi elementi: nasce il ciclo di Menak, nome giavanese dell’eroe islamico Amir Hamzah, e fiorisce una letteratura minore (favole, leggende). L’espressione più originale e ancora viva della cultura giavanese è il wayang o teatro delle ombre, ispirato all’epica indiana. Importante il filone dei babad, cronache in parte storiche e in parte mitiche che costituiscono una tipica letteratura di corte dal 17° al 19° sec., e quello dei serat, poemi enciclopedici e didascalici tra cui il Serat Centhini di Yasadipura II (inizi del 19° sec.).
L’incontro tra la cultura giavanese e la mistica islamica trova felice espressione nelle opere di Ronggowarsito (19° sec.), in particolare Wirid Hidayat Jati («Il libro della vita»). Nel 20° sec., nonostante l’opera di divulgazione compiuta da Ki Padmasusastra, la lingua giavanese ha subito una progressiva emarginazione a opera di quella che sarebbe divenuta la lingua ufficiale (bahasa Indonesia). Una moderna letteratura in giavanese, dopo i romanzi a sfondo sociale degli anni 1920-45, si manifesta, nel periodo del ‘libero sviluppo’ (1945-66), nella narrativa breve e nella poesia in versi liberi propugnata da S. Notodidjo, e nei romanzi di S. Brata e di M. Nursyahid. Di grande rilievo l’opera narrativa di P.A. Toer, perseguitato politico, che ha inteso la letteratura come strumento di emancipazione sociale e civile della sua terra.
G. possiede il repertorio più ricco di resti di Homo erectus dell’Asia sud-orientale. Dal Pleistocene inferiore e medio provengono i reperti di Sangiran, Modjokerto, Trinil (1,8-1 milioni di anni fa); dal Pleistocene superiore quelli della valle del Solo (Ngandong, Sambungmacan, Ngawi: datazione più recente ma controversa). Le industrie litiche di G. appartengono per lo più alla cultura Pacitaniana (ascrivibile ai gruppi più recenti di Homo erectus), ma è stata rinvenuta un’industria litica anche negli antichi depositi di Bapang a Ngebung (risalente fino a 1 milione di anni fa). In età olocenica (6000 anni fa) comparvero a G. nuovi tipi di strumenti (industria ‘microlitica’), rinvenuti nei dintorni di Bandung. Complessi funerari di rilievo appartengono all’età iniziale dei Metalli (Anyar, Plawangan, Kradenanrejo). Per questo periodo, e anche in seguito, i numerosi manufatti in bronzo della cultura vietnamita Dong Son (imponenti tamburi decorati) e le ceramiche indiane d’importazione testimoniano l’entità dei commerci con queste regioni. A partire dal 5°-7° sec. d.C. sono attestati tratti culturali indiani (scrittura, architettura, religione, organizzazione socio-politica): a Bogor, Cibuaya, Batujaya e Banten Girang. I monumenti religiosi in pietra sono situati sull’altopiano di Dieng e a Gedong Songo (fine 7° sec.).
Alla dinastia buddhista Sailendra (8° sec.) appartengono i candi (santuari) Cangal e Sewu e il gigantesco stupa Borobudur; alla dinastia induista dei Sanjaya il candi Prambanane, il candi Sambisari (9° sec.). Ricerche intensive, anche recenti, hanno riguardato soprattutto la città di Trowulan (14°-16° sec.; templi, complessi palaziali, abitazioni).
L’arte di G. subì fortemente l’influenza di quella indiana (Gupta, Pala e Pallava) soprattutto nel periodo della formazione, pur presentando, nella sua evoluzione, opere indipendenti e originali dal punto di vista iconografico. I più antichi monumenti in pietra pervenuti sono due semplici templi dedicati a Śiva, dell’inizio dell’8° sec., quando il potere politico e culturale giavanese era al centro dell’isola. Maggiore interesse hanno i santuari scivaiti sull’altopiano di Dieng, dell’inizio del 9° secolo. Sebbene appartengano a un identico tipo architettonico (il candi, monumento funebre connesso con il culto degli antenati), i templi di Dieng presentano articolate e numerose varianti sia nella struttura di base sia nella decorazione scultorea. Le immagini di divinità, provenienti dai templi di Dieng, hanno linee semplici e severe.
