GIAVA (A. T., 95-96)
L'isola più importante delle Indie Olandesi (alla quale voce si rinvia per la storia dell'esplorazione dell'isola), sede del governo di queste, situata fra 6° e 9° S. e fra 105° e 115° E.
Per i nomi geografici si è adottata la grafia ufficiale olandese, che indica tra l'altro il suono u con oe, il c dolce con tj e il g dolce con dj; per la trascrizione scientifica del giavanese v. p. 89.
Geografia: Situazione (p. 81); Caratteristiche fisiche (p. 81); Clima (p. 82); Vegetazione (p. 82); Fauna (p. 82); Popolazione (p. 82); Etnologia (p. 83); Centri abitati (p. 84); Agricoltura, commercio, industria (p. 84); Comunicazioni (p. 86); Ordinamento politico e amministrativo (p. 86). - Storia (p. 86). - Lingua (p. 88). - Letteratura e teatro (p. 89). - Arte (p. 90). - Musica e danza (p. 91).
Situazione. - Fa parte dell'arcipelago della Sonda ed è bagnata a N. dal Mare di Giava, a S. dall'Oceano Indiano; la sua superficie è di 127.186 kmq. L'isola rappresenta l'estremità SO. del prolungamento del rilievo dell'Asia continentale, costituito da un ripiano parzialmente sommerso dal quale emergono anche Sumatra e Borneo. La profondità massima del Mare di Giava è di 200 m. Al principio del Quaternario, durante l'epoca glaciale, l'altipiano sottomarino della Sonda era probabilmente emerso e l'arcipelago costituiva un tutto col continente asiatico. L'Oceano Indiano, invece, presenta forti profondità, tanto che le isobate di 1000, 3000, 5000 e 7000 m. corrono assai vicine alla costa.
Caratteristiche fisiche. - I terreni dell'isola appartengono in gran parte al Terziario; il rimanente, salvo piccoli lembi di Cretacico della zona centrale, è dato da depositi quaternarî. Lungo le coste, anche per l'azione del clima che ha favorito l'erosione, si sono formate grandi pianure alluvionali. L'isola conta 28 vulcani, 11 dei quali sorpassano i 3000 m. di altezza, situati all'incirca lungo il suo asse longitudinale. La parte occidentale di Giava è costituita da una catena di montagne che si elevano dalla fossa profonda dell'Oceano Indiano, e poiché la linea di displuvio corre assai da presso alla costa meridionale, i fiumi maggiori (Tji Liwoeng, Tji Taroem, Tji Manoek) si dirigono tutti verso il N. sboccando nel Mar di Giava dopo aver attraversato la fertile pianura settentrionale. I principali vulcani di questa sezione dell'isola sono il Halimoen, il Salak, il Gede (3020 m.), il Tangkoebanprahoe, il Malabar, il Papandajan, il Goentoer, il Tjiremai (3077 m.). Due altipiani, di Bandoeng e di Garoet, sono formati dai fondi di antichi laghi che si prosciugarono allorché il Tji Taroem e il Tji Manoek si furono aperti la via nelle crete delle montagne settentrionali. Il terreno è molto accidentato; profondi burroni rendono difficili le comunicazioni in direzione E-O.; le strade perciò si dirigono in genere verso N.
Nella parte centrale di Giava la catena montuosa si prolunga con i monti Pembarisa, il vulcano Slamet (3432 m.), l'altipiano di Dieng, dove si apre la Valle della Morte ricca di emanazioni di acido carbonico, e i vulcani Sindoro, Soembing (3371 m.), Merapi (2911 m.) e Merbaboe, che s'innalzano intorno all'altipiano di Kedoe. Questa serie di rilievi segna lo spartiacque. All'incirca paralleli a questo, s'innalzano a S. i monti Serajoe, che ne sono separati dalla valle del fiume omonimo, tributario dell'Oceano Indiano.
La sezione orientale dell'isola presenta numerosi vulcani quasi isolati, il Lawoe (3269 m.), il Wilis (2556 m.), l'Ardjoena, il Kloet, il Kawi, il Bromo, il Semeroe (3670 m.), il Lamongan, i monti Ijang (3088 m.), il vulcano Idjen-Raoeng (3332 m.) e, sulla costa settentrionale, il vulcano Moeria. Parallele all'asse di questi vulcani s'innalzano, nella pianura settentrionale, due catene montuose poco elevate (sotto i 1000 m.), i M. Calcarei del N. e i M. Kendeng (Monti Calcarei Centrali), e a S. i M. Kidoel (Calcarei Meridionali). Lo spartiacque segue da presso la costa meridionale. Nelle pianure fra i vulcani e il grande bassopiano del nord sono numerosi fiumi dal corso assai lungo, fra cui principali il Solo (540 km.) e il Brantas (252 km.). Le acque di due terzi della superficie dell'isola sboccano nel Mare di Giava, un terzo nell'Oceano Indiano.
Il contrasto naturale fra le pianure e le montagne si è accentuato per l'intervento dell'uomo, giacché la vegetazione spontanea ha dovuto cedere il posto, nelle pianure, alle colture indigene, mentre nelle montagne è rimasta intatta. I vulcani dell'isola, benché i loro focolari siano di origine più remota, si ritengono di età quaternaria, poiché in tale epoca essi furono in attività e formarono gli strati più superficiali del terreno. Per la maggior parte la loro attività perdura tuttora ed è permanente. Delle eruzioni recenti le più importanti furono quelle del Kloet, del Merapi e del Semeroe. La prima fu caratterizzata da formidabili lahars, colate bollenti formate dall'acqua del lago craterico e da ceneri vulcaniche. Più che lava i vulcani emettono in genere materie polverizzate, le quali ricoprono vaste estensioni pianeggianti ove costituiscono un terreno fertilissimo. I fiumi hanno carattere quasi esclusivamente torrentizio e, specialmente durante il monsone di O., trasportano grandi quantità di limo che depositano in vastissime alluvioni intorno alla foce.
Clima. - Il clima è tropicale. Il monsone australiano, sul percorso del quale è situata l'isola, soffia da NO., umido, da novembre a marzo, e da SE., secco, da marzo a novembre. Sulle coste settentrionali il massimo della pioggia cade in gennaio-febbraio, il minimo in agosto-settembre. Nelle montagne il contrasto fra la stagione umida e quella asciutta è meno accentuato. Presso la costa settentrionale cadono circa 2000 mm. di pioggia l'anno, verso il centro più di 3000 mm. Il massimo di piovosità (8300 mm.) si riscontra sui versanti montuosi rivolti verso il vento. Oltre al monsone vi sono correnti d'aria secondarie: sulle coste dominano le brezze di mare che soffiano di sera verso terra, e le brezze di terra che spirano di mattina verso mare; sopra i 2500 m. soffia quasi tutto l'anno l'aliseo di SE., di modo che i monsoni si mantengono negli strati inferiori dell'atmosfera. La pressione atmosferica varia poco e anche la sua oscillazione giornaliera è in media solo di 2,2 mm. La temperatura media a Batavia è di 26°, la massima 30°, la minima 23°; l'umidità relativa 83% (massima 94%, minima 64%). L'escursione della temperatura è più forte nelle regioni dove il contrasto fra il periodo secco e il periodo umido del monsone è più marcato. In ottobre a Asembagoes (Besoeki) la differenza è di 13° (massima 34°, minima 21°). La temperatura diminuisce con l'altezza: si possono distinguere nell'isola quattro zone: torrida fino a 650 m. (27°-24° di temp. media), temperata fino a 1500 m. (24°-19°), fresca fino a 2500 m. (19°-14°), fredda al di sopra di 2500 m. (13°-8°).
Vegetazione e flora. - La flora di Giava appartiene al regno paleotropico e al dominio dei monsoni, di cui costituisce una speciale provincia. Lo sviluppo delle colture ha notevolmente ridotto la vegetazione spontanea fino a 600 m. s. m.; essa è localizzata nella zona litoranea ove troviamo nelle regioni basse costiere le boscaglie di Rhizophora che sono coperte dalla marea e dietro a queste la palma Nipa fruticans. Nella zona montuosa abbondano le foreste di Pandanacee, Cicadaeee e varie specie di palme; vi sono boschi di Calophyllum inophyllum e di Tectona grandis, l'albero che fornisce il legno teck. Presso la costa del Preanger vi sono boschi di Coripha umbraculifera e altre palme congeneri. Nei monti dell'interno troviamo le foreste tropicali con numerose liane e piante epifite: ma fra i 1500-2500 m. si hanno felci e muschi: nei distretti orientali si trovano foreste di djati o di acacie, mentre i fianchi dei vulcani sono rivestiti da fitte formazioni di bambù alti fino a 20 m.
