Zimbabwe
Geografia umana ed economica
di Anna Bordoni
Stato interno dell'Africa australe. La popolazione (11.634.663 ab. al censimento del 2002) cresce a un ritmo modesto, in quanto il movimento naturale positivo (28‰ il tasso di natalità nel 2006, 21,8‰ quello di mortalità) è contrastato da un flusso migratorio divenuto sempre più consistente a causa della crisi politica che travaglia il Paese e della disastrosa situazione economica, che spinge la manodopera a cercare migliori opportunità lavorative nell'Unione Sudafricana e in Botswana. Inoltre, la riforma agraria attuata a partire dal 2000, che ha espropriato i proprietari bianchi per ridistribuire la terra (si stima siano stati confiscati circa 6 milioni di ettari) ai veterani della guerra di liberazione (i Freedom fighters) e ai sostenitori del regime, ha spinto gli antichi proprietari a un massiccio esodo. Secondo una stima, infatti, nel 2006 erano oltre 4 milioni gli zimbabwani che vivevano all'estero. Difficile definire la consistenza demografica della capitale Harare (secondo stime delle Nazioni Unite, alla metà del 2003 accoglieva nella sua agglomerazione 1.470.000 ab.) e delle altre città, in quanto nel maggio 2005 il governo ha lanciato una campagna contro i venditori abusivi che lavorano nella capitale e nelle aree urbane, deportandoli in zone rurali o in alcuni campi appositamente costruiti, e radendo al suolo le loro abitazioni.
I programmi governativi di sviluppo avevano consentito al Paese una certa solidità economica fino alla metà degli anni Novanta del 20° sec., ma a partire dal 1997-98, con il deteriorarsi della situazione politica, si sono avute ripercussioni negative anche sul piano economico. Malgrado le consistenti risorse naturali, la diversificazione dei settori produttivi, la presenza di buone infrastrutture e, infine, gli indicatori macroeconomici hanno segnato un progressivo deterioramento: nel 2005, per il sesto anno consecutivo, il prodotto interno lordo dello Z. ha avuto un decremento (−6,5%), le esportazioni hanno continuato il loro declino, accentuando la penuria di valuta straniera, l'inflazione è risultata fuori controllo e la disoccupazione ha registrato un forte aumento (oltre l'80% degli attivi era senza occupazione). Il Paese, un tempo considerato il granaio del continente africano, è in emergenza alimentare, e oltre la metà della popolazione soffre di malnutrizione (5 milioni di persone dipendono dagli aiuti umanitari). Tale disastro agricolo è solo in parte dovuto a un periodo di siccità, mentre è largamente imputabile alla riforma agraria cui si è accennato sopra, che, affidando buona parte dei terreni a persone che non disponevano né di tecniche né di competenze adeguate, ha provocato un'immediata destrutturazione del settore primario.
Storia
di Emma Ansovini
Il declino sociale ed economico rappresentava la nota dominante dello Z. tra il 20° e il 21° sec., in evidente contrasto con i segnali di ripresa che venivano dagli altri Paesi dell'Africa australe. Questa situazione era contrassegnata da un impoverimento generale, un peggioramento delle condizioni di salute collegato soprattutto alla diffusione dell'AIDS (l'aspettativa di vita alla nascita era scesa a 37 anni nel 2005) e dal potere, sempre più dispotico e autoritario, di R.G. Mugabe, presidente dello Z. dal momento dell'indipendenza, che, con il suo partito, Zimbabwe African National Union-Patriotic Front (ZANU-PF), continuava a mantenere il controllo del Parlamento e del governo di fronte a un'opposizione fortemente repressa dal regime, ma spesso incapace di proporsi alla crescente insoddisfazione popolare come una credibile alternativa. Nel febbraio 2000 Mugabe, sconfitto in un referendum che respingeva la sua richiesta di nuovi poteri, tra cui quello di espropriare le terre senza alcuna forma di indennizzo, assunse subito l'iniziativa sostenendo apertamente l'occupazione delle fattorie commerciali da parte dei veterani della guerra di liberazione, con l'avvio di una spirale di violenza che causò vittime tra i proprietari bianchi e tra i militanti dell'opposizione. Alla fine di giugno si svolsero le elezioni legislative in una situazione di crescente