Nel sud della parte centrale di G. si trovano vari monumenti buddhisti, il più importante dei quali è il Borobudur (800 ca.). Ispirato al buddhismo della scuola Mahāyāna, il Borobudur è uno stupa (struttura caratterizzata da elementi campaniformi) di dimensioni colossali, con una serie di terrazze concentriche e digradanti a piramide, costruito su una collina nella valle del Kedu. Sormontato da un grande stupa centrale, è ornato da 1300 rilievi relativi al Buddha storico, immagini assise di Dhyāni Buddha, 72 stupa minori con statue del Buddha. Oltre che una rappresentazione simbolica della montagna cosmica (Meru), il Borobudur è anche uno yantra, cioè un cammino d’iniziazione.
Degli inizi del 10° sec., o poco più antico, è il grandioso complesso scivaita di Lara Djonggrang, presso Prambanan. Su una vasta terrazza quadrata, circondata da muri, sorgono otto candi, di cui il maggiore dedicato a Śiva è fiancheggiato da quelli, minori, consacrati a Brahma e Viṣṇu. Dalla metà del 10° sec. agli inizi del 13° i resti architettonici sono scarsissimi. All’inizio dell’11° sec. è attribuito il ‘bagno’ di Belahan, edificio a cielo aperto, con un bacino rettangolare in parte tagliato nella roccia del monte, considerato il monumento funerario del re Erlangga. Gli edifici del periodo di Singhasari (13° sec.) presentano strutture completamente diverse da quelle tipiche di G. centrale. In essi (candi Kidal, Sawentar, Djago, Singhasari) è molto più sentito lo sviluppo verticale; l’edificio è interrotto a metà dell’altezza da un forte aggetto di tutto il corpo architettonico, su cui hanno particolare spicco le modanature. Al periodo di Majapahit appartiene il complesso scivaita di Panataran (14°-15° sec.), con l’interessante ‘tempio delle date’ (1369), coperto da una piramide a diversi piani che sembra poggiare sulle teste mostruose (kāla) che ornano il sommo delle porte. Notevoli i rilievi con storie del Rāmāyaṇa e di Krishna che decorano il tempio principale.
A partire dalla seconda metà del 15° sec., sotto l’influsso crescente dell’Islam, l’arte giavanese mostra un progressivo declino, anche se i primi edifici musulmani presentano strutture affini a quelle della tradizione indo-giavanese (minareto della moschea di Kudus, cimitero e moschea di Sendangduwur). Le caratteristiche stele tombali (maesan), diffuse nel 16° sec., pur rilevando l’origine iranica si adeguano ben presto alla tradizione locale.
A G. fiorirono sempre le arti minori: il batik, dai disegni assai complessi di grande effetto decorativo; i kris; le marionette del teatro wayang (delle ombre), in cuoio, legno o pergamena dipinti o dorati, raffiguranti personaggi del Rāmāyaṇa in forme stilizzate.
La musica giunse, presso i Giavanesi, a uno sviluppo più notevole che presso gli altri popoli dell’Indonesia. Molto complessa è l’orchestra giavanese detta gamelan, che comprende 24 musicisti con 13 tipi di strumenti. Vi predominano le percussioni (analoghe al gong); i flauti (suling) sono costruiti con il bambù; le viole con la noce di cocco. Si praticano due specie di gamme (scale): una (del modo slendro) a 5 gradi distanti circa un semitono, e una (del modo pelog) a 7. Si distinguono con precisione vari motivi rituali, con i quali, per es., si salutano gli ospiti all’arrivo, alla partenza, o si iniziano le feste, o conviti ecc. La loro tradizione classica risale al Regno Mataram sotto il sultano Agong (17° sec.).
Le danze, caratterizzate dal fatto che in esse non si muovono mai i piedi, hanno carattere rituale e sono curate con lungo impegno; danzatrici e danzatori sono di nobile origine.
Fossa di G. Fossa dell’Oceano Indiano, a S dell’isola di G., in una regione fortemente sismica e vulcanica, dove si attua la subduzione della zolla indo-australiana al di sotto di quella euro-asiatica. Profondità 7450 metri.
Mar di G. Mare delimitato dalle isole maggiori G., Sumatra, Borneo e dalle minori dell’arcipelago della Sonda. Si estende per circa 1000 km in lunghezza e 600 in larghezza. Comunica con il Mar Cinese Meridionale per mezzo dello Stretto di Karimata, con il Mar di Celebes a mezzo dello Stretto di Makassar, con il Mar di Banda mediante il Mare di Flores, con l’Oceano Indiano attraverso piccoli stretti. È poco profondo (media, 70 m; max 102 m). Sviluppata la pesca, anche di spugne e coralli. Estrazione di petrolio e gas naturale.