Fauna. - L'interessante fauna di Giava possiede non meno di 90 specie di mammiferi, pochissimi dei quali però le sono particolari. Le scimmie antropomorfe vi sono rappresentate da un gibbone (Hylobates leuciscus); fra i cercopiteci ricordiamo il Semnopithecus maurus e un macaco (Inuus cynomolgus); fra le proscimmie il Tarsius spectrum. Il maggiore dei carnivori dell'isola è la tigre; il tasso fetido (Mydaus meliceps) si tiene a notevole altitudine; gli orsi mancano. Insettivori notevoli sono i galeopiteci, forniti di paracadute. Fra i ruminanti è notevole una sorte di bufalo, il Bibos sondaicus e qualche cervo. L'isola possiede anche un rinoceronte (Rhinoceros sondaicus); caratteristico è anche il cinghiale verrucoso (Sus verrucosus). Non mancano i pangolini: Manis javanica è specie esclusiva di Giava. La fauna ornitica comprende più di 300 specie, una cinquantina delle quali vi sono esclusive, con la ricchezza e varietà che è propria dell'arcipelago malese. Abbondantissimi sono i rettili, gli anfibi e i pesci d'acqua dolce.
Popolazione. - La popolazione dell'isola è aumentata, durante l'ultimo secolo e mezzo, sotto il benefico influsso della diffusione delle nuove colture, in modo veramente straordinario. Era di 2 milioni nel 1780, di 9,6 nel 1850, di 35 nel 1920. Secondo i dati del 1930, con Madura, era di 42.264.626 ab., dei quali 40.890.244 indigeni, 193.618 Europei, 583.360 Cinesi, 52.302 altri Asiatici. Nel decennio 1920-30 la popolazione è aumentata del 20%. La densità media, di 315 ab. per kmq., è il risultato di valori assai diversi: è di 241 in Giava occidentale, 396 nella parte centrale e 314 in quella orientale. Nella piana di Djokjakarta si raggiungono i 680 abitanti per kmq., una delle più elevate densità agricole del mondo. Data questa forte densità, il governo ha favorito l'emigrazione verso i distretti dei Lampongs (Sumatra) e altrove, ma il sistema dominante della proprietà collettiva del suolo la rende assai difficile. La popolazione è nella quasi totalità maomettana. Soltanto alcune tribù montanare (i Badui all'ovest e i Tengger all'est) e in condizioni arretrate di cultura (v. appresso: Etnologia) sono rimaste fedeli alla religione indù; le missioni protestanti e quelle cattoliche han fatto un certo numero di proseliti nei gruppi animisti. La chiesa ufficialmente riconosciuta è la protestante.
Etnologia. - L'elemento indigeno dell'isola è formato da tre popolazioni: Giavanesi nel centro e a oriente, Sundanesi a occidente e Maduresi, originarî dell'isola di Madura, a oriente. La civiltà indiana fu introdotta nel paese all'inizio dell'era volgare. Ma i principati indù costituitisi nell'isola dovettero soccombere nel sec. XVI (v. appresso: Storia) all'islamismo giunto pure dall'India e oggi divenuto la religione professata in tutta l'isola. Dagli strati culturali più antichi proviene l'attuale abitazione dei contadini, che offre un così forte contrasto con l'architettura degli antichi templi e palazzi; la stessa origine hanno la cerbottana, oggi usata solo come giocattolo, l'arco semplice di legno o di bambù che fino al sec. XIX era un'arma da guerra, la tecnica assai semplice usata nella tessitura e nella metallurgia e il culto di alcuni spiriti della natura abitanti nei grandi vulcani (ancor oggi si sacrificano uccelli al vulcano Bromo). Alla civiltà indiana si deve la coltivazione all'aratro, su campi all'occorrenza irrigati artificialmente e nelle località montagnose disposti a terrazze. La semina del riso viene fatta su zattere coperte di terra mentre poi i germogli vengono trapiantati sui campi. Di origine indiana è anche l'allevamento dei pesci in piscine d'acqua dolce o salata e la tecnica dei manufatti nelle varie industrie. Fra queste è da notare come specificamente giavanese il batik (v.), che è un particolare processo di colorazione dei tessuti: oggi tuttavia le autentiche stoffe colorate a batik hanno a Giava stessa prezzi molto elevati. È pure di origine indiana la severa separazione in classi sociali, che si traduce anche in differenze nel linguaggio (v. sotto: Lingua). Al cerimoniale indiano appartengono inoltre gli harem, le guardie del corpo, gli astrologi di corte, le orchestre, le compagnie di ballerini e di attori, quali possiedono ancora, sebbene in numero limitato, i sultani di Djokjakarta e Soerakarta.
L'abbigliamento è assai semplice. L'uomo, avvolti i capelli in un nodo, si stringe intorno alla testa un hikĕt, cioè un pezzo di stoffa lavorata al batik di forma quasi quadrata e piegata in modo da formare un largo nastro; per proteggersi dal sole o dalla pioggia vi porta sopra un kuḍuñ, cappello a larghissima tesa. Intorno al torso porta un kulambi o corto panciotto. Il bĕbĕd o sarong, striscia di batik larga un metro e lunga assai di più, viene avvolta intorno alle anche e copre le gambe. Un kris (veramente kĕris) o pugnale giavanese portato in una cintura completa l'abbigliamento. La donna porta egualmente il kulambi, e sotto di esso un pezzo rettangolare di stoffa batik avvolto intorno al petto e sotto le braccia; la testa è tenuta scoperta. Quando esce, la donna si avvolge in una specie di scialle, lo slendang di batik o di seta, che le serve da ornamento e nel quale porta pure la merce acquistata e di frequente anche il bambino. Così gli uomini come le donne vanno scalzi.
La differenza tra Giavanesi e Sundanesi non è grande. Gli ultimi sono più bassi, meno snelli, più chiari di pelle. La loro cultura è meno elevata di quella dei Giavanesi ma hanno carattere più mite, più servizievole, più cortese di questi. Tanto gli uni quanto gli altri sono assai poco previdenti; non bevono alcool, ma la passione del giuoco e la grande sensualità fanno fra essi molte vittime.
Centri abitati. - Le città principali dell'isola sono (popolazione del 1930): Batavia, la capitale (534.000 ab. con i sobborghi), sulla costa settentrionale, in mezzo a risaie, con un porto (Tandjoeng Priok) assai attivo; Semarang (218.000 ab.) e Soerabaja (337.000 ab.), pure sulla costa settentrionale e con buoni porti (quello di Soerabaja è il più importante dell'isola per le esportazioni); Bandoeng (166.000 abitanti), Djokjakarta (145.000 ab.) e Soerakarta (155.000 ab.), nell'interno. A sud di Batavia sorge Buitenzorg (46.000 ab.), con uno splendido orto botanico, fondato nel 1818.
Agricoltura, commercio, industria. - I principali prodotti del suolo sono, nelle pianure e fino a 1300 m., il riso, coltivato nelle risaie irrigate dette sawahs e all'asciutto, il mais, il tabacco, lo zucchero, il caffè, il tè, il cacao (fino a 800 m.), il caucciù, legumi e patate (da 900 a 1500 m.), la cassava (fino a 900 m.). La superficie coltivata è di circa 7 milioni di ettari, dei quali 3 milioni a coltivazione irrigua del riso, 700.000 a coltivazione asciutta, quasi 2 milioni a mais, 720.000 a cassava, 280.000 a patate dolci, ect.. Altri prodotti importanti sono la scorza di china, il chinino, l'olio di palma, l'olio di cocco e la copra, la farina di sago, l'agave, il capoc, l'arachide. Alcuni di questi prodotti fanno parte dell'agricoltura indigena (riso, mais, cassava): altri invece vengono dalle piantagioni (canne da zucchero, gomma, tabacco, caffè, tè, china). Lo zucchero di canna è sempre il prodotto più importante (189.000 ettari, 130 quintali di produzione media per ettaro). Viene poi la gomma. Introdotta solo al principio del presente secolo, questa coltura ha avuto uno sviluppo straordinario. Si coltiva quasi esclusivamente l'albero Hevea brasiliensis; le piantagioni vengono fatte fra i 100 e i 500 m. di altezza. Nelle Indie Olandesi, e particolarmente in Sumatra e in Borneo si ha la maggiore produzione di gomma del mondo. Il tabacco era il piodotto più importante di Giava nel sec. XIX e occupa ancor oggi uno dei posti principali, per quanto l'area coltivata vada lentamente diminuendo. Specialmente il tabacco dei Paesi dei principí (Vorstenlanden) è molto pregiato. Anche il caffè è da molti secoli un prodotto di Giava di primaria importanza. In seguito alla devastazione delle piantagioni causata dal fungo Hemileia vastatrix è stata importata dal Congo, nel 1900, la pianta del Coffea robusta che dà ottimi risultati, tanto che oggi l'84% della produzione totale è data da questa varietà. Anche gl'indigeni producono caffè per l'esportazione. La pianta del tè, che cresce fra i 600 e 1000 m. di altezza, è il prodotto principale della parte occidentale dell'isola. La produzione, in continuo aumento, forma oggi il 20% della produzione mondiale. La qualità del prodotto è assai ricercata. La china, introdotta in Giava solo nel 1852, è ormai quasi un monopolio di quest'isola, che produce il 94% della raccolta mondiale. Il governo olandese ha dato a quello italiano una concessione nella parte dell'isola che più si adatta a questa coltivazione (reggenza di Preanger) ove si produce il chinino dello stato. Le terre di proprietà degl'indigeni, cioè tutte le terre coltivate, non possono essere vendute a Europei, ma solo concesse in enfiteusi per un limitato numero di anni, e ciò per impedire che la popolazione poco previdente si disfaccia dei proprî mezzi di sussistenza. Le piantagioni europee coprono una parte esigua dell'isola e solo lo sfruttamento intensivo spiega l'alta cifra delle esportazioni.
