Stato del Sud-Est asiatico nell’arcipelago delle Piccole Isole della Sonda. Il Paese, già colonia del Portogallo, divenuta indipendente il 19 maggio 2002, occupa la sezione orientale dell’isola di Timor, l’isola di Atauro e l’isolotto di Jaco. Comprende inoltre il distretto di Oecussi, nella zona costiera nordoccidentale di Timor, che costituisce un’exclave in territorio indonesiano.
Per le caratteristiche fisiche ➔ Timor.
Il tasso di natalità è molto elevato (26,2‰ nel 2009) ed è all’origine del forte incremento demografico (tasso annuo del 2% nel 2009). L’unico centro urbano del paese è la capitale Dili, situata sulla costa settentrionale dell’isola. Gli idiomi ufficiali sono il tetum (la più diffusa tra le lingue autoctone, appartenente alla famiglia delle lingue maleopolinesiache) e il portoghese; diffuso anche l’indonesiano. La religione professata dalla grande maggioranza degli abitanti (86%) è quella cattolica; minoranze di protestanti (3%) e musulmani (2%).
Il nuovo Stato soffre di un forte ritardo economico, al quale molto ha contribuito il lungo periodo di conflittualità interna, legato all’occupazione indonesiana e alla lotta per l’indipendenza. La base dell’economia locale è formata dall’agricoltura, in larga parte costituita da coltivazioni di sussistenza (riso, mais, manioca, noci di cocco, copra). Tra i prodotti d’esportazione, gli unici di un certo rilievo sono il caffè e il legname pregiato ricavato dallo sfruttamento del patrimonio forestale. Le scarse attività industriali presenti sono andate distrutte durante la guerra per l’indipendenza; piuttosto rilevante l’apporto del terziario. Buone prospettive di crescita economica provengono dal pieno sfruttamento dei giacimenti di gas naturale e da quelli petroliferi off shore a largo delle coste di Timor. Dili dispone di un piccolo porto attraverso il quale transitano i principali flussi di import-export. Il paese è fortemente dipendente dagli aiuti internazionali.
Dopo la proclamazione dell’indipendenza dal Portogallo (1975), T. fu invasa da truppe indonesiane, che occuparono la regione rivendicando la sovranità dell’Indonesia anche sulla parte orientale dell’isola. Nell’agosto 1976, T. venne ufficialmente dichiarata ventisettesima provincia dell’Indonesia. Nonostante le reiterate condanne dell’ONU e delle organizzazioni internazionali per la difesa dei diritti umani, la popolazione civile e la Fretilin (Frente revolucionária do Timor Leste independente), l’organizzazione politica che aveva guidato il paese all’indipendenza, continuarono a essere oggetto di una dura repressione da parte del governo di Giacarta, che accompagnò atti di brutale sopraffazione a un massiccio programma di immigrazione volto a ‘diluire’ la comunità locale, prevalentemente cristiana, e a creare una élite indigena musulmana e filoindonesiana. Dopo la crisi del regime di Suharto (maggio 1998) il movimento indipendentista riprese forza, mentre il nuovo presidente indonesiano B.J. Habibie avviò colloqui diplomatici con il Portogallo. Nel gennaio 1999, anche in seguito alle pressioni delle Nazioni Unite, Habibie annunciò la disponibilità a concedere l’indipendenza alla regione qualora un referendum avesse respinto il progetto formulato dal governo di concedere ampia autonomia a T., ma all’interno dello Stato indonesiano. La consultazione popolare, svoltasi sotto l’egida dell’ONU nel 1999, segnò la larga vittoria degli indipendentisti. Nonostante Habibie dichiarasse di accettare il risultato, le milizie indonesiane scatenarono una sanguinosa reazione mettendo a ferro e fuoco l’intero territorio e deportando migliaia di timoresi nella zona occidentale dell’isola. Tuttavia, pressato dall’opinione pubblica internazionale e in particolare dagli Stati Uniti, Habibie fu costretto ad accettare l’invio di una forza di pace dell’ONU, mentre il Parlamento indonesiano ratificò l’esito del referendum e predispose il ritiro dell’esercito. In attesa della costituzione di un governo locale, alla fine del 1999 T. passò sotto l’amministrazione provvisoria delle Nazioni Unite.
Nel 2002 X. Gusmao si affermò nelle prime elezioni presidenziali e venne proclamata l’indipendenza; contemporaneamente, l’ONU inviò nel paese la missione UNMISET (United Nations Mission of Support in East Timor), con l’incarico di affiancare e supportare le autorità locali nei primi passi del nuovo Stato. Nel 2005 T. e Indonesia firmarono un accordo per la definitiva delimitazione dei confini; subito dopo i caschi blu dell’ONU lasciarono il paese. Tuttavia, la difficile situazione sociale e lo scoppio di gravi violenze di strada condussero nel 2006 al ritorno di contingenti stranieri. Nel 2007 le elezioni presidenziali furono vinte dal premio Nobel per la pace J. Ramos-Horta. Nelle successive elezioni parlamentari la Fretilin ottenne la maggioranza relativa, senza avere il controllo dell’Assemblea; si aprì una fase di stallo, risolta nel corso dell’estate con la nomina a primo ministro di X. Gusmao, riconfermato nella carica dopo che il suo partito CNRT (Congresso Nacional para a Reconstrução de Timor-Leste) ha ottenuto la maggioranza relativa alle elezioni politiche tenutesi nel luglio del 2012, le prime per nominare un Parlamento democraticamente eletto nella tormentata storia del Paese. Alle consultazioni presidenziali tenutesi nel marzo 2012 Ramos-Horta non è riuscito a superare il primo turno, essendo sconfitto da F. Guterres, leader della Fretilin, e dal generale Taur Matan Ruak, che al ballottaggio è risultato vincitore con il 61% delle preferenze, subentrandogli nella carica a seguito delle elezioni del marzo 2017 lo stesso Guterres, eletto al primo turno con il 57,5% dei suffragi. La coalizione delle forze di opposizione Alleanza per il cambiamento e il progresso guidata dall’ex presidente Gusmao si è aggiudicata le elezioni generali tenutesi nel maggio 2018 con il 49,4% dei consensi contro il 34,3% aggiudicatosi dalla Fretilin, riconfermando il suo successo anche alle politiche del maggio 2023 (42% dei voti) . Al primo turno delle consultazioni presidenziali svoltesi nel marzo 2022 l'ex presidente Ramos-Horta ha ottenuto una netta affermazione, ricevendo il 46,5% dei consensi contro la metà circa aggiudicatasi dal capo di Stato uscente, che ha sconfitto al ballottaggio con il 62,1% dei voti, ottenendo un nuovo mandato.