tensione sociale e in un clima di intimidazione che costrinse l'ONU a dover ritirare i suoi esperti, dopo che il governo si era rifiutato di accreditare duecento osservatori internazionali. Lo ZANU-PF ottenne il 49% dei voti e 62 seggi e il Movement for Democratic Change (MDC) il 47% dei voti e 57 seggi. Nonostante le denunce di brogli e la sentenza della Corte suprema di ripetere le elezioni in tre circoscrizioni, Mugabe aumentava il controllo sulla stampa e, nel febbraio 2001, il leader del MDC, M. Tsvangirai, veniva incriminato per incitamento alla violenza. L'attacco agli agricoltori bianchi diventava nel frattempo la politica ufficiale del governo con l'annuncio che sarebbero state requisite altre cinquecento fattorie. I tentativi della magistratura di porre un freno alle pretese di esproprio senza indennizzo determinarono contrasti tra questa e il governo, che portarono alle dimissioni del presidente della Corte suprema (marzo 2001) e all'aumento da 5 a 8 nel numero dei componenti della Corte, con la nomina di giudici più favorevoli al governo. Le occupazioni delle fattorie continuarono nel corso del 2001, mentre crollava la produzione agricola e si intensificava l'espatrio della comunità bianca. Nuove leggi (genn. 2002) limitarono ulteriormente la libertà di stampa e le possibilità di monitoraggio internazionale delle elezioni, ostacolando anche la propaganda elettorale. La spirale repressiva, nonostante le sanzioni decretate dall'Unione Europea e dagli Stati Uniti (febbr.), portò nuovamente all'incriminazione di Tsvangirai alla vigilia delle elezioni presidenziali. La consultazione, svoltasi nel marzo 2002, vide nuovamente il successo di Mugabe con il 56% dei voti, contro il 42% di Tsvangirai, tra sospetti di brogli e ricorsi. Il risultato fu seguito dalla ripresa delle occupazioni di terre, mentre il governo annunciava che l'esproprio avrebbe alla fine riguardato circa l'85% delle fattorie commerciali e Mugabe intimava a 2900 agricoltori bianchi di abbandonare le loro proprietà entro il 25 giugno. Il clima esasperato di minacce contro l'opposizione e di scontro con gli organismi internazionali continuò senza soste fino a quando, nel dicembre 2003, il governo dichiarò unilateralmente la fuoriuscita del Paese dal Commonwealth, dal quale era già stato sospeso. Nonostante questa situazione drammatica e nonostante contrasti fossero presenti anche all'interno dello ZANU-PF, non si sviluppò alcuna mobilitazione politica e sociale e fu di nuovo il presidente a gestire la crisi, modificando nel dicembre 2004 le circoscrizioni elettorali in modo da penalizzare l'opposizione. Nelle elezioni legislative del marzo 2005, che videro la partecipazione del 48% degli aventi diritto, lo ZANU-PF ottenne il 59,6% dei voti e 78 seggi su 120, contro il 39,5% dei voti e i 41 seggi del MDC, a lungo incerto sulla partecipazione a elezioni che riteneva prive di sufficienti garanzie. In base alla Costituzione spettava però al presidente l'assegnazione di altri 12 seggi, mentre 10 erano riservati ai capi dei gruppi tribali, fedeli a Mugabe, e 8 ai governatori delle province. Il risultato complessivo dava quindi al presidente quella maggioranza dei 2/3 del Parlamento che era necessaria per modificare la Costituzione in chiave autoritaria, garantendo i poteri dell'esecutivo, consentendo la nazionalizzazione delle fattorie e limitando i viaggi all'estero e le libertà personali. Nell'aprile del 2006, con un'economia in condizioni sempre più precarie e anche con la gran parte delle fattorie espropriate ancora improduttive per mancanza di competenze tecniche, di sementi e di fertilizzanti, il governo offriva agli agricoltori bianchi di prendere in affitto e di gestire una parte delle terre espropriate scontrandosi con il rifiuto dei pochi ancora rimasti nel Paese (la popolazione bianca era passata da oltre 200.000 a circa 25.000 persone). Nel maggio 2006 l'ufficio centrale di statistica stimava al 1000% il tasso annuale di inflazione dello Z., formalizzando una situazione sempre più vicina alla bancarotta.
bibliografia
R.B. Lloyd, Zimbabwe: the making of an autocratic 'democracy', in Current history, 2002, 655, pp. 219-24.