La pesca si esercita sulle coste, sui fiumi e in laghi salati artificialmente (tambaks) per l'allevamento delle aringhe. La silvicoltura fornisce principalmente il djati o teck, scorza di manglio, rotang, ecc. Il bestiame conta 270.000 cavalli, 3 milioni e mezzo di bovini, 2.240.000 bufali. Il più importante prodotto minerale è il petrolio (dip. di Rembang). L'industria è poco sviluppata essendo i bisogni degl'indigeni alquanto limitati. Molto progredite sono soltanto l'arte del batik, la fusione e la lavorazione del rame, l'intrecciatura. La principale industria a carattere europeo è quella dello zucchero, la cui produzione raggiunge circa i 2,2 milioni di tonnellate l'anno. Le esportazioni raggiunsero, nel 1928, 846,89 milioni di fiorini, e le importazioni 656,63 milioni di fiorini. Principali articoli di importazione sono maioliche e porcellane, derrate alimentari, manufatti, carta, concimi, automobili, ferro e acciaio. L'importazione è per quasi 20% olandese; seguono l'Inghilterra, Singapore, la Germania, gli Stati Uniti, il Giappone.
Mentre aumenta costantemente l'esportazione italiana verso Giava, diminuisce l'esportazione giavanese verso l'Italia. Nel 1920 questa importava 0,7% della cifra totale; nel 1928, 2,2%; come paese fornitore, dal 13° posto è salita invece all'8°.
Comunicazioni. - Giava ha una rete ferroviaria assai sviluppata (lunghezza totale 5500 km.). Una linea principale si dirige da O. ad E. e varie diramazioni si spingono verso N. e verso S. Servizî aerei postali collegano fra loro le città maggiori dell'isola e, settimanalmente, l'isola con l'Olanda. Numerosi piroscafi fanno servizio fra i varî porti dell'isola, i maggiori dei quali sono Tandjoeng Priok (porto di Batavia), Cheribon, Semarang, Soerabaja sulla costa settentrionale e Tjilatjap sulla costa meridionale.
Ordinamento politico e amministrativo. - Nonostante il movimento, favorito dal governo olandese, tendente ad aumentare, sia pure con prudenza, l'influenza degl'indigeni nella vita pubblica (v. Storia), il potere legislativo è ancora riservato alle Camere degli Stati Generali dei Paesi Bassi all'Aia, il potere esecutivo è esercitato nel nome della regina da un governatore generale assistito dal Consiglio delle Indie Olandesi (vice-presidente e quattro membri), da un segretariato generale, dalla Camera dei conti e dai ministeri di Giustizia, dell'Interno, dell'Istruzione e del Culto, dell'Agricoltura, dell'Industria e del Commercio, dei Lavori pubblici, delle Opere governative e delle Finanze. Dal 1918 la popolazione indigena è rappresentata dal Consiglio del popolo (60 membri). Al di sotto delle autorità olandesi gl'indigeni sono governati dai loro principi (sultani fra i maomettani e radja fra gli altri).
Amministrativamente Giava è divisa in tre provincie: occidentale, centrale e orientale, aventi ciascuna il suo consiglio provinciale, e suddivise rispettivamente in 9, 11, 13 dipartimenti, e, inoltre, in due governi (Soerakarta e Djokjakarta).
Bibl.: M. Verbeek e R. Fennema, De geologische bouw van Java en Madoera, Amsterdam 1896; P. J. Veth, Java, voll. 4, Haarlem 1896-1907; A. S. Walcott, Java and her Neighbours, Londra 1914; J. Chailley-Bert, Java et ses habitants, Parigi 1914; H. D. Benjamins e J. F. Snellemann, Encyclopaedie van Nederlandsch Oost-Indië, L'Aia 1914-17; D. Campbell, Java, Past and Present, 2 voll., Londra 1915; E. T. Campbell, A Commercial Handbook of the Netherlands East Indies, Londra 1927; H. S. Banner, Romantic Java as it was and is, Londra 1927; J. Fabius, Java, Berlino 1929; J. C. van Dyke, In Java, Londra 1929. Pubblicazioni ufficiali: Jaarboek van het Department van Landbouw, Nijverheid en Handel (Annuario del Ministero dell'agricoltura), Batavia.
Per la etnologia: Repertorium op de litteratuur betreffende de nederlandsche coloniën in Oost- en West- Indië voor zoover zij verspreid is in tijdschriften en mengelwerken, L'Aia 1877; J. Jacobs e J. J. Meyer, De Badoej's, L'Aia 1891; L. Serrurier, De Wajang Poerwa, voll. 2, Leida 1896; L. Th. Mayer, Een blik in het javaansche volksleven, voll. 2, Leida 1897; J. F. Scheltema, Monumental Java, Londra 1912; W. Fruin-Mees, Geschiedenis van Java, voll. 2.
Per la fauna: H. Schlegel, De vogels van Nederlandsch Indië, voll. 4, Haarlem 1863-66; J. C. Koningsberger, De vogels van Java en hunne oeconomische beteekenis, Batavia 1901.
Carte: Overzichtskaart 1 : 500.000; Geol. Kaart, 26 fogli (1 : 200.000 e varie carte d'insieme); Residentie Kaart al 100.000.
Storia.
Periodo preistorico. - Le tracce più antiche dell'esistenza umana in Giava consistono in diversi cranî e altre ossa, trovati a Wadjak, e non molto differenti da quelli degli avi degli odierni indigeni dell'Australia. Dall'epoca di questi primi abitanti l'arcipelago intero fu invaso assai spesso da popolazioni provenienti dall'occidente e dal nord, taluna delle quali raggiungeva pure Giava. Principale stazione paleolitica è la grotta di Sampung, dove si trovano anche oggetti del primo periodo neolitico; la civiltà che vi è rappresentata è legata con le fasi corrispondenti dell'Indocina, della penisola di Malacca e di Sumatra, dai quali paesi, nell'ordine, le civiltà paleolitica e neolitica penetravano in Giava. Pure dall'Asia sud-orientale provenivano gli avi degli odierni abitanti, Austronesiani o Indonesiani. L'immigrazione si è svolta in diverse fasi, di cui la prima può essere posta intorno all'anno 2000 prima dell'era cristiana. Gl'immigrati, che assorbirono o cacciarono gli autoctoni, conobbero il rame e il ferro soltanto dopo la loro immigrazione. Queste popolazioni conoscevano la coltura del riso sui campi sommersi, con un sistema d'irrigazione assai evoluto, e avevano delle forme di governo non più primitive.
Periodo indù-giavanese. - Verso il principio dell'era cristiana il traffico intenso con la parte meridionale dell'India continentale influì sulla civiltà giavanese: i ceti aristocratici di Giava dovettero adottare la cultura indù, più progredita di quella esistente nell'isola. Così, prima sulle coste, poi nell'interno, si formarono centri induizzanti in mezzo a una popolazione rurale ch'era invece restia alle innovazioni. Da notizie cinesi - i Cinesi già dal primo secolo dell'era cristiana erano in rapporti commerciali con l'arcipelago - sappiamo che nell'anno 132 d. C. esisteva almeno un piccolo regno indù in Giava; dal sec. IV datano le iscrizioni del re Purnavarman che governava un piccolo stato indù nell'occidente di Giava. Il pellegrino cinese buddhista Fa-Hien che venne a Giava come naufrago, vi trovava nel 414 una società induizzata, ma pochi buddhisti; la propaganda buddhista s'iniziava non molto tempo dopo la sua venuta.
Finalmente, nel sec. VII si formava nel centro dell'isola un regno importante sotto la dinastia dei Śailendra, in continui rapporti col regno Śrivijaya di Sumatra, la grande potenza marinara dell'arcipelago, dominatrice delle vie di traffico. Questo periodo di egemonia di Giava centrale è pure il periodo delle grandi costruzioni buddhiste come il Borobudur (v.). Alquanto più tardi nella parte orientale si sviluppava un regno indù, che nell'850 circa assorbiva il regno centrale, unendo così tutta la parte dell'isola popolata da Giavanesi sotto un solo re. Ma l'unità durò meno di un secolo; nel 925 il regno orientale si staccò, rimanendo per secoli il centro culturale e politico dell'isola (periodo della preponderanza di Giava orientale, 925-1500).
In un primo periodo il governo centrale non aveva una sede stabile, anzi la cambiava continuamente. Ma poi, estesasi l'influenza del regno fuori della stessa isola, dopo una serie di conflitti con il regno sumatrano di Sriviiaya, che, dapprima più potente, dovette poi limitarsi all'egemonia nell'occidente dell'arcipelago, mentre i re giavanesi avevano come sfera d'influenza tutto l'oriente, il governo centrale fissò la sua sede a Kediri: si ebbe così il regno di Kediri, su cui siamo assai bene informati, dato che la letteratura giavanese fiorì assai in quel periodo. E finalmente accentuatosi nel sec. XIII l'indebolimento di Śrivijaya, il re giavanese Kertanagara poteva per la prima volta romperla con la politica d'equilibrio e assalire con successo Śrivijaya nell'isola di Sumatra stessa (1275).
Erano poste così le fondamenta della grande potenza giavanese del sec. XIV, che culmina nel regno di Madjapahit, quando tutto l'arcipelago è sottomesso a Giava, sotto il re Radjasanagara (1351-1389). Ma dopo la sua morte cominciò un lento indebolimento, in primo luogo per guerre di successione, ma specialmente per il continuo avanzarsi dell'Islām. Già nel 1292 Marco Polo trovava nel nord dell'isola di Sumatra un piccolo regno musulmano; e lentamente l'Islām guadagnava terreno. Al principio del sec. XV il sultanato di Malacca diveniva un centro di propaganda della nuova religione; e ben presto per vie commerciali propagandisti musulmani vennero nei porti giavanesi. Uno dopo l'altro i porti si staccarono dal governo centrale per passare sotto dominatori musulmani; nel 1520 una coalizione di quei porti distrusse l'ultima larva del regno di Madjapahit. Nello stesso tempo giungevano a Giava i primi Europei, i Portoghesi, che già nel 1511 avevano conquistato il sultanato di Malacca.
I regni musulmani (1500 circa-1678). - Dopo la caduta del regno di Madjapahit, l'egemonia nella parte centrale e orientale dell'isola passò al regno di Demak, che però doveva difendersi contro i resti della potenza indù, ritiratisi nell'estremo lembo orientale, e anche contro gli altri principi musulmani. Nella parte occidentale si formava invece il sultanato di Bantam, la cui capitale divenne un grande emporio commerciale, specialmente per il commercio del pepe. I porti del regno di Demak, pure assai importanti, divenivano centri del commercio delle spezie delle isole Molucche: e ciò perché essi controllavano la distribuzione dei viveri per le Molucche, essendo emporî per il riso. In quei porti e a Bantam si svolgeva un attivissimo commercio con i Portoghesi i quali si stabilivano nelle isole Molucche, ma a Giava si contentavano di poche fattorie. Liti interne indebolirono il regno di Demak, che nel sec. XVI viene sopraffatto da quello di Mataram, il cui potente re riuscì a stabilire il suo predominio, opprimendo l'una dopo l'altra le regioni ribelli: così nel 1625 distrusse il grande porto di Soerabaja, ponendo fine per tal modo al commercio estero di Giava.
Ma intanto comparivano gli Olandesi. Quando nel 1580 il Portogallo fu conquistato dal re di Spagna, con cui gli Olandesi erano in guerra, i commercianti della giovane Repubblica delle Sette Provincie si trovarono costretti ad andare essi alla ricerca delle favolose isole delle spezie; nel 1596 la loro prima flotta commerciale arrivò al porto di Bantam, ben presto seguita da altre. La concorrenza dannosa delle diverse imprese olandesi tra di loro condusse nel 1602 alla fondazione di un'unica Compagnia generale delle Indie Orientali, con monopolio per il commercio su tutto l'Oriente. Per maggiore sicurezza del commercio ben presto la Compagnia fondò fortezze e piazze forti: qua e là, secondo le esigenze, e cercando intanto un punto centrale adatto come quartiere generale. Quel punto fu trovato, quando nel 1619 il governatore generale Jan Pieterszoon Coen (v.) distrusse la città di Djakatra, dipendente dal sultanato di Bantam, e fondò Batavia (v.), che da allora rimase sempre la capitale delle Indie Neerlandesi. Il sultano di Bantam, e quello di Mataram assalirono la giovane città, ma questa seppe difendersi contro di loro, come contro l'inimicizia dei concorrenti Inglesi.
Dal 1619 la Compagnia a Giava fu una forza; e lo divenne sempre più, perché, padrona del mare e delle isole circonvicine, era in grado d'isolare i regni giavanesi dal mondo esteriore. Bantam veniva bloccata a diverse riprese; e nel 1646 Mataram era costretta a porre fine allo stato di guerra accettando un trattato di reciproco aiuto contro nemici comuni. Nel 1677, anzi, l'imperatore di Mataram, cacciato da sudditi ribelli, ricorreva a quel trattato per ottenere l'aiuto della Compagnia; e infatti dopo la sua morte gli Olandesi rimisero sul trono il suo legittimo successore, ma contro un prezzo non mite: parte del territorio diveniva possesso della Compagnia; i porti dovevano essere dati come pegni di amicizia e il commercio diveniva monopolio olandese. Da quel momento (1678) la Compagnia è la potenza principale dell'isola, rafforzatasi ancora quando, nel 1684, poteva ottenere un trattato anche con Bantam, prendendo lo spunto dalle feroci lotte interne di quel paese. Con tale patto Bantam diveniva uno stato vassallo della Compagnia.
Periodo olandese (1678 in poi). - La posizione della Compagnia si rafforzava sempre più, poiché le continue lotte dei principi indigeni le offrivano occasione a interventi continui e fruttuosi; e nel 1743 tutta la costa e la parte orientale di Mataram passavano direttamente sotto il governo della Compagnia, che da quel momento doveva pure occuparsi del governo di questi nuovi sudditi, mentre fino allora si era comportata più che altro come compagnia commerciale lasciando gl'indigeni governarsi da sé stessi.
Anche dopo il 1743 rimanevano tuttavia i principi indigeni, con il titolo di reggenti, e con l'obbligo di fornire alla Compagnia prodotti agricoli, denaro e servizî tributarî. (Nel corso di questo secolo cominciò ad avere grande importanza, accanto agli altri prodotti, il caffè). Nel 1749 l'imperatore di Mataram regalò l'intero suo impero alla Compagnia, che poi lo diede in feudo al suo successore; nel 1755 il feudo si divise in due parti, i due Paesi dei Principi Soerakarta e Djokjakarta, che ancora oggi esistono.
Ma mentre i reggenti opprimevano la popolazione con duri tributi per soddisfare ai loro obblighi verso la Compagnia, questa nel corso del sec. XVIII cominciava a perdere la sua forte posizione finanziaria, sebbene proprio in quel periodo assumesse grande importanza, oltre a quello del riso, del pepe e dello zucchero, anche il commercio del caffè. E ciò avveniva sia perché, fondata come organizzazione commerciale, la Compagnia doveva ora supplire alle spese del governo di un intero paese; sia per gli abusi ai quali conduceva con il tempo il severo sistema di monopolio. La condizione peggiorava poi, per i dividendi troppo alti che si continuavano a pagare agli azionisti. Nel 1780 la guerra con l'Inghilterra condusse alla catastrofe: la Compagnia sospese i pagamenti, e la Repubblica dei Paesi Bassi venne in suo aiuto, ma esigendo il controllo sugli affari della Compagnia stessa. Seguì un periodo di tentativi di riforme che però fallirono tutte; e finalmente, nel 1795, dopo l'invasione francese nei Paesi Bassi e la fondazione della Repubblica Batava, questa liquidò la Compagnia delle Indie Orientali, incorporandone i possessi e i debiti allo stato.
Prima conseguenza fu una nuova guerra con l'Inghilterra, l'intercettazione delle comunicazioni tra l'Olanda e l'Oriente e la perdita di gran parte delle colonie. Giava però rimaneva alla repubblica, e dimostrava di poter esistere anche senza l'appoggio della metropoli, poiché abbandonando finalmente il sistema monopolistico, si cominciavano a lanciare i prodotti giavanesi sui mercati non olandesi. La Repubblica Batava, desiderosa d'introdurre i nuovi principî repubblicani anche nelle colonie, concedeva una specie di costituzione; tuttavia la libertà del commercio, la facoltà per gl'indigeni di acquistare terreni, l'abolizione di qualsiasi servizio tributario e l'introduzione di una tassa fondiaria, furono misure progettate non realizzate, poiché Napoleone I giudicava più importante provvedere alla difesa di Giava contro gl'Inglesi, nominando a tale scopo governatore generale il maresciallo Daendels (1807-1810; v.). Per le necessità della difesa (in primo luogo per la grande strada militare che correva per tutta la lunghezza dell'isola), Daendels non poteva fare a meno dei servizî tributarî; ma il suo governo era rinnovatore e con grande energia egli metteva fine a molti abusi rimasti ancora dall'epoca della Compagnia. I reggenti divennero impiegati, il governo e la giurisdizione vennero riformate, i principi indigeni perdettero l'ultimo resto d'indipendenza. In tutto questo Daendels preparava la strada al govennatore Raffles, il quale, dopo la conquista inglese, per cinque anni (1811-1816) governava in nome del re d'Inghilterra. La riforma principale del Raffles fu l'introduzione della tassa fondiaria: il governo, proprietario di tutti i terreni, li dava in enfiteusi ai coloni indigeni contro il pagamento di due quinti del raccolto di riso, il quale pagamento non veniva effettuato dai singoli individui, ma dai villaggi. Era sua intenzione di abolire ogni altra tassa e ogni servizio tributario; ma nella pratica, soltanto dopo molti decennî e lunghi studî, il sistema cominciò a funzionar bene.
Nel 1816 il nuovo regno ritornava in possesso delle sue colonie. A Giava, mantenne nelle grandi linee il sistema di Raffles. Ma il divieto fatto ai principi di far sfruttare le loro terre da Europei, insieme col malcontento della popolazione dissanguata dagli appaltatori cinesi dei pedaggi e dazî, fece nel 1825 scoppiare una rivolta nel Djokjakarta che durava fino al 1830. La costosa guerriglia rovinava le finanze del regno e già si pensava a chiamare in aiuto capitali europei per la bonifica di terre incolte. Ma nel 1830 il re Guglielmo I si decise per un altro sistema, il "sistema delle colture" del governatore generale Van der Bosch: s'impose cioè che la popolazione su un quinto delle proprie risaie coltivasse prodotti smerciabili sui mercati europei: i prodotti dovevano essere consegnati al governo, che li avrebbe dati alla "Nederlandsche Handelsmaatschappij" (Compagnia olandese del commercio) fondata nel 1824 per il trasporto in Olanda. Il sistema delle colture arricchì il tesoro olandese di molti milioni; ma la sua introduzione forzata diede occasione a molte iniquità: si esigeva così molto più che non un quinto delle risaie, e finalmente il sistema divenne uno sfruttamento indegno dell'indigeno, che vedeva diminuire la raccolta del suo riso, cioè del cibo principale. Così in quell'epoca la fertilissima isola conobbe la carestia. Altra conseguenza del sistema fu che il governo finiva con l'occuparsi quasi esclusivamente di Giava trascurando gl'immensi altri possedimenti non ancora maturi per un simile sistema.
Gli avvenimenti del 1848 e la nuova costituzione olandese davano al parlamento un po' d'influenza sulle questioni coloniali, finora prerogativa assoluta del re. Il sistema delle colture fu liquidato dal ministro delle Colonie Fransen van de Putte (1863-66): si abolirono le colture forzate, escluse però quelle per il caffè e lo zucchero, che seguitarono ancora per molto tempo. Importante per il commercio internazionale era l'abolizione dei dazî. Fransen van de Putte non poté dare una legislazione agraria, che fu promulgata solamente nel 1870: si regolò allora legalmente il modo con cui imprese europee possono prendere in enfiteusi le terre demaniali oppure le terre di proprietà indigena, senza che le imprese però possano mai divenire proprietarie di terreni né della prima, né della seconda categoria. Questa legislazione, insieme con l'apertura del canale di Suez, che abbreviava di molto la via di comunicazione con l'Europa, dava la spinta a uno sviluppo grandioso delle grandi colture: zucchero, caffe, tè, tabacco, ecc.
Ai continui progressi economici il governo accompagnava frattanto la cosiddetta politica del benessere. Riforma della tassa fondiaria su fondamento catastale, abolizione assoluta dei servizî tributarî, incremento continuo di lavori pubblici (specialmente quelli per l'irrigazione), miglioramento dell'istruzione pubblica. Ma quanto più si sviluppò l'opera del governo, non soltanto a Giava ma anche negli estesi possedimenti finora alquanto trascurati, tanto più divennero evidenti le difficoltà inerenti al sistema di governo centralizzato: così da qualche anno si sta sviluppando un nuovo sistema, basato sulla creazione di nuove provincie, che toglierà molto lavoro al governo centrale. Nello stesso tempo si cerca di dare sempre più posto nel governo delle colonie agl'indigeni, mentre, ogni anno più, questioni che riguardano le Indie vengono decise sul posto e non più all'Aia, come una volta. Dal 1918 esiste un Consiglio del popolo con membri in parte designati dal governo, in parte eletti dagl'indigeni stessi, come rappresentanza della popolazione: da quell'anno in poi a più riprese si sono potute estendere le competenze di quel parlamento indigeno. Anche le norme dell'ultima costituzione olandese (1922) e della legge sul governo delle Indie (1925) tendono ad aumentare prudentemente l'influenza dell'indigeno. Per oggi queste nuove tendenze dànno i loro frutti specie a Giava, l'isola più importante e popolata dell'arcipelago, dove il movimento indigeno dal 1908 in poi si è organizzato in diverse società e partiti economici, religiosi (cioè musulmani) e politici.
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Lingua.
La lingua giavanese è il membro più importante della famiglia linguistica maleopolinesiaca o austronesica (v. maleopolinesiache, lingue). Di tutte queste lingue è quella parlata da un maggior numero d'individui; sola fra tutte ha una storia, che si basa su un materiale letterario e che si estende per più di un millennio. In lingua giavanese sono scritte le più importanti cronache maleopolinesiache; e soltanto in Giava è sorto un teatro puramente maleo-polinesiaco.
Il giavanese è dunque un ramo del tronco linguistico maleopolinesiaco, come dimostra, per es., il suo prefisso verbale ma(takut "paura", matakut "temere"), che va dal Madagascar alla Nuova Zelanda. Esso appartiene alla suddivisione delle lingue indonesiche; del resto ha una posizione isolata, poiché nessun'altra lingua è strettamente imparentata con esso.
Nello sviluppo storico del giavanese si distinguono due stadî: l'antico giavanese e il giavanese moderno. La storia dell'antico giavanese comincia col più antico documento sinora scoperto, l'iscrizione di Dieng dell'809 d. C. Una netta divisione fra i due stadî è impossibile, essendo il giavanese moderno sorto dall'antica lingua a poco a poco; tuttavia molti studiosi assumono come limite dell'antico giavanese l'epoca intorno al 1400 d. C.
L'antico giavanese. - È chiamato anche kawi, denominazione che va cadendo in disuso. Nella lingua stessa questo nome, preso a prestito dal sanscrito, significa "poetai". Oggi, in parecchie lingue indonesiche s'indicano con esso specialmente gli antichi scrittori giavanesi, e con basa kawi la loro lingua; ma, in questa espressione, si può anche tralasciare basa ("lingua"), sicché kawi finisce con l'avere il significato di "antico giavanese".
Il suo vocabolario ha rispetto alle altre lingue maleo-polinesiache la caratteristica di possedere una grandissima quantità di parole forestiere, prese quasi esclusivamente dal sanscrito. Non soltanto la lingua letteraria ha adottato termini riferentisi a una cultura più evoluta, come prayuta "milione", ma anche per cose della vita ordinaria essi usano arbitrariamente sia parole sanscrite sia parole della propria lingua; per "fuoco" dicono tanto agni quanto apuy. Sono mutuati sostantivi e aggettivi, di rado altre forme, come l'imperativo astu "sia". È stata adottata anche qualche parola pracrita, come il termine wiku "asceta", importante per la storia della cultura.
Il sistema fonetico dell'antico giavanese ha in comune con le lingue vicine la caratteristica di possedere accanto alla serie delle dentali (t, d, n), anche le cerebrali ṭ ḍ ṇ). La vocale indeterminata, chiamata pĕpĕt, che in parecchie lingue è pronunciata solamente breve, nell'antico giavanese ricorre tanto lunga quanto breve (trascrizione ö e ĕ). La più importante legge fonetica maleo-polinesiaca, la legge di RGH, che riassume le regolari modificazioni di una r uvulare originaria, in antico giavanese produce la scomparsa di questa r; così, accanto al malese ratus, bikol gatos, bulu hatus, si ha in ant. giav. atus "cento".
La configurazione delle parole è nell'ant. giav. molto arcaica e permette quindi di riconoscere chiaramente la radice, come la radice gul nella famiglia di parole siñgul "urtare", tanġul "respingere", agul-agul "prode", purugul "vincere, abbattere". Contrariamente a molte lingue maleo-polinesiache, l'antico giavanese adopera spesso senz'altro la radice monosillabica come parola: sih "amore".
Nella morfologia, il verbo ha una discreta ricchezza di forme. L'attivo è formato per mezzo di a-, ma-, um- o -um-: alara o malara "sentir dolore", da lara "dolore", umibĕk ,"riempire" da ibĕk "pieno", tumuluñ "aiutare", da tuluñ "aiuto". Altri elementi formativi attivi sono añ- e mañ-: de "causa", añde e mañde "causare". Se la parola ha una consonante iniziale sorda, come per es. titah "comando", ñ di añ- e mañ- si assimila a questa consonante, la quale però scompare: fenomeno linguistico che si riscontra in moltissime lingue maleo-polinesiache; così mañ + titah non dà mañtitah ma manitah "comandare". Il morfema -a come suffisso forma il congiuntivo, il futuro, l'imperativo: galak "collera", agalak "essere in collera", agalaka "sarà in collera". Questo -a può anche essere affisso a sostantivi; jalu "sposo", jalwa (da jalu + a) "il futuro sposo". Il passivo è formato per mezzo di ka-, in- o -in-: katiñgal o tiniñgal "essere abbandonato", inulah "essere causato". Il gerundivo ha il suffisso -en: gawayĕn "faciendum". I sostantivi dispongono di un minor numero di morfemi del verbo: i più importanti sono pa- o pañ, ka- e -an: tañan "mano", patañan "manovale"; kiñkiñ "cattivo umore", kakiñkiñ "tristezza, afflizione"; ma-buru "andare a caccia", burwan (da buru + an) "inseguimento" o "selvaggina". La declinazione avviene per mezzo dell'articolo e delle preposizioni, come in italiano: añ hati o ñ hati "il cuore", ni ñ hati "del cuore". A questa declinazione dell'antico giavanese è assai vicina quella della lingua tagal: añ tawo "l'uomo", n añ tawo "dell'uomo". Una particolarità dell'antico giavanese è il gran numero di pronomi dimostrativi, mentre il malese, per es., ne ha solamente due, ini "questo", itu "quello", nell'antico giavanese troviamo: ika, ike, iki, iko, iku, ikana, yeka, ecc. È quasi impossibile rendere in una lingua indoeuropea le sottili sfumature di significato di queste parole.
Il giavanese moderno. - Il vocabolario del giavanese moderno differisce da quello dell'antico giavanese specialmente perché il numero delle parole prese dal sanscrito è molto ridotto. In cambio compaiono parole prese dall'arabo e dalle lingue europee, ma tuttavia non in quantità notevole: dall'arabo proviene hukum "tribunale", dall'olandese dĕler "nobile" (oland. edelheer). Spesso nel giavanese moderno le parole hanno cambiato in maggiore o minor misura il significato: in ant. giavanese titah significa "comando, ordinanza, schieramento di battaglia", in giavanese moderno "decreto di Allah, destino, creatura".
L'aspetto fonetico delle parole presenta, rispetto all'antico giavanese, numerose cadute di consonanti e contrazioni: l'ant. giav. rahadyan "titolo di nobiltà" è divenuto oggi raden. L'accento non molto forte cade per lo più sulla penultima sillaba. Nella morfologia si hanno molti cambiamenti nel verbo. Il morfema dell'antico giavanese añ- o mañ- è per lo più pronunziato semplicemente ñ-; quindi giavanese moderno ñlawan, più raramente añlawan, ant: giav. solamente añlawan o mañlawan "opporre resistenza". L'elemento del passivo ka- dell'antico giavanese si è diviso in ka- e kě-, il secondo dei quali indica l'accaduto come accidentale: kĕtĕmu "trovato casualmente". Il passivo con l'infisso -in- è rimasto; il prefisso in- è diventato iñ-, quindi giav. moderno iñutus "inviato" per ant. giav. inutus. Questa trasformazione di n in ñ è avvenuta per l'influsso dell'attivo añ-: la forma añutus "mittente" ha attirato inutus trasformandolo in iñutus. Il passivo con -iñ- o -in- si trova ancora quasi esclusivamente in poesia ed è chiamato "passivo antico".
Una notevolissima particolarità del giavanese moderno, sconosciuta all'antico giavanese, ma che è condivisa dalle lingue confinanti, per es. il sundanese, è l'esistenza di una lingua di rispetto accanto a quella ordinaria d'ogni giorno. Quest'ultima si chiama basa ñoko "linguaggio [del] tu", la prima basa krama "linguaggio [di] cortesia". L'idea del sangue, per es., in ñoko è espressa con gĕtih, in krama con rah. Le due parole hanno l'identico significato, ma si differenziano per il loro rango; nell'antico giav. rāh è "sangue", gĕtih "succo".
Il giavanese moderno si divide in due dialetti: il primo domina nella zona occidentale e confina col sundanese: esso ha conservato invariato l'a dell'antico giavanese; il secondo, che occupa il restante territorio, in certe circostanze rende l'a dell'antico giavanese con un o aperto. Non conosciamo i limiti precisi dell'antico giavanese; il giav. moderno è parlato nell'isola di Giava, tranne nella parte occidentale, dove domina il sundanese, e sulla costa di fronte all'isola di Madura, dove è penetrato il madurese.
Il giavanese si scrive con un alfabeto proprio, piuttosto complicato (v. maleopolinesiache, lingue). I suoni da esso rappresentati si indicano nelle opere scientifiche con le seguenti lettere: a, å (a con tendenza ad o), e, i, o, u, ĕ (vocale indistinta, chiamata pĕpĕt); k, g (g duro), ñ (n gutturale); c (c dolce), j (g dolce), ñ (gn); t, d, n; ṭ, ḍ, ṇ (suoni cerebrali); p, b, m; y (i consonante), r, l, w (u consonante); s; h.
Bibl.: Le principali opere per lo studio della lingua giavanese sono: per l'antico giavanese i vocabolarî di H. N. van der Tuuk, Batavia 1897-1912 (molto esteso, ma poco maneggevole) e di H. H. Juynboll, Leida 1923 (meno esteso, ma sufficiente e molto maneggevole); e i lavori grammaticali di H. Kern, raccolti nell'opera: H. Kern, Verspreide geschriften, VIII e IX, L'Aia 1918-1920 (di gran valore, ma incompiuti). Per il giavanese moderno, i vocabolarî di J. F. C. Gericke e T. Roorda, Amsterdam e Leida 1901 (la parte giavanese è in lettere giavanesi; nuova ed. in preparazione) e di P. Jansz, L'Aia 1913 (tutto in lettere latine);le grammatiche di C. Poensen, Leida 1897 (ottima), di H. N. Kiliaan, L'Aia 1919 (molto particolareggiata, ma non maneggevole), di A. A. Fokker, Zutphen (specialmente per scopi pratici).
Letteratura e teatro.
La letteratura dell'antico giavanese è assai ricca, ma in molta parte ancora inedita. Essa può venire divisa in quattro classi: 1. le iscrizioni che contengono per lo più documenti di fondazioni o dotazioni; esse sono fonti importantissime per la storia giavanese; 2. le rielaborazioni, e non semplici traduzioni, di opere della letteratura sanscrita: le più importanti sono il Rāmāyana e il Bhāratayuddha (una parte del Mahābhārata). Gli argomenti di queste opere hanno dato all'arte figurativa, specialmente ai bassorilievi dei templi, e al dramma, un grandissimo numero di motivi; 3. opere, che pur ispirandosi alla cultura sanscrita, hanno una certa originalità: ad esse appartengono la leggenda con intonazione filosofica di Kuñjarakarna e il Tantu Pañgĕlaran, storia religiosa di Giava; 4. opere veramente originali; la più importante delle quali è il Nagarakṛtāgama. Questa epopea, composta con tecnica raffinata, piega davanti ai nostri occhi un brillante quadro di tutta l'elevata civiltà del regno di Majapahit nel sec. XIV d. C., ci dipinge il carattere del famoso regnante Hayam Wuruk, le sue gesta, i suoi viaggi, i principî del suo governo e dà uno sguardo alla storia dei secoli precedenti. Autore ne è Prapañca, il capo del buddhismo locale, umanista colto e raffinato; egli completò il suo poema nel 1365 d. C. Accanto a questo capolavoro sono notevoli la cronaca Pararaton (Il libro dei re [ratu]) e un'attraente vita di un santo, mezzo storica mezzo leggendaria, che porta il titolo di Calon Arañ. Della lirica giavanese conosciamo finora assai poco; anche il dramma esisteva certamente, ma sino a oggi non abbiamo notizie più precise al riguardo.
Letteratura giavanese moderna. - Nel campo dell'epica troviamo rielaborazioni dei poemi su indicati, che ora si chiamano Bratayuddha e Rama. Con essi si connettono cicli di romanzi: il ciclo di Panji e quello di Hamzah. Panji è l'ideale del cavaliere mondano, l'amore è il movente delle sue azioni; Hamzah è l'eroe religioso, una fede entusiastica riempie il suo cuore. Le cronache, chiamate Babad, hanno scarso valore letterario e poetico; la lirica manca quasi completamente; incantevole è invece la letteratura minore: leggende, fiabe, favole.
Il dramma è un elemento principale della vita intellettuale giavanese. Soli fra tutti i popoli maleopolinesiaci, i Giavanesi hanno prodotto il dramma; esso è creazione indipendente, originale, non prestito indiano o cinese. Come il dramma greco, anche quello giavanese ha origini religiose. Le ombre, che figurano nelle "ombre cinesi", forma prima del dramma giavanese, rappresentano gli spiriti degli antenati; da ciò deriva anche il nome indigeno per "rappresentazione scenica", cioè wayañ, che in molte lingue maleopolinesiache significa "ombra". Una rappresentazione teatrale procede così: il dalang (più precisamente ḍalañ) recita il testo, accompagnandolo con la proiezione di ombre su uno schermo bianco. Accanto a questo modo di rappresentazione si sono successivamente sviluppati due altri tipi di dramma: la rappresentazione con le marionette e quella con persone mascherate, che non parlano. L'ultimo stadio di questa evoluzione è rappresentato dal wayañ woñ, in cui prendono parte persone (woñ) che agiscono e parlano; ma questo sistema non è riuscito a divenire popolare. Il testo si chiama lakon, derivato da laku "agire", termine quindi analogo al greco δρᾶμα. Tuttavia i libri contengono soltanto un più o meno diffuso riassunto dell'argomento, sicché il dalang può e deve improvvisare largamente. Gli argomenti dei drammi sono attinti ai vecchi miti maleopolinesiaci, alla storia giavanese e più specialmente al Bratayuddha e al Rama.
La metrica dell'antico giavanese usa i piedi metrici sanscriti. Ogni verso ha un numero prescritto di sillabe; e le brevi e le lunghe si alternano secondo date leggi; non vi è rima; spesso i versi sono disposti in strofe.
La metrica del giavanese moderno è quella comune alle lingue maleopolinesiache. Ogni verso ha un dato numero di sillabe senza tener conto della loro lunghezza o brevità; i versi rimano, e la rima si basa sulla vocale dell'ultima sillaba del verso. Per es., la strofa girisa è di otto versi; ogni verso ha otto sillabe, e l'ultima vocale di ogni verso è un'a.
Bibl.: Oltre quella citata al paragrafo Lingua, v.: J. Kats, Het javaansche tooneel (Il dramma giavanese), I, Weltevreden 1923; A. B. Cohen-Stuart, Testo con traduzione in olandese e note critiche del Bratayuddha, pubblicato nell'annuario dell'Associaz. batava per arti e scienze, XXVII e XXVIII, Batavia 1860; J. G. H. Gunning, Bharatayuddha, een oud-Javaansch heldendicht, L'Aia 1903; Ph. S. van Ronkel, De roman van Amir Hamza, Leida 1895; Hoesein Djajadiningrat, Critische beschouwing van de Sadjarah Banten (Studio critico sul S. B. e sulle caratteristiche dei babad e della storiografia giavanese), Leida 1913; H. Kern, Ramayana, L'Aia 1900; id., Nagarakṛtāgama, L'Aia 1919; W. H. Rassers, Le Pandji-Roman, Anversa 1922.
Arte.
Nello sviluppo della cultura e dell'arte giavanesi ha avuto un significato grandissimo l'influenza indiana. Cominciata al principio della nostra era durò per secoli, trasformando la cultura prettamente autoctona preesistente, ma senza riuscire a sopprimerne i caratteri propriamente giavanesi. Lo sviluppo dell'Islām nel sec. XV diede all'arte giavanese un colpo irreparabile: togliendole le sue fondamenta religiose e nazionali, senza darle niente in cambio poiché prima di poter sviluppare un'arte propria i regni musulmani decaddero; poi l'occupazione e la cultura olandesi non poterono influire sull'arte locale che assai superficialmente: e dal sec. XVI in poi solamente la letteratura e le arti minori ebbero ancora qualche periodo di fioritura. Soltanto in questi ultimi anni di risveglio nazionale si può osservare una certa rinascita dell'architettura e della scultura.
Tanto l'arte quanto la cultura durante il periodo indiano seguirono un processo di giavanizzazione; cioè, mentre nei primi secoli si mantennero severamente le tradizioni importate dall'India, lentamente l'elemento indigeno s'infiltrò divenendo sempre più importante. Si cominciò con costruzioni e sculture di carattere prettamente indiano, nelle quali solamente il modo di esecuzione indica talvolta che gli artisti erano giavanesi, poi col tempo vi si manifestarono sempre più particolarità locali.
Niente rimane delle opere d'arte dei primi secoli indo-giavanesi, poiché allora si costruiva ancora quasi sempre in legno. Ma nel sec. VI e VII tanto a Giava quanto in tutta la parte sudorientale dell'Asia l'architettura in pietra divenne comune, almeno per i santuarî. Allora il centro politico culturale si trovava nel centro dell'isola. Quest'arte centro-giavanese è così vicina all'arte indiana che ancora non è risolta la questione se essa sia dovuta ad artefici immigrati dall'India oppure a loro discepoli indigeni. Ma dal secolo X in poi, col prevalere della parte orientale dell'isola, l'arte giavanese acquista un carattere più proprio, e fu sicuramente esercitata da artisti isolani. La differenza tra le due arti - di Giava centrale e di Giava orientale - viene accentuata dal periodo che le separa e che non ha lasciato opere importanti. I monumenti dell'arte di Giava centrale risalgono in gran parte ai secoli VIII e IX; col prevalere della parte orientale dell'isola al principio del sec. X essi furono abbandonati e cominciarono a cadere in rovina. Dell'arte di Giava orientale più antica non rimane che qualche raro esempio; i monumenti cominciano ad abbondare soltanto nei secoli XIII e XIV. Della mancanza di monumenti tra il sec. X e il XIII dànno ragione la deperibilità del materiale laterizio, adoperato dapprima nei regni orientali, e le continue demolizioni e ricostruzioni. Comunque, vi è grande differenza tra l'arte del centro e quella della regione orientale dell'isola, e non è ancora accertato se la seconda sia stata una trasformazione della prima ovvero prettamente giavanese, e già esistente prima del sec. XIII.
I più antichi monumenti dell'arte del centro di Giava (principio del sec. VIII) sono sull'altipiano del Dieng a 2060 m. s. m., già dedicato al supremo dio Śiva, e meta di pellegrinaggi. Dalle duecento costruzioni che originariamente si trovavano sul breve altipiano (m. 2500 × 800) non rimangono che otto tempietti, di forma quadrata, con vestibolo, nicchie laterali e tetto a diversi piani, hanno pochi ornamenti e di grande sobrietà, fusi armonicamente nell'architettura. Intorno al 750, sotto la dinastia Śailendra, l'arte si arricchì e si raffinò assai; si costruirono monumenti più grandi e più accuratamente, con idee architettoniche più originali, costituendo grandi complessi di templi in unità sistematica, senza nondimeno giungere a costruzioni grandissime dato il carattere sismico dell'isola. Il monumento più importante di questo periodo è il Borobudur (v.). Sono della stessa epoca il Tjandi Mendoet (tjandi [grafia olandese, pronuncia ciandi] significa "santuario" in antico-giavanese) nel quale una grande statua di Buddha dà un'idea dell'arte statuaria, che anch'essa raggiunse allora alte vette; e il grazioso piccolo santuario Tjandi Pawon. L'iscrizione del Tjandi Kalasan fa datare questo santuario nell'anno 778; coevo è il Tjandi Sèwoe, santuario interamente conservato, nel quale 250 tempietti minori circondano l'edificio principale. I due santuarî Kalasan e Sevu si trovano nella pianura di Prambanan, tra Djokjakarta e Soerakarta.
Per l'epoca posteriore allo splendido periodo della dinastia Śailendra è da ricordare in primo luogo il grande complesso di Lara-Djonggrang, tempio reale e mausoleo, situato anch'esso nella pianura di Prambanan; otto costruzioni più grandi tra molti tempietti minori, il tutto in onore di Śiva e degli dei del suo pantheon. È un insieme singolare per unità di concezione e per la perseveranza con la quale vennero osservati i principî di costruzione e di ornamentazione stabiliti.
L'arte del centro dell'isola culminò a Lara-Djonggrang; poiché non molto tempo dopo l'egemonia passò alla parte orientale e quell'arte finì. Nell'arte di Giava orientale manca l'armonia tra architettura e ornamento, che è invece sommo pregio della precedente; i particolari sono accentuati a scapito dell'insieme; i grandi complessi sistematici vengono sostituiti da aggruppamenti di edifici in stili diversi, apparentemente riuniti senza scopo o sistema; i personaggi raffigurati sui rilievi rassomigliano ai fantocci adoperati per il teatro giavanese (vedi appresso). A tutti questi caratteri, da ascriversi all'influenza dell'arte locale su quella indiana, si aggiunge che lentamente la differenza tra le due grandi religioni di Śiva e di Buddha andò affievolendosi, finché i loro dogmi si mescolarono.
Dei pochissimi edifici orientali anteriori al sec. XIII alcuni hanno una ornamentazione non diversa da quella dei santuarî del centro; p. es. Tjandi Badoes; ma ve ne sono altri con carattere proprio, p. es. Djalatoenda, mausoleo o ninfeo regale, del 977. Il periodo maggiore per l'arte orientale comincia con i primi santuarî di Singasari e Madjapahit (1248); segue il Tjandi Djago del 1268 che con le terrazze susseguentisi e con i suoi rilievi è prova chiarissima dell'influsso locale. Specialmente durante il regno di Madjapahit furono costruiti molti e diversissimi monumenti; tra altri il Tjandi Diaboeng, alta torre rotonda, il Tiandi Sawentar, dalle linee severe; della capitale Madjapahit non rimangono però che qualche porta di città e uno stabilimento termale. Il santuario più grande in Giava orientale è Tjandi Panataran, tempio di Śiva situato su tre terrazze, con rilievi nei quali gli artisti tentarono di personificare montagne, alberi, nuvole, in forma di uomini o di animali. Intorno al tempio resta gran numero di costruzioni, terrazze e basamenti collocati senz'ordine. Nel sec. XV gli abitanti della pianura già sotto l'influenza dell'Islām non costruiscono più che templî piccoli e modesti. Ma nelle montagne si costruì una nuova specie di edifici sacri nei quali l'induismo e l'antico animismo giavanese stranamente si mescolarono. Il principale di quegli edifici che ancor rimanga è Tjandi Doekoeh. L'islamismo per i suoi santuarî s'ispirò allo stile di edifici pagani (animisti) di carattere giavanese nazionale, come nel minareto di Koedoes, che non è altro che un tempietto giavanese. Ma l'antica arte nazionale non poteva più essere rianimata dalla nuova religione; e soltanto nelle costruzioni civili dei regni islamitici (palazzi, ecc., che nel tempo indù-giavanese ancora si costruivano in materiale poco durevole di modo che nulla ne rimane) si ritrovano ancora le antiche forme.
Tra le arti minori sono notevoli il batik e la fabbricazione di bambocci per il wayang purwa. Dell'arte pittorica nulla rimane; ha però una sua espressione nei disegni per la rappresentazione di wayang bĕbĕr, nella quale il dalang, recitando testi quasi identici a quelli del wayang purwa (ma i soggetti sono diversi), mostra un rotulo istoriato con le figure degli eroi. Pregiati i prodotti in bronzo e in genere le arti che adoperano metalli. Accanto all'oreficeria è da ricordare la fabbricazione del pugnale nazionale giavanese, il kris, con cesellature finissime. Gl'intagli in legno che ornano porte, facciate, ecc., sono molto ammirati e formano oggetto di commercio ricercato dai turisti. Invece manca a Giava un'arte del vasellame essendosi sempre importati i vasi più preziosi prima dalla Cina, adesso dall'Europa.
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Musica e danza.
La musica giunge, presso i Giavanesi, a uno sviluppo notevole, molto più che presso i popoli delle altre isole malesi. Assai complessa è l'orchestra giavanese, detta gamĕlan. Nel gamĕlan dominano gli strumenti a percussione, come il gong, chiamato bonang (del quale si distingue il tipo femminile e maschile). Le viole sono fatte di noce dì cocco, i flauti (suling) di bambù. Un gamĕlan completo si compone di 24 musicisti, con tredici sorta di strumenti. La notazione giavanese è del tutto diversa da quella nostra. Il Giavanese distingue due specie di gamme: una di cinque note (propria del modo salèndro, che è quello delle musiche destinate al wayang purwa (v. sopra) e una di sette, propria del modo pelog. Gl'intervalli nel modo salèndro si avvicinano tutti a un semitono (100/240 di tono) della gamma diatonica. Si distinguono con grande precisione i diversi motivi, destinati alcuni a salutare gli ospiti all'arrivo, altri al congedo, o a iniziare una festa, o al convito, ecc. Le composizioni classiche datano dal sec. XVII, al fiorire del regno Mataram sotto il sultano Agung.
A nessuna festa, di carattere religioso o civile, manca un gamĕlan, il quale accompagna anche la danza. Le danzatrici dei desa (borghi) sono generalmente prostitute; nei Paesi dei principi vi sono però anche danzatrici di nobile nascita; come in tutto l'Oriente si danza quasi senza muovere le gambe. Nei Paesi dei principi troviamo una forma di danza di grande arte che è riservata solo a giovani donne nobili allevate esclusivamente a questo scopo e a efebi di sangue reale. La danza chiamata bedaja può essere danzata pure da ragazzi, mentre la danza serimpi è stretta prerogativa delle donne. I danzatori e le danzatrici vivono nel kraton dei principi specialmente a Djokjakarta e non ballano mai se non in presenza del susuhunan. La loro danza pare essere d'origine religiosa antichissima; si preparano alla danza con parecchie ore di digiuno e tutta la rappresentazione ha un carattere quasi rituale. Quelle danze, serimpi e bedaja, mai si vedono fuori dei palazzi principeschi, e tanto meno in Europa. I danzatori giavanesi che qualche volta dànno rappresentazioni nei teatri delle grandi città europee sono sì di sangue reale, ma le loro danze, per quanto belle, non sono ancora le danze sacre. Come è altissimo onore per le principesse e i principi far parte del corpo di ballo, così è onore straordinario per un Europeo essere invitato dal susuhunan a vedere la danza. Prima di una grande rappresentazione vi sono mesi di prove che si svolgono alla presenza del principe e una volta cominciate non possono per nessun motivo essere interrotte. La rappresentazione stessa dura molte ore e spesso anche più di un giorno. Il vestito dei danzatori e danzatrici è ricchissimo ma di così perfetto gusto che nessuna parte attira l'attenzione. I diversi disegni con i quali la stoffa viene lavorata hanno nomi antichi e significato simbolico. Anche ogni movimento della danza è simbolico.
V. tavv. XLIII-XLVIII.
Bibl.: B. Van Helsdingen-Schoevers, Het Serimpi-boek (testo e ill. sulle danze sacre), Weltevreden s. a.; Th. B. Van Lelyveld, De Javaansche danskunst, Amsterdam 1931, con ill. e bibl. precedente.